parte seconda

Ancora nei suoi anni salisburghesi, W. A. Mozart aveva copiato di proprio pugno diversa musica sacra di Michael Haydn[1]. Ne è testimone un quaderno con una rilegatura grigio azzurra[2], in cui il giovane Wolfgang aveva trascritto – a scopo di studio personale – diverse musiche dei suoi “modelli”: Johann Ernst Eberlin e Johann Michael Haydn. Fra le composizioni di quest’ultimo,  si distingue un breve mottetto in Mib Maggiore a quattro voci e continuo, intitolato “Tenebrae factae sunt”. Non si tratta qui di un lavoro erudito o monumentale, ma di una semplice composizione in stile omoritmico-accordale; due sole facciate di partitura per una durata di circa due minuti e mezzo, nulla di più. Ma quale grandioso gesto musicale, quale profondissima concentrazione espressiva, quale insondabile mistero teologico sono contenuti in questo stupefacente microcosmo di cinquantotto battute. Prima di sottoporre il “Tenebrae” ad un esame più attento, dobbiamo però fare un breve “excursus”.

Nel suo bagaglio da viaggio Michael Haydn aveva portato con sé – prima a Oradea e successivamente a Salisburgo – un esemplare manoscritto della Missa Canonica[3] di Johann Joseph Fux, copia che si era procurato ancora a Vienna nel 1757. Questa eccezionale messa “a cappella” (monumento contrappuntistico paragonabile quasi all’Offerta Musicale di Bach) fu considerata un modello insuperabile per il cosiddetto “stile osservato”, settore in cui Michael si distinse nell’arco di tutta la sua vita, guadagnandosi il rispetto e l’ammirazione di amici e colleghi (non ultimo, come si è visto, anche del giovane Wolfgang A. Mozart).

Johann Joseph Fux nasce intorno al 1660 in Stiria. Con tutta probabilità allievo di Pasquini a Roma, dopo essersi guadagnato un’ottima reputazione come compositore d’opera e di musica sacra, Fux viene invitato alla corte degli Asburgo, dove è Maestro di Cappella al servizio di ben due Imperatori-musicisti: Leopoldo I e Carlo VI.

Nel suo trattato di composizione intitolato Gradus ad Parnassum (1725), Fux riassume tutto il suo sapere teorico-pratico: in forma di dialogo, egli avvicina il lettore ai meccanismi tecnici ed estetici della musica del suo tempo, collegando altresì il discorso con una antica tradizione contrappuntistica basata sullo studio delle cosiddette “cinque specie” (sistema tuttora in uso nei Conservatori di tutto il mondo), e rifacendosi idealmente al modello di Giovanni Pierluigi da Palestrina[4]. Il linguaggio contrappuntistico di Fux però non vuole essere una mera copia stilistica: viene sapientemente adattato al gusto estetico, alle esigenze metriche ed armoniche del suo tempo. Sia Joseph che Michael studiano il trattato di Fux e costruiscono sullo “stile osservato” le basi della loro tecnica compositiva più matura.

Mentre però Joseph “inventerà” ben presto un suo linguaggio contrappuntistico-armonico molto personale, basato sulle peculiarità degli strumenti e sulla sperimentazione armonica, Michael fa dello “stile osservato” alla Palestrina-Fux uno dei suoi punti forti. Si può affermare, senza paura di essere smentiti, che i mottetti “a cappella” di Michael Haydn, composti secondo le antiche regole di cui sopra, non abbiano eguali nella produzione musicale dell’ epoca. Nessun altro Maestro coevo, per dotto o esperto egli fosse, è riuscito in questo genere musicale a combinare altrettanto bene i tre elementi-base quali: perizia contrappuntistica, coscienza della forza primigenia del “suono vocale” e profonda compenetrazione espressiva del testo (Michael Haydn è anche un ottimo conoscitore del latino e delle leggi metrico-prosodiche classiche: non un errore né metrico né semantico è riscontrabile nel trattamento del testo, allorché egli compone un mottetto)[5].

