Debussy

È convinzione di molti che la scelta di Debussy di musicare le tre liriche tratte dalla grande raccolta di poesie di Chales d’Orleans, sia rivolta ad affermare il suo amore patriottico per la Francia, il suo nazionalismo e il suo legame con le prime radici dell’arte francese. Lui stesso, in una lettera del 1914 al direttore d’orchestra Émile Inghelbrecht (1880-1965) scriveva: «Possiamo tutti ripararci sotto il patronato di Charles d’Orleans, dolce principe, amato dalle muse e così eccellentemente francese!» Charles d’Orleans, duca d’Orleans, fu un poeta francese del XV sec. (1394-1465), figlio di Lugi I, fratello del re di Francia Carlo VI e Valentina Visconti, figlia del duca di Milano. Gran parte delle sue poesie le scrisse durante la sua prigionia in Inghilterra, a seguito della battaglia d’Anzicourt il 25 ottobre del 1415, tra l’esercito francese di Carlo VI e l’esercito inglese di Enrico V.

Charles d’Orleans fu imprigionato per ben 25 anni, dove compose moltissime delle sue centinaia di poesie, tra cui anche le tre liriche scelte da Debussy. Il poeta sublima la sua distanza e la sua nostalgia, a causa della guerra e della prigionia, con la “poesia”. Inneggia alla sua Francia, alla sua donna amata e all’arte, i tre elementi che ritroveremo in tutta la sua produzione letteraria.

Per la nostra analisi ci concentreremo sulla poesia “Dieu! Qu’il la fait bon regarder! (Dio! Quant’è bello guardarla!) che Debussy compone in musica per coro a cappella insieme alle altre due chansons. La lirica è formata da versi di otto sillabe su rime e refrain. Da qui la forma circolare a rondeau. È una poesia di lode dedita a superare l’amore della donna amata e lontana. Infatti, il testo inneggia all’amore della donna (anche come dimensione sensuale), ma soprattutto alla donna come “Vergine Maria” simbolo di purezza, bontà e perfezione, e ancora come madre patria della Francia.

Dieu! qu’il la fait bon regarder  

Dieu! qu’il la fait bon regarder, la gracieuse, bonne et belle. Pour les grans biens que sont en elle chascun est prest de la loüer.  Qui se pourroit d’elle lasser? Tousjours sa beauté renouvelle. Dieu! qu’il la fait bon regarder, la gracieuse bonne et belle! Par de ça ne de là, la mer, ne scay dame ne damoiselle qui soit en tous bien parfais telle. C’est ung songe que d’i penser: Dieu! qu’il la fait bon regarder!

Dio! Quanto è bello guardarla 

Dio! Quanto è bello guardarla, quanto graziosa, buona e bella.per le grandi virtù che sono in lei ognuno è pronto a lodarla.  Chi si potrebbe stancare di lei? Ogni giorno la sua bellezza si rinnova. Dio! Quanto è bello guardarla, quanto graziosa, buona e bella.Né su questa, né sull’altra sponda del mare conosco dama o damigella che sia in ogni cosa così perfetta. È un sogno soltanto pensarla: Dio! Quanto è bello guardarla!

Dal punto di vista metrico, le rime sono nella forma di: ABBA ABAB ABBAA

Il poeta manifesta in questo componimento poetico grande attenzione a livello semantico che acquisisce un valore fortemente simbolico e allegorico. Charles esprime una delicata e allo stesso tempo intensa contemplazione amorosa. La bellezza della donna amata non ha pari “né al di qua né al di là del mare”, immagine dalla quale sicuramente si farà attrarre Debussy, insieme a tanti altri aspetti che il compositore non si farà sfuggire nel musicare il testo. Le Trois Chansons furono pubblicate dalla Durand Edition Musicales nel 1908 e la prima esecuzione della prima chanson fu eseguita in un concerto del Venerdì Santo nel 1909 ai Concerts Colonne di Parigi sotto la direzione dello stesso Debussy. Dal 1894, infatti, gli fu proposto per alcuni anni dalla famiglia Fontaine di preparare e dirigere un coro amatoriale, presso la loro proprietà dove si tenevano le prove.

