Così definisce la scienza la nostra funzione vocale. Senza voler inoltrarci in considerazioni socio-culturali, economiche e politiche che ci porterebbero ad occupare molto più spazio di  quello a disposizione, colgo l’occasione per provocare una riflessione su quanta e quale importanza abbia la voce.

Tutti usiamo la voce per conversare, ognuno di noi lo fa quotidianamente per comunicare; è il mezzo di comunicazione più utilizzato dall’uomo, fatto salvo i sempre nuovi strumenti tecnologici. La nostra voice è uno strumento straordinario di identificazione della persona; è come mostrassimo la nostra foto, un documento di identità. Quando qualcuno ci telefona identifichiamo subito la persona amica  ancor prima che si presenti, senza supporto video. E ancora: lo spettro armonico della nostra voce, ossia il timbro dato dalle formanti armoniche, è uno dei parametri di riconoscimento pari al DNA biologico e alle impronte digitali.
Moltissime sono le professioni in cui è indispensabile usare la voce (giornalisti e conduttori Radio Televisivi, commercianti, insegnanti, intrattenitori, religiosi, cantanti, artisti di teatro e quant’altri vogliamo aggiungere). Come vediamo quasi tutto il mondo gira attorno alla voce dell’uomo. Funzione “fisiologica” necessaria per esprimere inoltre i nostri sentimenti, le gioie, le paure, le decisioni più o meno importanti, anche per decidere di guerra o di pace. Anche il linguaggio scritto assume un significato più completo quando un testo, una prosa, una poesia prende voce, viene letta e detta, interpretata e diffusa. Insomma se non potessimo servirci della voce dovremmo sviluppare altri sistemi modificando radicalmente il nostro modo di vivere. Eppure la scienza definisce la voce “una Funzione Biologica di Scarto”! Forse anche a causa di questa etichettature  non è mai esistita una cultura della voce, intendo una educazione dello strumento vocale a partire dalla prima età, mai voceprevista negli ordinamenti e programmi scolastici. Anche la famiglia, i genitori, da coloro i quali  i bambini imparano a modulare la voce, a parlare correttamente, e anche ad assumerne tutti gli eventuali difetti, latitano su questo versante. Spesso la famiglia è disinformata, non sensibile e poco accorta alle lente ma progressive degenerazioni, qualora avvengano, del suono vocale del proprio figlio. Si può dire che non sanno ascoltare, non hanno orecchio! Ho avuto modo di riscontrare casi di disfonie più o meno gravi in bambini di cui il genitore non se ne era mai preoccupato, e soltanto all’invito ad ascoltare attentamente notava l’anomalia con la quale , e il bambino e i genitori da tempo convivevano. “Ha sempre parlato così!” questa era la loro risposta.
Fermiamoci allora un attimo a riflettere. L’educazione fisica, disciplina obbligatoria nella scuola, prepara il corpo ad uno sviluppo armonioso, non è così? Non ne avrebbe lo stesso diritto anche tutto l’apparato muscolare, cartilagineo, osseo e respiratorio di cui nella vita se ne farà un uso illimitato spesso inconsapevole? Non è forse legittimo sperare che imparare a usare bene la propria voce, un bel parlare rende bella mia persona, la fa desiderare e può contribuire ad un maggior successo anche in molti campi professionali. Perché non prevedere anche questo tipo di investimento?
Diversamente la Scuola, attraverso proprio gli insegnanti, frequentemente ci offre esempi di brutte voci, inespressive, affaticate e spesso ammalate di patologie tipiche  di coloro che hanno usato male o abusato della propria voce, o che non hanno mai potuto conoscere il proprio strumento per imparare ad usarlo bene. Quante volte capita di incontrare insegnanti con gravi disfonie, dopo anni di insegnamento, e che troppo tardi si accorgono di non riuscire più a parlare bene e che vorrebbero miracoli da qualche incontro di tecnica vocale e qualche seduta di logopedia. I modelli vocali oggi diffusi dai media purtroppo non fanno sperare berne: voci roche, rauche, urlate, sdolcinate ma microfonate che però fanno immagine, fanno mercato, e sono imitate, copiate, attirano l’attenzione, voci da piazza, da stadio, da discoteca, da ipnosi collettiva…
Non condanno tali abusi, ognuno del suo corpo e della sua psiche ne fa quello che vuole, ma c’è una ragione in questo comportamento collettivo: l’altra voce, la voce armonica, la voce vera, non quella trasognata, la voce della nostra voce non trova più lo spazio dentro molti giovani d’oggi perché più difficile da ascoltare, perché è da ascoltare in silenzio; troppo faticoso impegnarsi per conoscerla perché resti pulita e bella. Ieri, quando il mondo era meno inquinato si cantava di più, si parlava anche meglio senza amplificazione: pensiamo ai grandi oratori dei fori e i grandi predicatori nelle chiese, i cantastorie nelle piazze e i mercanti ambulanti. La loro voce era già bell’amplificata naturalmente. Magari fa tendenza frequentare palestre per poter sfoggiare con orgoglio i muscoli scolpiti sul proprio corpo …coniugando magari la propria immagine scultorea ad una voce parlata che nulla ha da invidiare allo sfregamento di due fogli di carta vetrata!