Non potendo citare ed esaminare tutte le straordinarie composizioni sacre “a cappella” in stile osservato pervenuteci dalla penna di Michael Haydn, ricorderemo qui in particolare un Ave Regina a doppio coro[6] (scritto con un gusto e con una sicurezza di mano degni di un Maestro di Scuola Veneziana), le tre Missae quadragesimales[7] (in cui si riscontra uno stile assolutamente originale, “gregorianeggiante”, senza battuta), i Responsori per la Settimana Santa[8] (veri e propri gioielli di poesia musicale e di suprema sintesi tecnico-espressiva) ed – ovviamente – il sopracitato Tenebrae factae sunt in Mib Maggiore a quattro voci e continuo[9], al quale ora dedicheremo qualche riflessione.

Questa è con tutta probabilità la composizione sacra di Michael Haydn più conosciuta: qui intelligenza costruttiva e potenza espressiva del compositore si manifestano nella loro evidenza più impressionante e nella loro forma più sintetica.

Osserviamo velocemente dapprima la ferrea simmetria strutturale, quindi esamineremo più da vicino l’ impiego sapiente della tonalità, della modulazione e di altri mezzi espressivi.

Il mottetto presenta due parti corrispondenti di cui la seconda è leggermente più corta della prima:

1^PARTE: Largo / Grave, Mib Magg., batt. 1 – 34

2^PARTE: Larghetto / Grave, sol min./Mib Magg., batt. 35 – 58

I due episodi “Grave” sono fra loro identici sia nel testo che nella musica.

Ad un esame più attento, ciascuna metà del mottetto è a sua volta suddivisibile in tre sottoparti, i cui episodi centrali (batt. 16-23 e 40-47) sono fiancheggiati da pause generali (GP). Questi rappresentano il “cuore” del mottetto, ossia le parole di Gesù Cristo in croce. Entrambe le volte essi vengono preceduti da uno speciale episodio, che introduce il discorso diretto (introd.), per poi essere seguiti dall’immagine musicale di Cristo, che inclina il capo nell’atto di morire (katábasis).

1^ PARTE                  ||                    2^PARTE

 Largo      Grave      ||    Larghetto                          Grave

Introd. GP, Cristo, GP, katábasis  ||  Introd. GP, Cristo, GP, katábasis

Di che si serve Michael Haydn, per rendere merito al testo e alla immane drammaticità della situazione in uno spazio musicale così ridotto e con mezzi tanto essenziali?

Durante tutto il mottetto viene impiegato un procedimento accordale serratissimo, nello stile nota-contro-nota; nessuna concessione ad un benché minimo ornamento melodico o di tipo contrappuntistico-imitativo: l’estrema gravità del momento lo vieta!

Per ottenere un simbolico “oscuramento” sonoro, Michael Haydn non conferma subito la tonalità di base (Mib Magg.), ma si muove dapprima al tono della sottodominante Lab Magg. sulla parola “sunt” (batt.3) facendo quindi procedere la linea del basso per gradi discendenti e confermando in cadenza quest’ultima tonalità (batt.7): l’oscurità ha coperto la terra anche musicalmente.

          I Mib/V Lab     V2             I6                                                               conferma  di Lab

Il compositore e pubblicista Christian Friedrich Daniel Schubart (1739-91) definisce Lab Maggiore: “Tonalità cimiteriale. Nel suo ambito gravitano morte, sepoltura, decomposizione, giudizio, eternità[10]. Mib Maggiore invece viene definita come “la tonalità dell’amore, della religiosità, del dialogo confidenziale con Dio, illustra con i suoi tre bemolli la Santa Trinità[11]. Nel “Tenebrae” di Michael Haydn questa, che è la tonalità di base, viene di fatto – e non a caso –  confermata soltanto nell’ Interrogatio, che Cristo rivolge al Padre: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (batt.16-22).

L’inclinarsi del capo del Cristo nell’atto di morire viene illustrato da un’impressionante figura quasi madrigalistica: una katábasis arricchita nel Soprano da un procedimento cromatico, detto all’epoca passus duriúsculus (“procedimento piuttosto duro”).

