La storia della musica ci suggerisce con chiarezza come l’evoluzione nei generi e negli stili musicali sia avvenuta nel corso dei secoli in modo sistematico, progressivo, graduale e soprattutto concatenato, pur avvalendosi dei più diversi apporti geniali legati alla creatività, allo spazio immaginativo e a un intuito artistico straordinario che ha sempre contraddistinto italenti geniali che nel tempo hanno dato vita alla storia della musica. Si pensi, solo per fare un esempio, al primo Beethoven ancora legato a Mozart o all’ultimo Beethoven già avviato al Romanticismo.

In questo lungo percorso a noi noto per tutte le innumerevoli documentazioni, dal gregoriano ai contemporanei, tutti i compositori si sono serviti di una specifica scrittura basata sulla notazione che, pur lasciando spazio alle più varie interpretazioni, filologiche o meno, resta da ben più di mille anni il cardine, il punto di riferimento scientifico dal quale ogni studio musicologico o interpretativo, per essere serio, deve partire.

Al contrario il canto popolare, espressione di un linguaggio fantasioso, semplice, ingenuo, spontaneo, immediato, “povero” ma altamente significativo, per secoli e secoli non è mai stato scritto lasciando al tramando orale tutta l’essenza del significato espressivo. Linguaggio che assimilato e sedimentato nel tempo attraverso varie forme aggregative è diventato tradizione. Linguaggio che non risente tanto dell’influenza delle epoche e dei corrispondenti stili, ma piuttosto assorbe gli inevitabili e continui microscopici cambiamenti legati ai luoghi d’importazione e di esportazione e delle caratteristiche intrinseche dei ceppi familiari diverse da luogo a luogo, che ne rimarcano l’unicità dei dialetti e degl’ idiomi identificatori.

Il brusco e improvviso cambiamento avvenuto di fatto solamente in questi ultimi ottant’anni è stato determinato dalla registrazione, dalla scrittura e dall’armonizzazione che ne hanno modificato parzialmente la sostanza e l’autenticità, a tutto vantaggio però di un ritrovato rinnovamento che, per una maggior valorizzazione del canto popolare, si è adeguata al nostro tempo, dopo la scomparsa della civiltà contadina e dell’analfabetismo.

Le tantissime melodie tutte monodiche (l’armonizzazione è un procedimento colto estraneo all’autenticità) che compongono il nostro patrimonio collettivo di inestimabile valore, prima registrate e scritte poi armonizzate, hanno contribuito a imprimere un cambiamento di rotta netto diventando così repertorio e materiale di attrazione per la strutturazione a carattere stabile di tantissimi cori, a differenza delle precedenti spontanee aggregazioni dedite al canto.

Tenendo conto prima di tutto che scrivere su pentagramma una cultura mai scritta può essere estremamente riduttivo ma ora necessario, analizziamo partendo dalla radice dell’autenticità i metodi compositivi più utilizzati che rappresentano la nuova proposta del canto popolare, dalla prima SAT (con canti armonizzati a tre voci da A. Pedrotti) ai giorni nostri.

Scrivere di canto popolare resta di fatto un compito delicatissimo che investe, a mio modo di vedere, non solo la tecnica compositiva e la personale sensibilità, ma resta legittimato solo se l’aggiungere porta a un grado di maggior condivisione musicale e a nuove energie sonore lasciando inalterato il canto nel carattere e nella semplicità.

Questo, per me, vale anche nel caso della reinvenzione (canto d’ispirazione popolare, vedi ad esempio “Signore delle cime” di Bepi De Marzi) se destinata a divenire, per l’accoglienza e per la diffusione la tradizione di un domani.

Ecco i principali metodi compositivi espressi:

partendo dai

(1) gruppi spontanei, che rappresentano la radice e l’autenticità,

(2) armonizzazione,

(3) elaborazione,

(4) canto d’ispirazione popolare.

GRUPPI SPONTANEI

Sentendo cantare i gruppi spontanei, e spesso in occasione particolari si possono ancora notare queste forme di aggregazione improvvisate, si intravede il contorno di un’esecuzione legata ad una prassi interpretativa pura, priva di qualsiasi regola fissa. Questa forma che potremmo definire (in senso positivo e pregevole) di “analfabetismo” musicale, nella piena libertà ritmica, in cui la ripetizione dello stesso brano non è mai rispettosa del rigore metrico, non avendo sostegno alcuna scrittura musicale, porta di volta in volta a costanti cambiamenti esecutivi ed interpretativi.

Nonostante il consolidamento di una prassi esecutiva ben precisa all’interno di ogni singolo gruppo, anche la dinamica può risultare del tutto casuale, variando a seconda del momento, del numero delle voci, del volume sonoro ed è soggetta ad “improvvisazione” con sfumature quasi sempre estemporanee.

L’uso abbondante e inconsapevole di fioriture e portamenti rientra perfettamente in un modo di cantare rustico, al di fuori di ogni impostazione vocale e mai artefatto. Questo ne rafforza l’espressività, l’efficacia, lo stile facendolo diventare un sistema codificato. Anche nell’esecuzione spontanea dei brani le voci si dividono con logica intuitiva così che il canto risulta a due voci, spesso con andamento parallelo ad intervalli di 3ª e raramente a tre voci di solito in chiusura.