Tutto ciò grazie anche a una Scuola in cui l’interesse verso la voce si identifica con una sorta di Educazione Musicale da molti improvvisata: qualche canzoncina imparata da un CD e ricantata poi sopra il disco a tutto volume senza tener conto di quali potrebbero essere gli inconvenienti e i danni derivati da tale pratica. Non è pessimismo! Nel contatto con genitori ed educatori raccolgo purtroppo molte testimonianze che confermano nel tempo anche le mie dirette esperienze.
Ma per fortuna non è sempre così! Non dappertutto è così! Non è così soprattutto dove esiste e resiste una certa coralità, e dove qualche zelante educatore si sostituisce alla scuola, o nella migliore delle ipotesi opera nella scuola. Esistono anche molte isole felici, quindi.
Da sempre filosofi, letterati, didatti, pedagoghi, educatori, financo i politici sono d’accordo nell’affidare al canto, al coro, quindi alla voce cantata, un insieme di valori che nessun’altra pratica riesce ad esprimere : socializzazione, disciplina, rispetto dell’altro, coscienza di sé e del proprio corpo, cultura, capacità di esprimere le emozioni le più diverse, l’autocontrollo, il benessere psico-fisico, il sentimento che intenerisce l’anima, scioglie il cuore e regala serenità.
Più sopra dicevo della voce armonica; quel nostro che ne produce altri: gli armonici. Gran cosa poterli riconoscere. Sperimentare proprio nel coro: ne guadagnerebbe anche l’intonazione della voce, l’educazione dell’orecchio e la corretta esecuzione delle relazioni nella scrittura polifonica. Nei nostri cori forse manca questo tipo di formazione ed educazione che sta sempre più diventando necessaria e coerente per godere del proprio strumento e per meglio interpretare qualsiasi pagina musicale.
La forza terapeutica degli armonici e delle risonanze interne hanno dato vita a molteplici ricerche sulla voce e sulle sue proprietà: la creatrice della psicofonia, la francese Marie-Luise Acher, qualche decennio fa ha visto nell’uso della voce il modo per sperimentare sensazioni ed emozioni e dare vita ad un percorso di crescita personale. Le vibrazioni della voce creano un massaggio interno che allenta le tensioni e regala un benessere che arriva alla mente. Nello sviluppo della propria vocalità più ampia è la gamma dei suoni (armonici) maggiore è la possibilità di star bene. Insomma imparare ad usare la voce per stare bene, ma anche per far star bene gli altri: ecco la voce artistica, la voce dell’artista del coro (sia esso amatoriale o professionale). Del solista , dell’attore.
Nella nostra coralità amatoriale. Dove esistono delle realtà che per valore e impegno spesso superano quelle professionali. È sempre più difficile attirare l’interesse dei giovani che si potrebbero salvare dalla crescente profanazione della propria voce – la tifoseria da stadio, la frequenza di locali dove per farsi ascoltare bisogna urlare, l’abuso di fumo e alcool, vestire svestendosi  anche quando il meteorologo suggerirebbe il contrario, passare da ambienti molto accaldati, magari sudati, ad ambienti freddi e magari esposti a correnti d’aria senza adeguate precauzioni.
Quanto sopra, se può interessare, riguarda la così detta IGIENE VOCALE che rientra solo nei programmai delle Scuole di Canto dei Conservatori e Istituti musicali. Il compito resta sì alla scuola, alla famiglia, ma pure agli insegnanti di canto, ai maestri di canto, ai direttori di coro, agli educatori e a tutte quelle realtà culturali e musicali che ancora si dedicano alla promozione della coralità.
Anche nella scuola, sia primaria che secondaria, il coro rappresenta una fase importante e necessaria, per quanto sin qui detto, della formazione globale della persona.
Ma non chiamiamola esperienza corale se non è guidata da insegnanti preparati e consapevoli di mettere le mani sul corpo e la psiche dei ragazzi  i quali grazie al loro intervento possono amare il canto come odiarlo definitivamente. A quanto pare occorrono insegnanti appassionati, preparati non solo musicalmente e soprattutto nella didattica di base (alfabetizzazione musicale), ma, di più, capaci di usare la propria voce, averne una sufficiente coscienza per poi saper guidare i propri coristi in un cammino di ricerca. Oggi abbiamo a disposizione diverse modalità di approccio, anche per i nostri cori, ad una voce cantata corretta, cosciente e consapevole. Basta guardarsi attorno e accorgersi che qualche altra realtà corale ha cambiato in meglio la propria immagine vocale. Bussare alla loro porta e chiedere dove possono aver attinto tanto benessere: dal proprio direttore e da aiuti esterni?
