Due occhi curiosi mi guardano in attesa di risposta: è una giovanissima corista che con la sua classe sta partecipando al Festival di Primavera voluto dalla Feniarco. Montecatini, aprile 2015, Tapum! Guerra e Pace è il mio atelier che riunisce scolaresche e insegnanti delle scuole medie da tutta l’Italia. Tre giorni molto belli, pieni di musica e voglia di fare. Anche un’orchestra di un indirizzo musicale di Perugia. All’interessata corista ho chiesto di leggere ad alta voce il testo di Monte Pasubio, uno dei brani più famosi di Bepi De Marzi sulle parole di Carlo Geminiani.

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Ze i alpini = Sono gli alpini, e i denti… la miniera… e perché scavando trovano l’amor? Spiego, racconto, descrivo e mi impressiona l’attento silenzio. Prima di tutto la lettura, declamata, a tutto coro oppure a singoli cantori (…i due occhi curiosi di prima). Nella scheda didattica c’è il testo, la melodia con le parole sillabate, ma anche una fase preparatoria con sei spunti per il lavoro in classe: 1) Leggi il testo e trova i giusti appoggi per una corretta declamazione dei versi. 2) Prova a renderlo maggiormente espressivo con altre timbriche, pause, opp. accelerando e rallentando la declamazione. 3) Altri effetti: onomatopee a coro unito o diviso, eco, suoni tenuti, rumori, mimica facciale, passi e movimenti del corpo. 4) Musica il testo. 5) Ascolta la melodia originale. 6) Canta la melodia originale con la rilettura pianistica di M. Lanaro Non c’è bisogno di richiamare l’attenzione: gli alunni cantori già conoscono le regole di base del Far coro. Si lavora bene. A loro chiedo di leggere ad alta voce e di lasciare che una parola esca dal verso, come se un evidenziatore magico andasse a prelevarla, proprio quella e non altre. Ed ecco: lenta sale una lunga colonna viene a galla dalla I strofa. Gli alpini formano la lunga fila e salgono sul Pasubio, vanno al fronte ad ostacolare l’avanzata del nemico. Il coro inizia a marciare sul posto mentre la giovane lettrice (ora conosce il significato di quel Ze) declama al microfono. E’ già teatro, è già musica. La consapevolezza del dolore e dell’orrore della guerra, della paura, del freddo c’è tutta. Anche il pubblico al concerto finale lo percepisce e si commuove. Poi arriva la melodia di De Marzi ben studiata nel suo girovagare attorno al terzo grado, quello “cantabile”, per il primo e terzo verso, alternati all’onomatopeico bom borombom che diventa un grande schermo su cui “proiettare” lo struggente racconto. Poi il canto prende il volo e con una progressione arriva al Ma gli alpini non hanno paura sulla nota più acuta, è il ritornello/climax che si ripete ad ogni strofa. Ottima costruzione, impeccabile nell’esposizione della strofa articolata sui cinque periodi simmetrici: A A – B – C C

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Dopo il testo, dopo la linea melodica per ultimo arriva la mia rilettura pianistica che sradica il canto dalla sua matrice omoritmica, tipica del canto alpino per coro maschile, senza le “distrazioni” del contrappunto, con la parola scolpita da tutte le voci che sillabano, respirano, accentuano insieme. Il canto è dato qui ad una voce in tessitura media (dall’originale Lab M a Do M), adatto alla pratica corale nelle scuole o per programmare in tempi brevi una specifica richiesta di repertorio sulla Grande Guerra. La parte pianistica crea un habitat in continua evoluzione, a cercare combinazioni armoniche, timbriche e ritmiche non sempre “a portata d’orecchio”, evita il già sentito e chiede al pianista una disinvolta eleganza. La direzione non ha particolari difficoltà e può essere un ottimo esercizio per novelli direttori.
1° strofa: dei blocchi accordali aprono con l’ostinato di minima/semiminima restando fedeli alla scrittura omoritmica originale. Tonalità di Do Magg. con la melodia che inizia sul III.

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2° strofa: l’ostinato lascia lo spazio ad una scrittura avvolgente che sale sopra il canto; l’atmosfera è mossa dalla brezza delle crome e dalle appoggiature. Il canto nasce come V di la min. (già alla batt. 44 la 1° strofa chiude al relativo minore). Lo spostamento del centro tonale crea una diversa prospettiva.