In senso stretto, secondo un’ottica purista, con il repertorio e la proposta interpretativa di questi gruppi si può teorizzare che essi sono l’ultima espressione del canto popolare, in quanto l’introduzione del processo di armonizzazione ed elaborazione altro non ha fatto se non alterare l’antica radice di quella spontaneità che ne costituisce l’essenza ed il colore.

Ogni intervento colto è infatti “distruttivo”, semmai l’obiettivo dei processi di elaborazione può essere quello di far incontrare due culture e fonderle insieme. Questo modo resta l’unica vera armonizzazione; non si tratta tanto di tener vivo un linguaggio d’altri tempi, quanto di saperlo inserire nell’evoluzione naturale delle nostra società.

ARMONIZZAZIONI

La forma più semplice per arricchire una melodia con una veste armonica, composta da una sequenza di accordi che la rende più gradevole e ne arricchisce il contenuto espressivo, è l’armonizzazione. In essa quasi sempre non figurano giochi contrappuntistici, ricerche ritmiche, imitazioni, canoni, ardue modulazioni, fugati, effetti sincopati perché tipici di procedimenti compositivi più elaborati. L’impianto semplice e fondamentalmente accordale è sorretto dall’andamento omoritmico delle voci che evidenziano la punteggiatura, l’articolazione del testo e ne sottolineano la melodia.

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Esempio con armonizzazione di Luigi Pigarelli Il testamento del capitano (dal Repertorio del Coro SAT di TN)

Nella sostanza la melodia popolare armonizzata segue pari pari i criteri del corale luterano, la cui radice storica è del tutto simile: la melodia, spesso di carattere profano, col tempo si trasforma nel testo e si adegua alle esigenze del rito religioso (riforma luterana) e due secoli dopo viene armonizzata per coro da J. S. Bach che porterà questo modello ai massimi livelli, a tutt’oggi imitato.

ELABORAZIONE

Per elaborazione si intende un procedimento compositivo che, rispetto alla semplice armonizzazione, lascia maggior spazio alla fantasia e ne aumenta le possibili soluzioni. Spesso le caratteristiche della melodia o del frammento vengono unite a idee musicali personali con lo scopo di supportarsi a vicenda potenziandone il risultato. Sul piano strettamente tecnico-compositivo l’elaborazione (rispetto all’armonizzazione) prevede solitamente una scrittura molto più articolata, inserendovi motivi di imitazioni tematiche, passaggi del canto nelle parti gravi, modulazioni, giochi di voci in canone o addirittura piccoli fugati, spezzando così quella scrittura tipica dell’armonizzazione che vive fondamentalmente sulla omoritmia verticale delle voci. Questa scrittura più “mossa” offre inoltre l’opportunità di dare alle quattro parti una maggiore cantabilità e indipendenza nell’andamento melodico.

Esempio di elaborazione di Fedele Fantuzzi: Dimmi Armando (dal repertorio del Coro La Baita di Scandiano RE)

Esempio di elaborazione di Fedele Fantuzzi:
Dimmi Armando
(dal repertorio del Coro La Baita di Scandiano RE)

CANTI D’ISPIRAZIONE POPOLARE

Nel canto d’ispirazione popolare il musicista è l’autore della melodia, spesso anche delle parole e della conseguente elaborazione. In assenza del vincolo melodico e testuale tratta i brani con personale ispirazione pur ricalcando moduli e tematiche popolari, di fatto reinventandole.

La composizione libera e fantasiosa, per l’assoluta mancanza di condizionamenti preesistenti, si attiene comunque al rispetto della “forma” in cui la struttura si limita a due frasi musicali più o meno dilatate, contrapposte se necessario ad un ritornello.

Molte delle pagine corali oggigiorno, per il consenso pieno da parte degli esecutori e del pubblico, sono entrate nel solco della tradizione pur essendo d’autore. Pagine che non tradiscono affatto tutti quei caratteri peculiari di semplicità che contraddistinguono il canto popolare, ma al contrario lo valorizzano, lo rendono ancor più vivo permettendo ad ogni coro amatoriale (esperto in questo genere) di attingere ad un repertorio sempre più vasto. Solo per fare un paio di esempi, si pensi a “La montanara” (versi e musica di Toni Ortelli con armonizzazione di Pigarelli) o a gran parte dell’opera di Bepi De Marzi.

In questo percorso evolutivo siamo ben lontani da come i puristi del canto popolare vorrebbero conservare l’autenticità con tutti i connessi carismi, ma l’evoluzione nella composizione e nell’interpretazione è un processo irreversibile.

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Esempio di Canto di ispirazione popolare di Bepi De Marzi: Sanmatìo (dal repertorio del Coro I Crodaioli di Arzignano VI)

Per fortuna che nella musica restano sempre parole dal significato fondamentale e magico come la condivisione, il coinvolgimento, la carica emotiva, l’entusiasmo, l’energia e la bellezza estetica del canto che liberano da ogni pregiudizio il pensiero per diventare purezza musicale incontestabile.