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«C’era un’automobile in paese. Girava per le frazioni intorno, con alcuni ragazzi sopra, ed al volante uno, sempre quello: li prendeva dalle loro case e ce li riportava, certe sere a settimana, sempre quelle». La testimonianza della signora, sempre affacciata alla finestra dopo aver dato da cena al marito, si colora della pipa di Maigret. Ma negli anni ’70 a Colorno, bassa parmense, non c’era bisogno di Gino Cervi. Forse c’era un Fernandel, e dirigeva un coro parrocchiale – questo però tempo fa. Oggi al paese rimane un ‘sacerdote’, senza tonaca, ma con il doncamillesco dono di saper parlare ai crocifissi, e soprattutto di saper farli cantare. Ugo Rolli esercita il suo ministero corale ormai da cinquant’anni e da quaranta dirige il coro Paer (Colorno, 1974 – in attività) di cui è anche fondatore. È lui, padre naturale e spirituale, ad aiutare un biografo improvvisato come me nel tracciare un profilo della vita del coro Paer, giunto quest’anno a compiere i quarant’anni d’età.

Cominciamo allora. In principio era il Paer?

No, non subito. Il coro Paer nacque da una costola della corale Santa Margherita, la corale colornese di don Gabriele Fridoletti, dove allora cantavo (contava circa quaranta elementi ed aveva un repertorio disomogeneo, dal canto popolare all’opera lirica).la Fu dopo un concerto del coro Pizzetti di Adolfo Tanzi che presi la decisione di costituire un gruppo – eravamo in tredici – indipendente dalla corale Santa Margherita, votato alla pratica della polifonia classica; non conoscevo ancora il nome di Ferdinando Paer, perciò lo intitolai a Geminiano Giacomelli, anch’egli compositore colornese. I due cori proseguirono l’attività in parallelo per qualche tempo, poi decisi per la totale autonomia del mio gruppo. Era il 1974, e con l’indipendenza cambiammo nome in coro Ferdinando Paer.

‘Or comincia l’avventura’…

Dopo i primi anni, cominciammo ad ampliare il nostro repertorio con opere di più ampio respiro: il primo fu il Gloria di Antonio Vivaldi. Nel frattempo avevo conosciuto Antonio Burzoni e la sua corale Città di Parma: questo incontro fu decisivo per me, e di conseguenza per la crescita del coro. Con lui approfondii la polifonia classica e scoprii il canto gregoriano.

Ramificazioni: il canto gregoriano non rimase soltanto una scoperta.

Infatti. Spinto dalla passione, frequentai per anni i corsi estivi organizzati dall’Associazione Internazionale Canto Gregoriano a Cremona e, non volendo lasciare quegli studi nei libri, decisi nel 1986 di fondare all’interno del coro Paer una Schola Gregoriana maschile. La passione per la musica antica fece sì che accanto alla Schola Gregoriana maschile si formasse nel 1996 una Schola Gregoriana femminile, ora divenuta Schola Medievale. In quell’anno cedetti la direzione della Schola maschile ad Oreste Schiaffino, già corista del polifonico da una decina d’anni, che condivide con me la formazione cremonese e la grande sensibilità per questo repertorio. Il coro Paer quindi, ramificato in tre gruppi, riuscì a coprire tutto l’arco della storia della musica occidentale, da prima del Mille a dopo il Duemila.

Oltre all’ampliamento degli orizzonti storici, si approfondiva la vera vocazione del Coro Paer.

Certamente. Ho sempre creduto profondamente nella polifonia, nella convinzione che possa lasciare in eredità alla persona qualcosa di più di una semplice ora di svago. E non è una bugia se alcuni coristi mi confessano di essersi commossi cantando il Credo dalla Missa ad Imitationem di Jacobus Gallus. Fin dal nostro primo concerto – lo apriva il Regina Coeli di Palestrina – non abbiamo mai abbandonato la polifonia classica. Siamo cresciuti con lei, e lei ha cresciuto noi, permettendoci di cantare opere complete e complesse, come, ultimamente, le Lamentationes In Coena Domini di Palestrina e la Missa pro defunctis di Orlando di Lasso, oppure in passato la Missa Quarti Toni di Tomas Luis de Victoria e la Missa Aeterna Christi Munera, sempre di Palestrina.