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3° strofa: altra “sorpresa”, stavolta come V di La Magg. (già da batt. 87). Prima della fine tornerà l’ostinato iniziale sul Do Magg.

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Uno sguardo alla progressione (periodo B).

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Le scale per moto discendente (sempre in progressione)si muovono per moto contrario rispetto al canto che guadagna forza e speranza salendo per grado congiunto dal Fa verso il Do del Ma gli alpini come indicano i riquadri sulle note in battere.

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Cantare ad una voce può sembrare riduttivo (un po’ da gitanti in pullman), ma se il direttore è preparato e convinto anche il cantore che si sente sminuito capirà che la monodia permette maggior attenzione al senso della parola, miglioramento della  pronuncia e della varietà timbrica: il cantore sul palco è un attore, pur nella sua posizione fissa; la sua voce è il suo costume di scena e durante il concerto diverse sono le situazioni e i personaggi da interpretare. Per questo il timbro dovrebbe essere molto più curato e vario, mentre i nostri cori (mi riferisco qui ai maschili di derivazione popolare) cantano il dolore del Maledeta la sia questa guera con lo stesso colore del Dammi o bella il tuo fazzolettino. Sono quattro le melodie che ho arrangiato in altrettante riletture pianistiche. Tre di queste presentate da un coro maschile (Gruppo Corale di Bolzano Vicentino, diretto da Francesco Grigolo) che ha proposto con lo stesso impegno e passione i brani a quattro voci a cappella e i canti ad una voce con accompagnamento pianistico in un programma dedicato alla Grande Guerra. Nessun cedimento o superficialità nel passare ai brani all’unisono: segno di intelligenza e maturità. In questi giorni le stesse composizioni formano il programma d’apertura della mia Classe di Esercitazioni Corali al Conservatorio Dall’Abaco di Verona. Non sono gli occhi di una undicenne, ma la curiosità è la stessa, anche l’impegno e la consapevolezza della struggente bellezza di questi canti. Si tratta – come sempre – di dare ad ogni repertorio la sua giusta dignità e di saperlo proporre dentro un preciso spazio esecutivo. Non esistono repertori di “serie A o B”, ma direttori e cori e di livelli diversi. Di seguito propongo la versione completa di Monte Canino (una delle quattro riletture), nella parte di canto e pianoforte, con una breve analisi a fine brano.

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L’Introduzione dà al cantore la nota di partenza (notare il Sol sul battere di batt. 4) ma anche il giusto andamento e ambientazione. Non ti ricordi… e inizia il racconto: sopra il pedale di Sol le quinte vuote della mano destra (con raddoppio della nota bassa) creano una scala di Mib dal III grado (modo frigio) di doppia ottava con arrivo a batt. 18. Qui è richiesta la capacità di leggere dall’alto: ai miei allievi parlo di un immaginario elicottero che si alza dal suolo in modo che l’occhio possa vedere oltre le case, le piazze e i palazzi, per cogliere le vie e tutto il rione. Due rimbalzi discendenti di raccordo (batt. 19) sempre sul Sol e la 2° strofa apre sulla tonica più appagante di Mib Magg. A dire il vero il “quasi sol minore” della I strofa suscita un po’ di incertezza, dato che tutte le versioni corali armonizzano la melodia nel modo maggiore. Rimane il pedale al basso (prima su tonica Sol, ora su tonica Mib) ma già trova altre profondità (vedi il do minore di batt. 29). Non più quinte vuote, ma una successione di triadi più pastose che ripercorrono la strada precedente verso l’acuto. La 3° strofa (batt. 36) muove ritmicamente con l’inserimento di crome, la scrittura diventa più densa a cercare (e trovare) soluzioni emotivamente più accese. Anche qui, come nelle altre riletture, ogni strofa ha una sua “realizzazione scenica”, una sua regìa. Il canto mantiene sempre le stesse note e durate, ma il panorama è in continuo mutamento, con finestre che si aprono su nuovi paesaggi e lasciano entrare aria fresca. E’ il momento di chiudere: la Coda finale aggiunta viene annunciata da una Cadenza d’Inganno (V-VI, batt. 50/60). L’inciso melodico di inizio strofa è per due volte vocalizzato (Uh) e, per ultimo, ripete le stesse parole di inizio Non ti ricordi. Il Sol finale prolungato (V sull’armonia di Do Magg. con 9°) rimane in attesa: il racconto potrebbe continuare dentro di noi.