Alla fine del primo concerto il pubblico fu entusiasta, tanto che furono eseguiti come bis gli altri due brani della suite. La critica invece non fu soddisfatta. Alcuni dichiararono “esagerata” la reazione del pubblico, altri definirono le composizioni di Debussy come un “pastiche!”.

Veniamo all’aspetto più analitico musicale della prima chanson.

All’osservazione di tutta la partitura, la scelta del testo sembra essere proprio in funzione dei requisiti tecnico-compositivi dello strumento coro e degli orientamenti estetici e compositivi di Debussy.

Nonostante la poesia sia in strofe con rime e numero di sillabe uguali, il compositore non applica il principio di scrivere la stessa musica e le stesse note per tutte le strofe, ma varia continuamente, in perfetta sintonia con la duttilità e la creatività della concezione strutturale del suo stile compositivo.Il linguaggio è neo modale con una scrittura corale particolare e originale, ancorata fedelmente in un ambito diatonico.Debussy predilige l’omoritmia alle imitazioni, con soltanto due brevi accenni polifonici, che vedremo nello specifico. Egli mal sopportava l’imitazione (come lui stesso dichiarava), che gli dava un senso di ripetitività.

Dal punto di vista melodico, le parti rievocano un vago richiamo gregorianeggiante, libere e distaccate da obblighi di natura tonale convenzionale. Sotto l’aspetto armonico, prevalgono accordi in stato fondamentale (con terze sovrapposte) e rivolti in un gioco di relazioni e risoluzioni tra delicate dissonanze e consonanze. Il descrittivismo è contenuto, come anche i madrigalismi (tipici della scrittura polifonica del Rinascimento) sono evitati a favore di una scrittura più libera, onirica ed allusiva, tipica dello stile di Debussy.

Molti ritengono che anche dal punto di vista artistico e filologico, il compositore abbia fatto la scelta di questi testi poetici del Quattrocento, con l’intento di rievocare lo stile di scrittura rinascimentale, ma se osserviamo più attentamente queste Trois Chansons, scopriamo che non è così. Debussy era più interessato al fascino del mondo più “antico”, all’elaborazione onirica di un ricordo del passato, piuttosto che dalle sue convenzioni e gli stili di scrittura utilizzati. Sappiamo tutti che è il compositore per antonomasia anti-scolastico e anti-sistema. Avrebbe sicuramente considerato troppo artificioso utilizzare gli stilemi, da lui stessi considerati prettamente descrittivi, per raggiungere il suo mondo musicale e artistico allusivo.

I sez. batt. 1-13

Nel primo episodio (batt. 1-5) l’esordio è in modo Tetrardus (Sol) trasportato un semitono sotto a Fa diesis, basato su triadi consonanti, prevalentemente in stato fondamentale. Nonostante la prima parola è esclamativa con accento tronco, Debussy opta a scrivere un inizio in levare. Quella pausa iniziale di un quarto, sembra avere il significato di un “sospiro”. La scelta di questo dettaglio è veramente delicata! L’espediente (effetto/affetto) ben trasmette la condizione di un sentimento rivolto a ciò che prova Charles nel pensare e immaginare la bellezza della donna amata e lontana (Esempio 1 – bat. 1). Situazione che sarebbe venuta meno nel partire sul tempo forte d’inizio battuta.

(Esempio 1 – bat. 1)

Il profilo melodico più cantabile viene dato ai Contralti (batt. 1-3); cosa che Debussy cambierà di sezione continuamente in un gioco e passaggio di testimone tra i Contralti e i Soprani – in sintonia con ciò che abbiamo detto in merito all’esigenza di una continua varietà – nell’episodio 4 (batt. anacrusico di 14-15), ultimo ed episodio 6 (batt. anacrusico di 26-27 e batt. 27-29, Esempi 2a, 2b e 2c).

(Esempio 2 a – bat. 1-3, Contralti)

(Esempio 2 b – batt. anacrusico 14-15, Soprani)

(Esempio 2 c – batt. anacrusico 26-27, Contralti e batt. 27-29, Soprani)

Una curiosità, ma potrebbe essere anche solo una congettura: alle batt. anacrusico 4-5 riscontriamo ai Soprani un profilo melodico che riprende gli stessi intervalli dell’inizio della “Marseillaise” – o più correttamente “Chant de Guerre” – se pur con il tempo e i valori diversi e senza il levare dell’inno. Proviamo a metterli accanto per valutarli insieme, la melodia della chanson è trasportata un semitono sotto:

L’intento non è quello di dimostrare a tutti costi la congruenza di questo dettaglio.