Questa katábasis ha luogo sotto i tre profili:

  1. a) melodico (movimento discendente di tutte le parti, passus)
  2. b) armonico (moto discendente dalla Tonica alla Dominante)
  3. c) dinamico (“decrescendo”)

Attraverso una complessa successione di accordi abilmente rivoltati, si giunge ad un accordo sospeso di settima di dominante in “piano” (batt.24-28):


(passus duriusculus)

Poi, improvvisa, un’ exclamatio in “fortissimo” su armonia di settima diminuita, quella che all’epoca era considerata la dissonanza più destabilizzante, perché priva di un riferimento tonale univoco (batt.29-31):

Indi, dopo una lunga pausa carica di altissima tensione drammatica (figura chiamata dagli antichi retori aposiópesis, ossia “il tacere”!), si ode – quasi un sussurro – l’esalare dell’ ultimo respiro – sottolineato in “pianissimo” dal ritmo a doppio punto dei soprani (batt.32-34):

Il “Larghetto” (batt. 35-47) è modulante alla tonalità di sol min., collegata da Schubart a significati come “spiacevolezza, scomodità, […] stridore di denti con malumore[12] e che quindi è volta ad introdurre e illustrare “da dentro” le estreme parole del Cristo morente.

Queste ultime parole, in sol min. per l’appunto, culminano in una suggestiva cadenza di tipo arcaizzante: sottodominante in “sesta napoletana” (simbolo di dolore), armonia di dominante con ritardo di quarta su terza (Palestrina!) e accordo finale con quinta vuota (assenza di vita). Quale successione accordale potrebbe sintetizzare con più forza espressiva e parsimonia di mezzi tecnici la passione e la morte di Cristo?

41                                                                                (la bem.)

                                                                                            

 

  II6nap.           V4-3        I

È ora necessario richiamare l’attenzione su un importantissimo elemento di natura melodica. Si noti il movimento contrario delle parti esterne all’inizio del mottetto (accanto ad una sapiente condotta delle parti interne, cfr. batt.3-5). La maggiore distanza fra esse – e quindi il punto culminante del soprano – lo si raggiunge sulla parola “Jesum” (batt.6). Dopo di che, la melodia ricade sorprendentemente su se stessa (batt. 6-7):

                                                                                                        11       4               4      3

Si tratta qui di una caratteristica struttura orizzontale (11-4-4-3), che verrà poi ripresa prima dal diciannovenne Franz Schubert nel suo Salve Regina (D 386) a quattro voci (1816) e poi dal trentasettenne Anton Bruckner nel suo magnifico e struggente Ave Maria a sette voci (1861):

(Schubert)                                                                               11   4    4   3                                   

(Bruckner)                                                                         11  4    4    3     

Questa figurazione, che sembra salire lentamente per poi precipitare su se stessa – potremmo chiamarla gestus corruens – sembra essere congeniale a quei pezzi di musica sacra in cui ci si rivolge – procedendo melodicamente verso l’alto – a concetti estremi (“Jesum”, “ventris”, “mortis”). Tutto ciò che invece è legato alla vita terrena, al mondo caduco delle creature, trova il suo luogo nell’ambito inferiore di questo gestus (“Judaei”, “tui”, “nostrae”). D’importanza essenziale è comunque da considerarsi l’enfasi della salita, seguita poi dal salto verso il basso e dalla corrispondente doppia appoggiatura, che risuona nel registro più grave dei soprani e dei contralti, quasi a richiamare la sonorità di un coro virile.

Lo schema del gestus corruens Michael-Haydniano si ritrova ancora – mutato o ampliato – nella letteratura sacra del 19° secolo. Una delle sue varianti più grandiose la si deve nuovamente a Bruckner nel suo Locus iste:

(Bruckner)                                                                   gestus corruens (variato)

