Nel primo numero di FarCoro (I, 2016) abbiamo pubblicato un articolo del M° Pier Paolo Scattolin, dal titolo “Il futuro nella coralità”, da cui sono scaturite interessanti riflessioni dei nostri lettori. Ne pubblichiamo due.

CANTO CORALE E SCUOLA: UN MATRIMONIO CHE S’HA DA FARE?

di Matteo Unich

Alcuni anni or sono, durante una tournée del mio coro in Germania, mi recai in una chiesa per partecipare alla funzione domenicale. Alla porta, su un tavolino, vi erano dei fascicoli che i fedeli prendevano entrando. Feci lo stesso e mi resi conto che si trattava del foglio con i canti da eseguire durante la celebrazione. Fin qui, si potrebbe obiettare, niente di strano. Al massimo un liturgista potrebbe sospirare pensando che da noi molto spesso i canti vengono scelti durante la celebrazione invece di prepararli prima, permettendo in questo modo la distribuzione di foglietti “mirati” come in questo caso. La differenza sostanziale, e il motivo della citazione di questa lontana esperienza, sta nel fatto che in quei fogli non c’erano solo i testi dei canti – come abitualmente nelle nostre parrocchie – ma le partiture a quattro voci miste dei brani oggetto di esecuzione. Questo implica da parte del comune fedele, e si può supporre della persona in generale, un certo livello di consapevolezza musicale che si può sintetizzare in questi fattori: a) cognizione del proprio registro vocale; b) capacità di lettura cantata a prima vista; c) consapevolezza armonica tale da permettere di cantare una voce diversa da quella della melodia principale. A quanto pare, queste cognizioni sono comuni in Germania. Non credo di dovermi diffondere su quanto queste nozioni siano invece pressoché sconosciute in Italia.

Da dove partire per portare l’italiano medio ad acquisire capacità simili a quelle del tedesco medio? Come alfabetizzare musicalmente un intero popolo? Come far cantare nuovamente gli appartenenti ad una stirpe che discende direttamente da quella che ha letteralmente inventato il canto come viene praticato ora in tutto il mondo occidentale (tranne che, ovviamente, proprio da noi)? L’unica risposta possibile è: partendo dalla “base”. Tralasciando al momento i – purtroppo sempre più frequenti – casi di “analfabetismo di ritorno”, cioè l’incapacità di leggere e scrivere dovuta alla prolungatissima inattività in questi due esercizi, possiamo assumere che ogni italiano sappia leggere e scrivere, quindi abbia un livello avanzato di conoscenza della lingua italiana non solo nella sua forma orale. Dove ha ottenuto queste cognizioni? Nella scuola. Dove quindi l’italiano medio dovrebbe acquisire la consapevolezza musicale e corale della quale lamentiamo la mancanza? Parimenti nella scuola. Possiamo quindi dare per acclarata una dolorosa costatazione: i problemi musicali e canori degli italiani nascono da carenze dell’organizzazione scolastica. Individuato l’origine del male, dovremmo indicare una cura: alla diagnosi deve seguire una adeguata terapia. Ora, poniamoci una domanda: come “apprendiamo” le cose? Come ampliamo le nostre capacità? Lo facciamo tramite esercizi graduali e mirati sulla disciplina oggetto dell’apprendimento. Come impariamo a scrivere? Scrivendo. Come impariamo a leggere? Leggendo. O a contare, nuotare, sciare? Svolgendo queste attività partendo dal poco per arrivare al molto, partendo dagli elementi base per giungere a quelli avanzati. Come quindi potremmo imparare a cantare, leggere la musica ed essere musicalmente indipendenti? Semplicemente con esercizi mirati ad acquisire queste capacità, svolti dietro indicazioni e guida di docenti qualificati. E qui purtroppo ci imbattiamo in un problema di fondo.

