Direttore
Prima o poi ci arriviamo tutti. Inizia solitamente con il direttore (o presidente o cantore vivo) che entra in sede mostrando il bando. Un concorso? Un concorso! Entusiasmo, diffidenza. Prima campana: perché non provarci? Si deve fare perché ci costringe ad un intenso periodo di prove, che, comunque, avrà una ricaduta positiva. Altra campana: e se poi tutto questo lavoro non viene gratificato, se nemmeno arriviamo in finale? Tornare a casa con la coda tra le gambe, perché rischiare? La competizione ha le sue regole; un concorso è e resta una gara di bravura corale; mettila come vuoi, girala e rigirala ma ci sarà sempre un primo e un secondo, chi si ferma e chi rincasa presto, chi sorride e chi guarda gli altri esultare. Prima o poi ci arriviamo tutti all’esigenza di crescere, inventando l’occasione speciale come il nuovo CD, il viaggio all’estero, i dieci o vent’anni da celebrare, la rassegna con gli ospiti di prestigio o il gruppo vincitore di concorso. Qualche coro – intelligentemente – offre un menù più vario, come sostenere la partecipazione di una delegazione di cantori-spettatori all’importante evento, oppure investendo nel docente esterno per un weekend di formazione. Altri alzano maggiormente il tiro e istituiscono premi, organizzano concorsi di composizione. Un coro deve inventare, proporre e proporsi con i rischi che ciò comporta. Il concorso è una di queste proposte. Alla fine è deciso: il concorso si fa! Il direttore sperava nell’approvazione di tutti, ma va bene ugualmente. Ora deve giocare le sue carte, deve richiamare tutti alla puntualità, all’impegno, e nella scelta del repertorio dimostra già la sua abilità. Eseguire i noti cavalli di battaglia oppure approfittare dell’occasione per imparare nuove pagine? Ogni scelta ha i suoi rischi. Restare nel conosciuto significa lavorare sul sicuro, ma è come spremere un limone già usato; mettere in cantiere delle novità conferma la prima tesi, quella del comunque vada, sarà esperienza utile, è considerare il concorso come una nuova pagina di vita da assaporare già dalla prima prova, dall’ultimo cantore al presidente. Il concorso, quindi, per il direttore inizia proprio da queste premesse; alcuni bandi impongono autore, titolo, periodo e sono vincoli che limitano il suo spazio decisionale, lo obbligano ad una preventiva analisi non tanto della partecipazione ad un concorso, ma della partecipazione a quel concorso.

Direzione Artistica Come convincere i cori ad iscriversi, come impostare il regolamento, quali i criteri di valutazione? Concorsi di antica data hanno chiuso i battenti, altri si sono inseriti nel panorama competitivo con novità o presentando formule già sperimentate. Creare una serie di norme che soddisfino tutti è cosa impossibile, specialmente quando si vuole ammorbidire la delusione della sconfitta inventando premi di cui non si riuscirà mai a capire il valore effettivo. Ecco allora il premio simpatia, miglior direttore, miglior brano, miglior repertorio: riconoscimenti che quasi sempre vanno ai primi classificati e quando ciò non accade rischiano di diventare spiagge di consolazione. Un compito importantissimo è il controllo delle partiture che i cori propongono all’iscrizione. Va fatto subito con molto rigore, scartando edizioni dubbie e trascrizioni improbabili, richiedendo all’occorrenza nuove parti leggibili e senza segni. La giuria, difronte al coro in attesa del cenno per iniziare, non potrà più contestare l’ennesima Ave Maria di Caccini, il madrigale con sette bemolli in chiave o l’adattamento di un coro d’opera copiato a mano. La Direzione Artistica deve avvalersi quindi di un musicista capace di valutare la bontà delle partiture presentate; alla giuria darà le linee guida e i criteri per il punteggio, inviterà a non dare il primo premio per mantenere alto il livello, o a darlo comunque, assieme ad altri riconoscimenti se previsti, ma nulla di più.