Un’ultima osservazione di tipo pratico. Confrontando il manoscritto originale qui riprodotto[13] con le numerose edizioni moderne, si noterà che nessuna di esse lo rispecchia fedelmente. Mentre l’originale haydniano prevedeva il sostegno del basso continuo all’organo, nelle edizioni influenzate da un’estetica sonora di stampo tardo-ottocentesco, è previsto il solo coro “a cappella”. Anche l’abbondante aggiunta di indicazioni dinamiche ed articolatorie è riconducibile ad un gusto di carattere romantico o post-romantico. Ecco l’esempio di un’edizione del 1960 ca. (solo la prima facciata), in cui quasi in ogni battuta sono state aggiunte forcelle di crescendo e decrescendo (per invitare ad un tipo di fraseggio “espressivo”), accenti, sfumature dinamiche assolutamente anacronistiche, come mp o mf (all’epoca di Michael Haydn del tutto inesistenti):

Nell’esempio seguente (un’altra edizione moderna) sono stati aggiunti non solo segni dinamici più vicini ad un fraseggiare “lunghissimo” di tipo brahmsiano (si noti il crescendo in due fasi da batt. 1 a batt. 6); fra parentesi sono anche visibili proposte per una suddivisione Soli-Coro completamente estranea all’originale:

Ma la discordanza che ha le conseguenze più catastrofiche sugli interpreti moderni è il segno di battuta, che nell’originale è  (“alla semibreve” classico):

(Bayerische Staatsbibliothek, Mus. Hs. 4143)

                 

Già a partire dalla prima edizione a stampa del mottetto nel 1814[14], questo “alla semibreve” viene inspiegabilmente sostituito con il segno C (“tempo ordinario”), poi riprodotto pedissequamente nelle edizioni successive fino ai giorni nostri[15]:

(Allgemeine musikalische Zeitung, 1814)

Ciò fa sì che molti interpreti (non tutti) scelgano erroneamente una battuta in quattro tempi anziché in due, dilatando così le frasi in modo del tutto innaturale, compromettendo i delicati rapporti fra le varie sezioni, nonché appesantendo tutto il mottetto (per comprendere la naturalezza – e la necessità – della battuta in due metà  e l’insensatezza – e l’inutilità – della battuta in 4/4 C, si provi a cantare e a fraseggiare la sezione GraveEt inclinato capite”, battendolo prima lentamente in due e poi altrettanto lentamente in quattro. Quale sarà la soluzione più logica e naturale?).

Bayerische Staatsbibliothek, Mus. Hs.4143

Allgemeine musikalische Zeitung, Jg.16, Beylage Nr.2, Leipzig: Breitkopf & Härtel, 1814

Altra edizione moderna con dinamica ritoccata (secondo un’estetica tardo-ottocentesca)

    

A Johann Michael Haydn fu dato di vivere fino al 1806, anno in cui – non ancora sessantanovenne – si spense a Salisburgo, lasciando un’eredità musicale immensa[16], senza più riuscire – come Mozart –  a compiere la stesura di una Messa da Requiem in Sib Maggiore (MH 838). Il suo scolaro Anton Diabelli (1781-1858) si prodigò intorno al 1830 di pubblicare e diffondere la produzione sacra del Maestro (soprattutto i Graduali). Questo è uno dei principali motivi, per cui Michael Haydn venisse ricordato nell’Ottocento come “Il celebre compositore di musica sacra”, secondo la già citata testimonianza di Constant Wurzbach (1861).

Ma volendo rispondere in modo completo alla domanda: Michael Haydn, chi è costui?, allora bisognerà rendere giustizia ponendo l’accento sul fatto, che proprio nelle sue sinfonie[17], nella musica da camera e nelle composizioni vocali profane[18] egli non è meno importante che nel repertorio da chiesa. Durante l’arco lavorativo di 50 anni Michael Haydn getta il ponte che unisce lo stile preclassico di Reutter con il Biedermeier del 19° secolo.

Come anche nella produzione di tutti gli altri compositori, anche in quella di Michael Haydn sono presenti pagine deboli e periodi in cui domina la routine. Ma i suoi capolavori, quelli veri, sono senza dubbio degni di essere posti accanto alle opere principali dei suoi contemporanei.