I nostri insegnanti, e parlo del livello “base”, quindi scuola dell’infanzia e scuola dell’obbligo, sono certamente ottimi nelle discipline che devono insegnare. Lungi dalle intenzioni di chi scrive negare l’impegno e l’abnegazione “missionaria” da parte dei docenti, sia di quelli che potremmo definire “generalisti” nella scuola dell’infanzia e nella primaria, sia di quelli più specifici della secondaria di primo grado. Il problema è che non possono insegnare quel che nessuno ha insegnato loro: la musica e il canto. Io che non so nuotare, certamente mi guardo bene dall’insegnare a nuotare a qualcuno. Il problema di fondo al quale accennavo alla fine del paragrafo precedente è proprio questo: ai docenti viene chiesto di insegnare qualcosa che essi stessi non conoscono.

Mi si potrebbe obiettare che nella scuola secondaria di primo grado c’è l’insegnante di musica. Verissimo. C’è un insegnante, diplomato in uno strumento musicale, che ha programmi specifici da rispettare e che deve garantire un livello di competenze dell’alunno ad esso affidato. Contro obiezione numero uno: il bambino che approda alla scuola secondaria di primo grado ha già alle spalle ben cinque anni di scuola primaria nella quale ha lavorato sodo sulla lingua italiana, sulla matematica, sulle altre discipline indicate dalla dizione “cultura generale”; perché quindi dovrebbe essere costretto a partire da zero nella musica e nel canto quando ha già undici anni? (Senza contare il fatto, tutt’altro che secondario, che quando il bambino giunge alla scuola dell’infanzia e ancora più alla primaria è già capace di parlare e in possesso di un lessico piuttosto ricco. Gli manca la parte teorica della lingua, non quella pratica). Contro obiezione numero due: l’insegnante di musica, diplomato in strumento (quale che sia, il discorso vale per il pianista come per il violoncellista, per l’oboista come per l’arpista), che ha tra i suoi vari compiti quello di far cantare i ragazzi, è in possesso della consapevolezza musicale, canora, fisiologica che serve a questo scopo? Conosce la fisiologia dell’organo vocale, la fonazione, le tecniche del canto? E, soprattutto, sa cantare? Ancora una contro obiezione: leggiamo insieme le competenze musicali che il bambino dovrebbe possedere alla fine del suo cammino nella scuola primaria.

• Utilizzare voce, strumenti e nuove tecnologie sonore in modo creativo e consapevole, ampliando con gradualità le proprie capacità di invenzione e improvvisazione.

• Eseguire collettivamente e individualmente brani vocali/strumentali anche polifonici, curando l’intonazione, l’espressività e l’interpretazione.

• Valutare aspetti funzionali ed estetici in brani musicali di vario genere e stile, in relazione al riconoscimento di culture, di tempi e luoghi diversi.

• Riconoscere e classificare gli elementi costitutivi basilari del linguaggio musicale all’interno di brani di vario genere e provenienza.

• Rappresentare gli elementi basilari di brani musicali e di eventi sonori attraverso sistemi simbolici convenzionali e non convenzionali.

• Riconoscere gli usi, le funzioni e i contesti della musica e dei suoni nella realtà multimediale (cinema, televisione, computer).

Al di là delle fumisterie del linguaggio burocratico-ministeriale (e tralasciando il terzo punto, che a mio avviso sarebbe complesso anche per alunni di Conservatorio dei corsi avanzati), mi colpiscono in modo particolare il secondo punto e il quinto. Sfrondati dalle ridondanze, dovrebbero voler dire rispettivamente che il bambino, al suo arrivo nella scuola secondaria di primo grado, dovrebbe essere capace di cantare anche in polifonia (ed essere intonato, espressivo e partecipe!!!) e in grado di utilizzare “sistemi simbolici convenzionali” che a mio sommesso avviso dovrebbero essere le note sul rigo, presumibilmente in chiave di violino, e le durate dei suoni espresse con le figure e pause. Se tra chi legge c’è qualche in segnante di musica della scuola secondaria di primo grado, alzi la mano se ha mai avuto anche un solo alunno che avesse conseguito queste competenze nella scuola primaria. Ah, ecco, proprio come pensavo.