Palestrina, Lasso, Victoria; aggiungo poi: Gesualdo, Josquin, Monteverdi, Scarlatti, e Poulenc e Bettinelli. lbRepertorio arricchito da titoli importanti, se non importantissimi, e di tutte le epoche: tra tutti la Johannes-Passion di Bach.

Quella fu senz’altro una delle esperienze più lusinghiere e gratificanti per noi. Non voglio però dimenticare le numerose cantate di Bach, il già citato Gloria di Vivaldi, il Romancero Gitano di Mario Castelnuovo-Tedesco, Un sopravvissuto a Varsavia di Arnold Schoenberg, ed il Requiem di Mozart, che studiammo interamente ma che poi, per problemi non dipendenti da noi, non riuscimmo a eseguire. Non dimentico poi un particolare concerto con musiche inedite dell’archivio di San Liborio a Colorno, in cui riportammo alla luce brani di Cagnoni, Rugarli, Robuschi e Paer; e poi un progetto sul Llibre Vermell de Montserrat con le due Scholae e l’intervento di strumenti medievali ricostruiti.

Accompagnano questa crescita artistica numerosi riconoscimenti in rassegne e concorsi. La prima volta nel 1984: Vittorio Veneto, primo posto.

In realtà la prima esperienza competitiva in assoluto fu alla 21^ Rassegna Nazionale corale “Città di Adria”, due anni prima. Vi andammo senza grandi speranze, arrivammo terzi. Poi venne Vittorio Veneto, come hai detto, e molti altri nel corso degli anni. Ricordo con particolare soddisfazione il primo posto nella categoria cori misti al 1° concorso Internazionale corale di Riva del Garda nel 1990: ad ascoltarci in giuria c’era Jürgen Jürgens del Monteverdi-chor di Amburgo. Anche la Schola Gregoriana maschile ricevette importanti attestazioni di merito, come il primo premio al 42° Concorso Internazionale Guido d’Arezzo.

E se volessimo tracciare una storia del Coro Paer sul lato umano? Intendo le persone, i coristi…

Ci sarebbe da perderci dei giorni, perché quasi duecento coristi (forse anche di più) sono passati per le file del Paer dalla sua fondazione: alcuni sono stati meteore di pochi mesi, altri invece hanno messo radici e vi sono rimasti per anni. Un numero ristretto poi è presente dalla fondazione (mi piace chiamarli “la vecchia guardia napoleonica”). Tra loro c’è anche Sandro Marchiori, il nostro presidente. Arrivava da Milano, dove cantava in un coro lirico; appena seppi che cantava, andai a casa sua per convincerlo ad entrare con noi. A quel tempo non aveva mai sentito parlare di polifonia: sono trentott’anni che la canta.

Ragionando per simboli, quarant’anni sono nella Bibbia, oltre ai vari deserti e diluvi, gli anni in cui si compie una generazione. Tornando all’incipit del nostro percorso, credi che oggi, 2014, si sia conclusa una generazione di Coro Paer?

La vita di un coro è l’insieme di tante generazioni quante sono le esperienze che quel coro fa: così per noi c’è stata una ‘generazione Gloria di Vivaldi’, una ‘Johannes-Passion’, una ‘Riva del Garda’ e così via. Ogni esperienza segna un passaggio. E tuttavia l’insieme di questi cambiamenti è tanto inscindibile che si può parlare solo di un’unica ‘generazione Paer’, che dura da quarant’anni e spero continuerà così anche in futuro. Certo, se poi vogliamo guardare al passato, non sono più quei tempi, quando dirigevo il neonato coro, in cui io partivo con l’automobile e giravo le frazioni intorno a Colorno per andare a prendere i coristi senz’auto e poi riportarli a casa, pur di farli cantare. Certe sere a settimana: quelle delle prove. Sempre quelle.

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