Michael Haydn non è “soltanto” il fratello più giovane del grandissimo Joseph, o il collega più anziano dell’irraggiungibile Wolfgang Amadeus Mozart: merita ancora oggi di essere studiato, capito ed eseguito con amore e passione, nella certezza che in lui si debba riconoscere uno dei massimi “cesellatori” di musica (sacra e profana, vocale e strumentale) che la storia ci abbia dato.

Dedico questo articolo al M° Mario Lanaro, grazie al quale – più di tre decenni or sono – ho iniziato a conoscere e ad amare la musica di Johann Michael Haydn.

[1] Ancora il 15 Ottobre 1777 Wolfgang prega il padre di spedire ad Augsburg queste copie: “Se ci fosse l’occasione di comporre musica di questo genere, qui avrei di certo buoni esempi” (Traduzione:Lucio Golino). Circa cinque anni dopo Mozart si farà spedire la stessa raccolta a Vienna, per presentarne le musiche a casa del barone van Swieten.

[2] Cfr. KV-Appendice 109/VI

[3] Messa di San Carlo/ Per Musica/ Tutta in Canone/ e/ Particolarmente diversificata/ Nel giorno glorioso di detto Santo/ Umilmente consacrata/ al Nome felicissimo ed Immortale/ Della/ Sacra Cesarea e Real Cattolica Maestà/ Di/ Carlo VI./ Imperator de’ Romani Sempre Augusto/ da/ Giovan- Gioseffo Fux/ Dell’istessa Imperial Maestà Maestro di Cappella (Wien 1718); Denkmäler der Tonkunst in Österreich, Jg. I/1-Bd. 1, Wien 1893

[4] Nel Gradus ad Parnassum il dialogo si svolge fra l’allievo (Giuseppe, cioè Joseph, l’autore stesso Johann Joseph Fux) ed il Maestro (Aloysius, cioè Johannes Pietraloysius Praenestinus, il precettore idealizzato)

[5] Nell’anonima Biographische Skizze von Michael Haydn, Salisburgo 1808, pag.47, si può leggere a questo proposito“[…] Prima di accingersi alla composizione di un graduale [Michael Haydn] leggeva i testi in lingua originale, quindi, dopo averli tradotti con esattezza, se li faceva declamare a voce alta da Padre Aolysius Sandbichler, un insigne ed erudito Agostiniano […]” (traduzione: Lucio Golino)

[6] Ave Regina, MH 140 (Salisburgo, 23 Marzo 1770)

[7] Missa pro Quadragesima, MH 551 (Salisburgo, 15 Febbraio 1794); Missa Quadragesimalis, MH 552 (6 Marzo 1794); Missa Tempore Quadragesimae, MH 553 (Salisburgo, 31 Marzo 1794)

[8] Responsoria pro Hebdomada Sancta, MH 276-278 (Salisburgo, 4 Aprile 1778)

[9] Tenebrae, MH 162 (Salisburgo ca. 1770-1772)

[10] Schubart, Christian Friedrich Daniel: Ideen zu einer Ästhetik der Tonkunst, Wien 1806, pag.378 (traduzione, Lucio Golino)

[11] Schubart 1806, pag.377

[12] Schubart 1806, pag.377

[13] Bayerische Staatsbibliothek, Mus. Hs. 4143

[14] in: Allgemeine musikalische Zeitung, Jg. 16, [Beylage Nr. 2], Leipzig 1814

[15] Nei secc. XVIII e XIX il segno C indicava definitivamente il nuovo “tempo ordinario” in 4/4 e non più l’antico “tempus imperfectum cum prolatione minori” in 2/1.

[16] Charles H. Sherman, T. Donley Thomas, Johann Michael Haydn. A cronological Thematic Catalogue of His Works, Pendragon Press, New York, 1993

[17] Lothar Perger (Denkmäler der Tonkunst in Österreich, Jg. XIV/2-Band 29, Wien 1907) conta 52 sinfonie, 5 concerti, 11 marce, 4 serenate, 2 cassazioni, 14 divertimenti, 7 quintetti, 11 quartetti e molte altre composizioni strumentali.

[18] Roland Schwalb, Die Männerquartette Johann Michael Haydns nebst einem thematischen Katalog, dissertazione non pubblicata, Wien 1972