Giuria Valutare un’esecuzione non è come correggere un questionario: nessun errore per il massimo punteggio e poi a scalare in base alle risposte errate. Entrano in gioco e in conflitto molti aspetti come accordatura e intonazione, pronuncia e fusione, sonorità e interpretazione, linguaggio, autore e stile, organico e gesto, difficoltà repertoriale. Aggiungerei poi la freschezza del mattino e la stanchezza pomeridiana o serale, e ciò vale per chi canta e per chi ascolta. Superare le dieci/dodici formazioni in gara può rendere difficile il giudizio dei giurati più preparati. Anni fa il M° Giuseppe Nicolini (direttore di Pressano, appena sopra Trento, che ha insegnato con tanto amore e competenza il canto corale a più generazioni) mi disse che fintantoché fosse stato attivo come direttore non avrebbe mai accettato di far parte di una commissione. Una considerazione: oggi le nostre giurie sono formate da direttori che alternano – in tempi brevissimi – le vesti di giurato e di concorrente. Il mondo corale, attento e critico osservatore, nota questo rimbalzo dietro e davanti il tavolo di giuria. Perché non rivolgerci a musicisti non interessati alla competizione? Ai maestri dei nostri enti lirici (alcuni sanno apprezzare la coralità amatoriale), ai docenti di conservatorio, ai compositori? Una giuria non dovrebbe essere composta da soli direttori di coro; ottima l’idea di riunire più competenze per un’analisi ad ampio raggio: maestri di coro, certo ma anche musicologi, compositori, registi, attori. Ogni commissario arriva e se ne va con un suo bagaglio culturale, un suo gusto, con le sue simpatie e antipatie in fatto di autori e linguaggi, di vibrato o suono fisso. Perché non proporre (come già in passato in sedi internazionali) quattro/cinque esperti separati, ognuno ad un proprio tavolo e non gomito a gomito. Ascolto, valutazione, raccolta della scheda da parte dell’incaricato e quindi immediata somma matematica, segreta, ma già definitiva, senza collegialità e ripensamenti preserali. Poi… tutti a cena, a litigare sul vibrato… ma a graduatoria chiusa. L’incontro con la giuria appena dopo l’esecuzione non è proprio una buona idea. In quei cinque minuti non si può correggere il gesto o spiegare come riconoscere una buona edizione critica: manca il tempo e la tranquillità per dare alle parole il giusto valore. Può capitare che un direttore ancora emozionato fraintenda il giudizio; nel caso poi di esecuzioni poco felici, le cose si complicano ulteriormente. Meglio delle annotazioni scritte, individuali e non collettive, da mandare in un secondo tempo.

Proposta Sono molti i cori che in concerto non brillano per agilità scenica, il presentatore non ha la dimensione del tempo, manca una regìa, un filo conduttore e il pubblico si stanca. Un coro, anche quando si trova dietro l’altare per il servizio liturgico, deve percepire la presenza di chi ascolta. Il direttore è un ripetitore che manda al pubblico l’emozione dei cantori e restituisce al coro l’attenzione che sente arrivare alle sue spalle. Perché non valutare con un premio speciale il comportamento sul palco, la presentazione e l’articolazione dei brani, le tematiche, la divisa. Mi si dirà che un coro deve pensare a cantare, a cantar bene e basta, ma starei molto attento – oggi – a quel basta. Prima il canto, la musica, come non essere d’accordo, ma una cosa è vendere fumo per tentare di coprire le lacune, altra cosa è arricchire l’esecuzione con il giusto ritmo scenico, con entrate e uscite eleganti e calcolate, presentazioni più fluide che non interrompono ma si incastrano nel brano seguente; silenzi, intervalli e saluti finali pianificati. Un premio allo stile corale: Il coro in scena, Coro e poi…, Coro e non solo… perché no?