Dopo le fosche tinte del quadro appena rappresentato, vediamo su quali linee si potrebbe agire per migliorare la situazione in essere. Anzitutto, nella scuola dell’infanzia e primaria è indispensabile la presenza dell’esperto – esterno o interno che sia – di musica e di canto corale, che affianchi i docenti titolari e che possa portare avanti un cammino reale di consapevolezza musicale e canora. Tra l’altro questo evita anche che la musica, quando affidata a un insegnante del modulo, venga sacrificata sull’altare dell’esigenza contingente, al motto di “siamo indietro con XXXXXXXX” (potete mettere quel che volete al posto della X, da matematica a grammatica passando per storia e scienze); se l’insegnante di musica piomba in classe, non ci sono santi, si deve fare musica. Chiaro che “l’esperto” deve essere tale, in grado di insegnare musica, di cantare, di far cantare, di fare appunto crescere gli alunni nella musica e nel canto, siano essi nella scuola dell’infanzia o nella primaria. Per ottenere risultati reali e duraturi però questo intervento nelle scuole dev’essere sistematico, con orari ben definiti e stabile nel tempo, deve accompagnare i ragazzi per tutti gli anni della loro formazione, non può essere affidata alla buona volontà del singolo docente o modulo. Successivamente, arrivando alla scuola secondaria di primo grado, i ragazzi devono trovarsi davanti un insegnante che conosca realmente le problematiche legate al canto e alla fonazione, anche perché proprio in questi anni i maschi dovranno affrontare la muta della loro voce, scoglio contro il quale spesso si infrangono gli sforzi anche dei giovani più desiderosi di cantare. Purtroppo – e qui si ricade nelle tinte fosche – la formazione conservatoriale degli strumentisti non prevede alcun tipo di attività in questo senso: ci si libera con sollievo del famigerato solfeggio cantato (e mai invece disciplina fu più utile alla formazione del musicista, laddove spesso abbiamo splendidi strumentisti che non sono in grado di intonare una seconda maggiore DO RE senza strumento) e ci si inventa ogni sorta di scuse, se non sei parte dell’orchestra dell’istituto, per scansare le esercitazioni corali obbligatorie, parimenti famigerate, che avrebbero il merito – se ben gestite dall’insegnante incaricato – di formare l’alunno futuro insegnante nelle scuole ad un certo tipo di uso della voce e di lettura cantata. Terzo punto formativo, l’istituzione di cori scolastici nelle scuole primarie e secondarie sia di primo sia di secondo grado. Qui, fortunatamente, la situazione è più rosea. Questo genere di sodalizi sta fiorendo in molte scuole, forse facilitato anche dalla sempre più forte presenza di concorsi dedicati a questa categoria corale, anche se talvolta il giovane coro e il suo direttore si imbattono in tutta una serie di problemi – partendo dallo “scarso appoggio” (delicato eufemismo, forse sarebbe più appropriato definirla “aperta opposizione”) di dirigenti e docenti della scuola, che però magicamente scompare qualora il coro vinca un concorso e crei lustro alla scuola, e arrivando fino alle critiche aspre dei genitori il cui rampollo, novello Pavarotti, non è stato scelto come solista – che inizialmente non erano previsti, e che possono condizionare pesantemente lo sviluppo dell’attività corale.

In questo panorama, cosa possiamo fare, e cosa stiamo facendo, noi di AERCO? Prima di tutto, quest’anno ha preso il via, con risultati lusinghieri, un corso per direttori di cori scolastici articolato in cinque lezioni su altrettanti argomenti (vocalità, tecnica direttoriale, coralità pratica, repertorio e improvvisazione) e svolto in parallelo in tre sedi, onde venire incontro alla necessità degli iscritti di rimanere non troppo lontani dalla zona di residenza. Potete leggere le opinioni di un corsista in altra parte di questa rivista. Chiaramente l’iniziativa deve avere seguito in questo e negli anni a venire, facendo tesoro delle opinioni positive e delle critiche costruttive e cercando di migliorare sempre e comunque, affinando le tecniche e proponendosi a una platea sempre più vasta (anche se la ventina di iscritti di quest’anno è stata già un clamoroso successo).

