Durante il Romanticismo la vita di molti grandi compositori fu riscritta in chiave idealizzata, una lettura che la ricerca musicologica del Novecento avrebbe poi smantellato a fatica. Simile revi­sione oggettiva può dispiacere, se si pensa al­l’immagine del pio Kantor protestante Johann Sebastian Bach, mosso dall’unico obbiettivo di servire Dio, che si sarebbe rovinato la vi­sta per aver studiato di notte le musiche che gli aveva vietato il fratello tutore; oppure di Wolfgang Amadeus Mozart, morto in mise­ria, avvelenato da un rivale invidioso. Sembra che nella considerevole serie di musicisti do­tati di un’aureola leggendaria Giovanni Pier­luigi da Palestrina — chiamato poi anche prin­ceps musicae — sia stato il primo in ordine di tempo. Egli fornì ai romantici l’occasione per creare la leggenda di un compositore para­digma dell’estrema purezza musicale. In ana­logia con l’estetica dei nazareni e dei preraf­faelliti nell’arte figurativa, Palestrina diventava il simbolo dell’esaltazione religiosa e del ri­torno alle radici della musica cristiana. Si è consolidata l’immagine di Palestrina salvatore della musica polifonica in seno alla Chie­sa, ruolo che evocava una leggenda secondo cui i cardinali del Concilio di Trento (1545- 1563), stavano per vietare il decaduto canto polifonico durante i servizi per tornare al can­to gregoriano; e come una notte apparissero degli angeli a Palestrina cantandogli una mes­sa che egli dovette solo copiare. Grazie alla sua eterea devozione e alla meravigliosa com­prensibilità delle parole, nonostante la tessi­tura fitta della singolare composizione, la fa­mosa Missa Papae Marcellí sarebbe riuscita a convincere i più rigidi oppositori che la po­lifonia vocale era in grado di farsi degna mediatrice di contenuti di fede e quindi confor­me alla moralità della liturgia cristiana. La commovente narrazione, fissata per iscritto per la prima volta dal compositore e teorico senese Agostino Agazzari nel suo trat­tato Del sonare sopra ‘l basso con tutti li Stro­menti (1607), non ha basi reali: la composizione della messa in questione sembra esse­re avvenuta prima del lunghissimo Concilio di Trento. Si sa, infatti, come in quell’occa­sione la riforma della musica sacra fosse stata discussa dai delegati solo marginalmente per arrivare a semplici raccomandazioni e non a una vera e propria normativa. Ma se come sappiamo ogni leggenda ha un noc­ciolo di verità, sembra giusto soffermarsi sul fatto che l’inconfondibile stile di Pierluigi potesse esser visto quale ideale di musica ec­clesiastica in epoca controriformista. Tanto più che una notizia, questa volta documen­tata, riporta come Papa Marcello II, il cui ponti­ficato nel 1555 sarebbe durato meno di un mese, avesse richiesto un testo comprensibi­le e una musica adeguata ai servizi della Set­timana Santa. Non si può perciò escludere che simile composizione apparisse poco do­po il desiderio espresso da papa Marcello II; ma resta da sottolineare come la prima pub­blicazione dell’opera si realizzasse solo nel 1567, ossia ben quattro anni dopo la con­clusione dei lavori consiliari.

Come detto l’immagine di Palestrina crebbe a icona proprio nel Romanticismo, epoca in cui la devozione nell’arte avrebbe raggiunto manifestazioni contraddittorie, dal­l’estroversione di Hector Berlioz all’asceti­smo di Franz Liszt o anche al misticismo tea­trale di Richard Wagner — senza dimentica­re, appunto, gli obbiettivi puristi e passatisti del movimento ceciliano tanto in Italia che in Germania.