Avviare qualcuno alla ricerca della propria voce significa aiutarlo a trovare dentro di sé delle latenti potenzialità, a provare delle particolari e nuove sensazioni, a rimuovere della barriere interiori, a percepire con orecchio diverso quanto il nostro quotidiano ci impedisce di sentire a causa dello stress, dei condizionamenti ambientali e la rumorosità. Migliorare la vocalità del cantore gli consente di usare la voce senza forzarla, senza piegarla all’esigenza di sentirla forte”. Non a tutti è dato diventare dei Pavarotti, dei Del Monaco o dei Bruson. Ognuno di noi è un UNICUM nella sua personalità vocale (non entro nel merito della musicalità); sta di fatto invece che una certa scuola vorrebbe sfornare voci ad imitazione di quello o quell’altro modello perché il repertorio lo richiede, perché il Teatro cerca quelle voci (Rossiniane, Verdiane, Pucciniane,ecc).
Mi pare che ancor prima di Rossini, Donizzetti, Verdi anche altri abbiano lasciato qualcosa da cantare, per citarne alcuni: Josquin DesPres, Palestrina, Orlando di Lasso, Monteverdi, Gesualdo, Scarlatti, Bach, Mozart, Haydn, Mendelssohn, Brahms, ecc. Senza tralasciare la grande letteratura romantica e l’immenso patrimonio di Canto Popolare italiano e internazionale. Sarebbe intelligente allora che a molti studenti di canto senza caratteristiche verdiane e quant’altro  fosse offerta loro queste altre “nobili” alternative.
Mi permetto di esprimere un’opinione che sono certo va a toccare la sensibilità di qualcuno, ma che risponde a verità: quei coristi che si formano con il grande repertorio vocale precedente al melodramma ottocentesco acquisiscono una preziosa dimestichezza tecnico-vocale e musicale che diventa indispensabile anche nel teatro d’opera dove è richiesto frequentemente tanta e sola voce. La parola non esiste quasi più, non ci si emoziona più e non si capisce nemmeno più la trama,… per fortuna esiste il “gobbo digitale” per il pubblico italiano con i testi anche per le opere in lingua italiana.
E se i trattati di canto si sono sempre profusi in raccomandazioni per una netta articolazione delle consonanti, nella pratica i cantanti hanno spesso inteso sacrificarla a favore  di certi effetti canori. Riporto quanto scriveva nel 1842 un mio omonimo, Alberto Mazzucato, maestro di Canto nel Conservatorio di Milano: “Vi sono molti cantanti, specialmente donne, che credono un ostacolo alla bellezza del canto, o almeno alla libertà del loro vocalizzo, la franca e netta pronuncia, e sotto l’influsso di questa falsa credenza sopprimono in tal modo le parole poste sotto le note che giungono all’orecchio dell’uomo, anche al più attento, altro che il senso come di un vocalizzo sull’I,E,A,O,U; ed anche cangiano il suono di queste, secondo la loro particolare disposizione a produrre le une invece che le altre; di modo che non è difficile sentire dei cantanti cangiare le A in O, e tutte le E in U” (F.-J.Fétis, Metodo dei Metodi di Canto, 1969).
Ogni tanto si intravvedono segnali di cambiamento: Pensate che in una edizione del Concorso per cantanti lirici intitolato a “Iris Adami-Coradetti” di Padova, la giuria ha assegnato la palma di vincitore ad un contralo maschio, un contraltista quindi, e per di più italiano!
Anche queste voci desuete, ma spesso ricercate anche nella nostra coralità, hanno ancora futuro! La scuola di canto italiana per costoro non prevede corsi specifici, non foss’altro che in corsi di canto barocco.
Non vorrei tralasciare un aspetto importante della vocalità  che si dimentica di trattare, pensandolo scontato: conoscere l’orecchio, meglio i nostri orecchi. Sì, al plurale non perché sono visibili due padiglioni ai lati della nostra testa, ma della

possibilità di percepire oltre che per via timpanica (sistema uditivo esterno, medio) che per via ossea (sistema uditivo interno). La prova è data dallo sperimentare che, all’ascolto, la nostra voce registrata ci sembra molto diversa e non riconoscibile come nostra da quella ascoltata dal vivo. Da qui la nostra convinzione di avere sempre una voce bella e sana anche quando presenta della patologie. Educare l’orecchio interno è frutto di un confronto tra le due modalità di percezione attraverso anche l’ausilio di una buona guida.
Oggi sono a disposizioni molti studi che avvalorano queste pratiche. Per citarne alcuni: il metodo funzionale della voce di Gisela Romert dell’Università di Darmstadt e le ricerche sull’Orecchio e la Voce del Dr.Tomatis oltre che a diversi altri interventi di illustri Foniatri (dr. Fussi in primis) e ricercatori.
Il canto è una delle azioni più nobili dell’uomo. Con il canto l’uomo ha sottolineato e caratterizzato  ogni momento della sua storia. Salviamo la nostra voce in ogni istante minata: senza voce  non potremo più pretendere verità e libertà. Mettiamo assieme le nostre voci per cantare il passato, il presente e dare l’esempio ai nostri figlio per il futuro.
Tutto ciò per dire che se vogliamo dare un futuro alla nostra coralità, sia essa amatoriale o professionale (quella professionale intendo prevalentemente quella retribuita!!!),  dovremo decidere di inserire nel carnet delle nostre competenze accessorie come educare, preservare e difendere la nostra voce e quella di tutti coloro che abbiamo in affidamento culturale e artistico.