kAlcuni anni or sono AERCO organizzò, per iniziativa del M° Antonio Burzoni, un convegno dal titolo “Dal canto in classe al coro che canta” avente per argomento lo sviluppo della coralità scolastica. Tra i risultati di quel convegno vi fu la richiesta, da parte dei docenti che vi parteciparono, dell’istituzione da parte di AERCO di un albo o registro degli animatori musicali che l’Associazione ritiene in grado di agire nel modo giusto dal punto di vista della coralità. Per il momento la cosa è rimasta a livello di proposta, ma credo che la Commissione Artistica potrebbe dare delle linee guida per creare finalmente questo strumento che ci viene richiesto direttamente dal mondo della scuola. Inoltre credo che sarebbe opportuno creare una figura, all’interno di AERCO,di responsabile o punto di riferimento per i cori scolastici e per i vari problemi organizzativi, logistici e didattici che questi si trovano ad affrontare, che sia anche in grado di mettere in relazione o in circuito i cori scolastici all’interno di ogni delegazione provinciale AERCO. Sarebbe bello che il crescere di numero dei cori scolastici fosse tale da richiedere una simile figura per ogni delegazione provinciale, anziché una in tutta la Regione.

Ancora prima AERCO aveva lanciato un progetto dal titolo: “Coro, adotta una scuola! Scuola, adotta un coro!” destinato a promuovere gemellaggi tra scuole e cori in ambito locale. I vantaggi di simili consociazioni sarebbero stati molteplici, possiamo elencarne alcuni: i cori viaggiano per concerti e possono riportare dalle loro destinazioni oggetti, ricordi e fotografie che avrebbero potuto costituire occasione di apprendimento per gli alunni; le scuole organizzano feste alle quali il coro “gemello” avrebbe potuto partecipare; il Maestro del coro avrebbe potuto diventare una specie di consulente per le attività musicali della scuola, e così via in un crescere reciproco di impegno e di maturazione. Purtroppo né le scuole né i cori hanno aderito a questa iniziativa, purtroppo naufragata in un nulla di fatto.

Il ritorno all’alfabetizzazione musicale di un intero popolo è cosa che richiede parecchi decenni, e difficilmente noi potremo vedere i frutti di questo lavoro, ammesso e non concesso che questo lavoro parta e che abbia successo. Alcuni segnali positivi ci sono: tra questi, come accennato, il fiorire di cori scolastici e di concorsi ad essi relativi (la competizione, vissuta in modo sano e corretto, spinge a cercare la qualità e l’eccellenza e quindi ad elevare il livello complessivo, anche quando non giunga a conseguire il primo premio di un concorso); oppure il progetto lanciato alcuni anni fa dal ministro Luigi Berlinguer, denominato “Un coro in ogni scuola”, che ha valore e obiettivi nobili, ma che purtroppo soffre molto di “autonomismo” invece di cercare di rapportarsi alle realtà locali che da anni o da decenni operano e agiscono per promuovere la coralità. Altri punti sono, purtroppo, molto più oscuri: tra questi, oltre a quelli sopra ricordati, dobbiamo denunciare il disinteresse (e anche in questo caso si tratta di un eufemismo) per le proposte inerenti il canto corale della maggior parte dei Dirigenti Scolastici, in tutt’altre faccende affaccendati come la Vostra Eccellenza della celebre poesia di Giusti; la mancanza di sensibilità in questo senso da parte dei Direttori di Conservatori ed Istituti Pareggiati, spesso più occupati a cercare di sfornare ottimi “strumentisti” piuttosto che ottimi “musicisti”. Altre criticità: i programmi, sia delle scuole sia dei Conservatori, da riformare in senso più corale e più canoro, insistendo sulla lettura cantata a scapito di quella parlata; la mancanza di una formazione vera per docenti e direttori di coro sulla vocalità e la fonazione, in collaborazione con istituti come “La voce artistica” del dottor Fussi di Ravenna, che insista sulle evidenze scientifiche a scapito dell’artigianato vocale (ricordiamo la famigerata cattedra di “canto ramo didattico”, che era come dire “io non so nuotare ma ho il patentino per insegnare a te a nuotare“); la mancanza da parte di alcuni docenti (e spesso anche di alcuni direttori di coro) della spinta a migliorarsi, ad apprendere nuove tecniche, ad approfondire le loro conoscenze e la loro didattica, sentendosi forse già “arrivati”. Tutte queste cose vanno certamente denunciate e noi non dobbiamo mai stancarci di proporre nuovi strumenti, nuove occasioni di crescita, opportunità di formazione e di miglioramento. Non dobbiamo mai scoraggiarci o smettere di lavorare instancabilmente per cambiare la situazione, consapevoli che ogni cammino, anche il più lungo, comincia necessariamente con un solo passo e – soprattutto – con la volontà di compierlo.ka