Se in una simile cornice il maestro ro­mano si presentava quale ineguagliabile espo­nente di una maniera di comporre percepi­ta come perfetta e paradisiaca, dipendeva non solo dalla sua equilibrata concezione di vocalità e proporzione dei costituenti para­metri musicali, ma anche dall’ininterrotta prassi esecutiva di cui godettero le sue ope­re dal Cinquecento in poi: fatto singolare nella storia della musica, che avrebbe iden­tificato nell’artista una seconda colonna por­tante della tradizione sonora cattolica ac­canto al canto gregoriano.

Qui si scopre una certa affinità con Ba­ch il cui significato per la musica protestan­te avrebbe assunto analoga simbologia, e pa­re interessante che lo stesso celebre Thoma­skantor — un pendant barocco del prenesti­no — figurasse quale geniale maestro della perfetta polifonia. Ma se Palestrina per i romantici risultava più affascinante, si spiega forse anche con la sua appartenenza a una epoca più remota e perciò meno controllabile; si potrebbe aggiungere che d’altronde egli possa esser visto quale primo grande compositore nella storia della cui personalità e carattere sia possibile concepire un quadro autentico secondo criteri propri all’Età Moderna — mentre i suoi precursori restano ancora sfumati all’interno di un assetto tardo-medievale. Non a caso egli sarebbe stato scelto dal tedesco Hans Pfitzner come protagonista del suo Künstlerdrama, Palestrina (1917), che tratta dei misteri della creazione artistica. In esso si percepisce un’ambiguità di visione squisitamente delineata: il primo e il terzo atto mostrano il compositore in preda a dubbi e dolori, mentre quello intermedio dipinge un quadro cinico del Concilio di Trento. L’opera, peraltro, si definisce indicativamente “leggenda musicale”, e bisogna ammettere che Giovanni Pierluigi da Palestrina era il compositore ideale per una simile rappresentazione.

Non credo di risolvere questi ed altri mille dubbi chiacchierando con ‘lui’, ma l’opportunità che mi è stata data è talmente preziosa (per quanto miracolosa) che spero veramente le sue parole possano chiarire alcuni aspetti della sua vita e del suo infaticabile lavoro. Grazie ad un amico, di cui non posso rivelare il nome, sono entrato in contatto con il cardinale Ippolito II d’Este, figlio di Lucrezia Borgia. Ippolito non era solo un eccellente umanista ed amante delle arti ma anche un vero e proprio viveur che si fece anche costruire la sontuosa villa di Tivoli. Ed è proprio qui, a villa d’Este, in un afoso pomeriggio di Luglio (tralascio di menzionare l’anno) che ho incontrato il sommo compositore. Alcuni servitori che mi accolgono all’ingresso sono abbastanza meravigliati del mio abbigliamento, giudicato poco consono all’ambiente ‘ufficiale’ che si respira nella residenza. Insisto dicendo che sono amico del cardinale e che devo incontrare il Maestro. Fortunatamente la loro resistenza, seppur scortese, è piuttosto blanda (devono temere davvero il prelato) e in men che non si dica mi ritrovo ad attraversare un ampio salone che immette nel giardino da cui giunge un suono di viole, cornetti, tromboni e liuti. Lui, Giovanni Pierluigi, è lì, seduto su una panca, in estatico ascolto di quelle musiche che probabilmente erano state da lui composte poco prima. Occorre qui rivedere un po’ la sua figura spesso considerata quella di un severo contrappuntista ecclesiastico, abituandosi anche ad un Palestrina direttore di complessi strumentali e gruppi madrigalistici. Il lieve rumore dell’erba calpestata da cinque tizi (ebbene si, quattro servitori mi hanno accompagnato alla sua presenza) che avanzano spediti nel giardino è sufficiente per farlo girare verso di me. Noto un senso di fastidio nella sua espressione: da musicista conosco bene la reazione prodotta quando si è distolti dall’arte a causa di un banale contrattempo quale può essere il dover incontrare uno sconosciuto e per di più se questi è ammesso alla tua presenza grazie alla raccomandazione di un potente. I jeans e la camicia che indosso devono poi sembrargli quanto più di strano si possa indossare in tardo Rinascimento. Mi fermo (ci fermiamo) a tre metri da lui, accenno un saluto ed aspetto curioso e scettico che mi dica qualcosa. Probabilmente mi farà cacciare via dagli energumeni che sono ancora vicino a me. Invece il Maestro mi accoglie, sorridente e stupito, con un ‘Salve’ che crea subito un clima di piacevole confidenza. ‘É lei l’amico del Cardinale?’