Il profilo melodico preso in esame formato da una seconda maggiore, salto di quarta ascendente e successivi salti di terza discendenti sull’accordo di tonica potrebbe essere considerato anche come un procedimento convenzionale, ma provando a cantare le due parti sulla stessa tonalità, salta subito fortemente all’orecchio il richiamo dell’inno nazionale francese. È risaputo che Debussy amasse prendere ed estrapolare spunti (non solo dalla musica, ma anche da tutte le altre arti), che poi amava elaborare e citare, anche in piccoli frammenti. Lasciamo al lettore il parere di questa attenzione.

Tra il primo episodio e il secondo (batt. 5-6), Debussy effettua una transizione diretta da un tono a un altro, sfruttando la nota in comune Fa diesis, senza l’uso di una modulazione tradizionale. L’effetto, all’ascolto, risulta inatteso e sorpendente. Sul piano armonico si delinea un procedimento attraverso ambiti diatonici diversi.

Si introducono Re, Do e La bequadri. Debussy crea una fluttuazione di due campi armonici e di due scale che possiamo interpretare una in modo misolidio con finalis Re e il quarto grado alzato (Re, Mi, Fa diesis, Sol diesis, primo tempo sulla terzina di bat. 8 ai Soprani, La, Si, Do) e l’altra in modo misolidio con finalis Si (Si, Do diesis, Re diesis, Mi, Fa diesis, Sol diesis, La).

All’ascolto si sente particolarmente un sapore neomodale, antico e moderno allo stesso tempo. Non solo. Per effetto dell’inserimento della nota Sol diesis e come è stato strutturato questo episodio, si sente anche in gioco un sapore esatonale, tipico dello stile di Debussy. Egli si prende anche delle libertà (bat. 7 e seguenti), dal punto di vista accentuativo delle parole, dando precedenza alla varietà polifonico-musicale piuttosto che alla struttura rigida del testo. Gli accenti vengono, infatti, messi talvolta in battere talvolta in levare (esempio 3 batt. 6-9).

(Esempio 3 – batt. 6-9)

II sez. batt. anacrusico di 14-25

Nel quarto episodio (batt. anacrusico di 14-17) Debussy riprende il refrain in modo diverso dall’esordio, attraverso un assetto polifonico molto breve e in parte cromatico, abbandonando per un momento la configurazione diatonico-modale. Anche in questo caso possiamo affermare che il richiamo allo stile rinascimentale è soltanto accennato e molto libero. La struttura polifonica di questo episodio è scritta in uno spazio così breve, che le entrate dei Tenori e i Bassi, che entrano soltanto nella seconda parte del verso, non fanno in tempo a enunciare tutto il testo, come si sarebbe fatto in tutte le voci nella polifonia antica. Alcuni critici musicali, hanno definito questo modo di procedere: “pseudo-polifonia”.

A batt. 18-19, stavolta Debussy si lascia andare a un breve e chiaro “descrittivismo” – soltanto in questo caso, nonostante lui rifiutasse questo modo più madrigalistico di scrivere – sull’immagine del mare, a lui sempre cara e particolarmente affettiva. L’ondeggiamento che notiamo in queste battute, fa sentire una fluttuazione della Dominante sul primo accordo di bat. 18 (settima di prima specie in secondo rivolto), alternato per tutta la battuta con l’accoro successivo e l’ondeggiamento di terze maggiori (tra i Contralti e i Tenori), atteggiamento tipico del compositore (Esempio 4).

(Esempio 4 – batt. 18-19)

A batt. 21-22 Debussy inserisce una figura in “arabesque” (ai Bassi e i Contralti per seste, poi seguiti anche dai Tenori per terze), anche questo è tipico del suo stile compositivo, che troviamo in molte sue composizioni strumentali, in particolare quelle pianistiche. Interessante è notare questa scelta in confronto al testo del verso: “Qui soit en tous bien parfais telle” (Che sia in ogni cosa così perfetta). Il testo tenderebbe ad indurci a un’interpretazione determinata, a un’immagine quasi immobile, scultorea, appunto “perfetta”. Debussy invece la libera, attraverso un disegno figurativo, evocativo, per cui non si stacca per nessun motivo dal suo atteggiamento allusivo e sognante.