di Carmine Leonzi

Carissimi tutti, conosco bene l’amico-maestro Pier Paolo sia dal punto di vista umano che professionale.

Con lui ho intavolato spesso riflessioni in merito all’aspetto generale della coralità e del ruolo importante dell’associazionismo corale. Abbiamo affrontato temi che vanno dall’analisi del ruolo del maestro a quello dei rapporti socio-affettivi che si instaurano nei cori.

Ho frequentato con piacere l’ambiente corale bolognese dell’Euridice e in esso ho ravvisato una “apertura” al mondo esterno, ai maestri, ai cantori, a quello importantissimo dell’Accoglienza in senso lato. E’ qui che, a mio avviso, deve innestarsi il discorso aperto da Pier Paolo: coro come ambito sociale, una sorta di volontariato musicale che favorisca la “partecipazione” attiva e non solo fruitiva della musica. Il discorso non può staccarsi da una analisi di tipo sociologico che avverte grossi deficit nei rapporti tra le persone e tra la coralità e le istituzioni. Troppo spesso il coro è visto come soggetto “altro” in riferimento agli aspetti morali e civici. Quindi come una appendice della vita cittadina. Sappiamo invece che è un microcosmo, specchio della società. Di quella che oggi “delega” la scuola alla educazione, ma una scuola che “buona” non è. Io sono un insegnante da circa 40 anni e ho trascorso il mio curricolo dalla scia del ’68, passando per il “60 politico” ai tentativi di innovazione degli anni ’80, alla stasi dei ’90 e alla follia senza idee degli ultimi anni. C’entra poco con il nostro discorso si dirà! Può darsi. Ma in questi 40 anni oltre ai cambiamenti istituzionali ho avvertito, conseguentemente, lo scemare degli interessi giovanili per il “sapere” a favore dell’”avere”. Di chi è la colpa? Di uno sciocco capitalismo culturale che impone l’ultimo modello di telefonino e che ti “offre” un contatto elettronico con il mondo. Condivido certamente l’idea che la scuola debba avere un coro, come afferma “il tavolo” di Berlinguer, ma non tutti sanno come ci si muove a fatica nei meandri della burocrazia scolastica. Allora, come dice l’amico Luigi Di Tullio, dovrebbe essere il Miur a considerare un direttore di coro come docente effettivo.

La “buona scuola” della Giannini e di Renzi prevede, nella famosa e fatidica fase C, il ruolo di potenziamento che in realtà è una sorta di parcheggio nelle sale insegnanti o al massimo di qualche supplenza di tutte le materie. Non è poi così difficile immaginare gli insegnanti di musica con esperienza corale a formare un coro scolastico. Non come uno dei “progetti ombra”, ma come incarico didattico, come ruolo riconosciuto. Allora l’insegnante non è più un volontario ma un docente di pratica corale. Allora si riapre il ruolo della nostra Associazione nazionale che dovrebbe farsi carico di questa proposta nei confronti del Miur. Certamente i giovani avranno “nella” scuola la proposta e la risposta alle esigenze, solo apparentemente labili, della socializzazione adolescenziale, che non è sparita, ma che va riscoperta e valorizzata. Il coro sarebbe così l’ambiente ideale per crescere.

Concordo con gli altri punti relativi ai repertori, e a quanto detto ampiamente.

Grazie a chi ha perso un po’ di tempo a leggermi.