Buongiorno Maestro, spero di non importunarla troppo, ma non ho saputo resistere al desiderio di rivolgerle alcune domande. Non pensavo davvero di trovarla qui, dedita agli ozi della vita borghese di campagna…

Guardi, non è come pensa… Mi dolgo di darle questa cattiva impressione. Il lavoro estivo, qui, a Villa d’Este, giova al mio equilibrio spirituale e mentale: una parentesi mondana che intermezza la seriosità curiale del resto dell’anno.

Ci racconti qualcosa della sua infanzia. Stando ai documenti ufficiali non è nemmeno chiaro l’anno e il luogo della sua nascita…

Sono nato nel 1525 ma purtroppo non ho mai saputo il giorno esatto della mia nascita perché gli archivi della città di Palestrina, dove ho trascorso la mia infanzia, sono stati distrutti da un violento fuoco nel 1547. Le dirò ora che sono nato a Roma, come pochi sanno; la mia famiglia, infatti, si era trasferita nella città eterna per sfuggire ad una grave pestilenza che aveva colpito Palestrina nel 1524. Comunque a Palestrina vi tornammo nell’autunno 1527, per sfuggire al Sacco di Roma perpetuato dai mercenari di Carlo V. Ho trascorso un’infanzia piuttosto felice; la mia famiglia era relativamente benestante, possedeva una casa in Via Cecconi oltre che vigneti e altri terreni che rendevano possibile una vita dignitosa. In quei tempi ho assorbito il quieto ambiente della campagna, cogliendo il repertorio popolare che avrebbe un giorno inciso sui miei modelli melodici dagli intervalli chiari e semplici in un ristretto ambito tonale. La mia prima formazione musicale è avvenuta alla cattedrale di Sant’Agapito di Palestrina, dove ho imparato alcuni rudimenti vocali e musicali, tra cui l’organo. Avevo allora, bei tempi, lo stato di puer cantor e, ben presto all’età di 8 anni insieme ad altri cinque coetanei, diventai un cantore della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Il contratto stipulato tra il Capitolo della Basilica e mio padre stabiliva che avrei ricevuto, in cambio della mia attività, alloggio, vitto e vestiario, oltre che un’educazione musicale e letteraria, per un periodo di sei anni. L’istruzione prevista consisteva nel contrappunto, nella grammatica italiana e in quella latina. Inoltre mi furono impartite lezioni di organo e di liuto. Purtroppo in famiglia le cose non andavano bene: mia madre morì nel 1536, senza più avermi rivisto dopo il mio trasferimento a Roma.

Il suo primo contratto di lavoro, comunque, non fu a Roma ma a Palestrina….

Esattamente, caro signore. Il 28 Ottobre 1544 venni nominato organista e insegnante di canto alla cattedrale di Sant’Agapito. Mi gratificarono con un piccolo stipendio, simile a quello che riceveva il parroco. Fortuna volle che il nuovo vescovo, Giovanni Maria del Monte (il futuro Papa Giulio III), amasse le arti in generale ed in particolare la musica. Mi gettai con tutta la mia energia in quel nuovo incarico, sfruttando la situazione di poter esercitare una sorta di tirocinio in un ambiente privo di una specifica tradizione, ancora intatto al riguardo e, in ogni caso, a me favorevole; mi dedicai, oltre che all’organo alla composizione: il mio tipico stile, che voi ora chiamate palestriniano, è dovuto anche a fattori pragmatici ovvero alla necessità di applicare una scrittura facilmente realizzabile per il coro della cattedrale che era ancora in stato di formazione.