(Esempio 5 – batt. 21-22)

Il finale (batt. 28-29), come già accennato, riprende l’esordio con un innalzamento di registro di tutta la tessitura vocale: i Soprani partono una quinta sopra, i Contralti e i Tenori una sesta sopra. Il cerchio è chiuso ed è rispettato fedelmente anche il refrain, ma Debussy ci lascia con un sapore etereo all’ascolto e se vogliamo anche più sublime, dopo tutto il percorso che abbiamo fatto durante l’esecuzione del brano (Esempi 6 a batt. 1-3 e 6 b batt. 27-29).

(Esempio 6 a batt. 1-3)

(Esempio 6 b batt. 27-29)

Suggerimenti per l’esecuzione

L’esecuzione della chanson, come delle altre due che fanno parte di questa suite, deve tener conto dello stile e delle modalità di scrittura debussyana. Occorre quindi evitare di concertare questi brani come se fossero madrigali in stile Palestrina o altri compositori del Cinquencento. Sembra questo una cosa scontata, ma non lo è. Capita speso di sentire esecuzioni in concerti delle Trois Chansons dallo spiccato sapore rinascimentale, sia dal punto di vista interpretativo sia vocalico. Il sapore mondale che uscirà dallo studio, dovrà essere contestualizzato in una concertazione adeguatamente espressiva e tipicamente novecentesca. Sul piano timbrico, si suggerisce l’utilizzo di una voce piena molto morbida e mezza voce. Consigliamo di evitare un uso molto spinto della canto, soprattutto con tecnica dell’affondo (tipicamente tardo romantico), che farebbe perdere la possibilità di un’esecuzione e un’interpretazione eterea e allusiva, tipica dell’atteggiamento nello stile di Debussy. Anche l’agogica stessa iniziale ci invita a tenerlo presente: Très modéré soutenu et espressif (Molto moderato, sostenuto ed espressivo). La musica è di una tranquilla ed amabile dolcezza, l’ordito è chiaro e richiede una sensibilità di esecuzione molto fine e raffinata. Consigliamo di evitare comunque l’uso del falsetto (anche nelle parti acute e nei piani e pianissimi), che farebbe perdere quella presenza emotiva ed affettiva necessaria per far sentire il sentimento sensuale e amoroso che ritroviamo in tutto il testo e in tutta la sua elaborazione musicale. Dal punto di vista tecnico suggeriamo di fare in modo che i suoni d’attacco, ad ogni inizio frase, si inseriscano naturalmente nella seconda parte discendente espiratoria (del movimento respiratorio) senza fermarlo. Quando la respirazione è nella sua parabola discendente espiratoria, lasciare uscire l’aria dolcemente senza spingerla. Lasciare che sia la pressione dell’aria che si crea alla fine della nostra inspirazione a far sì che formi quel giusto “cuscinetto” come appoggio del suono. Qualora si facesse fatica nei suoni acuti ad attuare questa modalità, è sufficiente aprire di più la bocca (senza sforzarla) per lasciare che tutti gli elementi interni alla cavità orale abbiano più elasticità e spazio di movimento articolatorio e più risonanze. L’equilibrio tra le due forze respiratorie: forza espansiva e forza espulsiva si auto realizzano naturalmente. Si può pensare come di rimbalzare su un “pallone” sterno-toracico-addominale. Un’ulteriore attenzione è necessaria nell’equilibrio e nella buona fusione tra il polo anteriore e orizzontale della voce, che produce brillantezza, i il polo posteriore verticale della voce, che produce rotondità e morbidezza. Inspirando in modo naturale e rilassato, passivo e concentrato, e immaginando un punto mentale mediano, corrispondente alla parte più alta del palato duro, si ha la condizione migliore per la posizione del suono. Soprattutto nelle parti acute è importante mantenere questo giusto equilibrio per evitare suoni troppo spinti e pesanti, che non consentirebbero oltre tutto a una agilità d’esecuzione e di fraseggio, o troppo rigidi e metallici, che non consentirebbero un’esecuzione e un’interpretazione come quella richiesta da queste “chansons”.