Mi risulta che non rimase molto a lungo nel suo idillio campestre. Le cronache ci dicono che nel 1551 tornò a Roma…

Eh, sì, le occasioni migliori capitano poche volte nella vita, non lo sa? Da come parla sembra che la sua carriera di musico non abbia beneficiato di circostanze favorevoli. Scusi se le dico questo, ma so così poco di lei… Di cosa si occupa nella vita oltre ad importunare la gente con futili questioni?

Beh, maestro, veramente ho intervistato tutte le più celebri ‘star’ della musica vocale. Qualche giorno fa ero a Venezia per intervistare un suo esimio collega, Claudio Monteverdi…

Mi spiace, ma non conosco nessuno con questo nome! So che a Venezia si respira un’aria, non dovrei dirlo e magari non lo scriva, più libertina; mi dicono che il Patriarca di Venezia sia meno opprimente del Papa e dell’ambiente curiale romano.

Veramente i Papi sono stati la sua benedizione e fortuna…

Mi rincresce ammetterlo, ma la sua asserzione corrisponde a verità…Infatti il 10 Novembre 1549 morì Papa Paolo III e l’anno dopo fu eletto al soglio pontificio, con il nome di Giulio III, il cardinale Giovanni Maria del Monte, mio protettore a Palestrina.  Il nuovo Papa mi chiamò alla direzione della cappella Giulia nella Basilica di San Pietro. Lui era un eccellente conoscitore della musica e chiamò proprio me che aveva avuto modo di conoscermi negli anni precedenti: un bel riconoscimento ma al tempo stesso era una chiara espressione del desiderio di veder garantita la qualità della musica nella basilica vaticana.

Maestro, alla faccia della modestia!

In quegli anni ero il migliore glielo posso garantire e poi, comunque, c’è da sgomitare in tutti gli ambienti…

Comincio a fare un po’ di confusione mentale, sono sincero. Pensavo che in San Pietro cantasse la cappella Sistina. Lei mi ha parlato della cappella Giulia…

Spero che la sua conoscenza del contrappunto sia migliore di quella della storia della musica. La cappella Giulia prende il nome dal suo fondatore, Papa Giulio II, che la istituì per le funzioni nella Basilica di San Pietro. Insieme ai cori di Santa Maria Maggiore e di San Giovanni in Laterano, era sicuramente una delle migliori cappelle musicali di Roma, superata, in senso gerarchico solo dalla cappella Pontificia. Mentre quest’ultima, nota anche come Sistina, è adibita esclusivamente al servizio del Papa, la cappella Giulia è destinata agli allestimenti musicali durante la liturgia nella basilica vaticana. Quando arrivai alla cappella Giulia vi trovai un coro formato sia da cantori adulti che da fanciulli; la situazione comunque non era delle migliori, a causa dei continui lavori di costruzione della basilica di San Pietro: ne facevano parte solo dieci adulti e tre ragazzi, di cui due accolti e mantenuti dal sottoscritto! Comunque non mi posso lamentare del trattamento economico all’apice degli elenchi dei pagamenti; scavalcai persino il decano del coro al quale precedentemente spettava un simile privilegio. Inoltre le mie rendite erano consolidate grazie ai possedimenti terrieri di Palestrina. Non navigavo nell’oro ma almeno potevo dedicarmi alla composizione e nel 1554 pubblicai il mio primo libro di Messe.

Già, l’opera con lo spettacolare frontespizio che lo raffigura inginocchiato mentre offre il libro a papa Giulio III.

Si, proprio quella, non vedo cosa ci trova di disdicevole…

La offendo se le dico che la protezione di Giulio III appare illimitata nei suoi confronti? Non è vero che nel 1555 la chiamò come cantore della cappella Pontificia? Si dice di una comprensibile invidia nei cantori pontifici…

L’inizio non è stato sicuramente facile. Diversamente dalle altre cappelle romane, questa non aveva fanciulli cantori e nemmeno un maestro di cappella, poiché questa figura non sarebbe stata rispettata da un gruppo i cui membri si consideravano come i migliori cantori d’Europa! Immagini la loro reazione quando arrivai, ancora novizio trentenne, senza aver dovuto provare la mia capacità nel canto gregoriano e nella polifonia, escludendo così gli abituali meccanismi di controllo. Inoltre la cappella non disponeva nemmeno di un posto vacante, anzi superava il numero stabilito di 24 membri. A ciò si aggiunga che ero sposato. Fortunatamente contavo sulle mie forti qualità professionali! Comunque le avversità erano in agguato. Giulio III morì il 23 Marzo, appena due mesi dopo la mia nomina a cantore. L’avvio con il suo successore Marcello II sembrava promettente ma, ahimè anche questo morì, e solo dopo due settimane di pontificato. Poiché sono un uomo perbene non le dirò cosa penso del papa che venne dopo, Paolo IV, il quale mi cacciò dalla Sistina, reo di essere ammogliato. Con grande soddisfazione di quei cantori che erano ostili al mio ingresso pochi mesi prima. Fortunatamente a San Giovanni in Laterano il ruolo di maestro di cappella era vacante e lì trovai il nuovo impiego.

Maestro, la sua vita professionale sembra appagante ma anche irta di problematiche…Mi spiace non poter lasciarla continuare nel racconto di questa ‘odissea’. Il tempo è tiranno ed ho un’ultima domanda per lei. La sua opera mostra in sé una omogeneità e una sorta di compattezza che lascia poco spazio per intravedere un processo di evoluzione. Giudica questo un merito o un difetto?

Guardi, sono secoli che mi arrovello su questo enigma… Il segreto del mio stile risiede nelle rifiniture e nel sapiente dosaggio dei convenzionali e consumati mezzi compositivi della grande polifonia vocale franco-fiamminga a cui ho aggiunto una personale nota italiana. Avrà certamente notato, se ne ha le capacità cognitive, che la cantabilità delle mie melodie, influenzate oltre che dal canto gregoriano anche da tradizioni popolari, è il risultato di piccoli intervalli, che si muovono spesso per grado congiunto a cui, a volte, combino salti di quarte e quinte verso la direzione opposta. La mia percezione di uomo del rinascimento è stata comunque influenzata dall’arcaico organismo del tetracordo medievale. E’ un melos molto chiaro a cui abbino un’ossatura armonica piuttosto semplice. I colleghi e i posteri, come lei, mi dicono che sono diventato un punto di riferimento obbligato e paradigmatico per il trattamento della dissonanza, la quale ha sempre una motivazione, spesso proveniente dal testo. La mia dissonanza ha varie funzioni: crea una concatenazione tra le voci stesse, sottolinea un valore estetico attraverso la preparazione e la risoluzione e promuove, infine, il flusso melodico. Ma, mi sta ascoltando?

Mi perdoni Maestro, questa calura estiva è insopportabile…

Comunque non ho altro tempo da concederle, devo tornare alla concertazione delle musiche che ha ascoltato al suo arrivo. Stasera il cardinale Ippolito offrirà un banchetto e le mie composizioni allieteranno gli ospiti. Vorrei però farle un regalo per i suoi lettori. L’editore Antonio Gardano in Venezia mi ha appena inviato alcune stampe di miei mottetti; sono prove di impaginatura ma sono comprensibilissime. Ecco, tenga questa ‘Ave Regina Coelorum’ per doppio coro e ne faccia buon uso!

Grazie Maestro, cercherò anche una buona registrazione su YouTube.

Non so assolutamente di cosa stia parlando, giovanotto. Mi raccomando, non la faccia vedere a Victoria e a Byrd che tentano sempre di plagiare i miei componimenti.

Non si preoccupi, non potranno nuocerle davvero!

Questo le crede lei! E torni a trovarmi dopo la fine del Concilio di Trento. Può darsi che abbia delle novità da comunicarle, grosse novità…