(PARTE SECONDA)

Prima di riprendere il discorso sulla ricerca del “giusto movimento” nella musica del 18° secolo, è opportuno dedicare la seconda parte di questo articolo all’ esame di diverse importantissime testimonianze d’epoca, per meglio comprendere la corretta lettura “storica” dei segni di battuta più importanti e controversi: “Alla breve”, “Tempo ordinario” e “battute dispari”.

  1. La battuta Alla breve (₵)

In merito al “tactus alla breve”, retaggio dell’antica notazione mensurale, regnava nel 18° secolo una generale confusione. Come si è visto nello schema delle battute semplici di due e quattro tempi, con il segno del semicerchio tagliato (₵) si indicavano (ancora nel 1760) sia il tempo in 2/1, sia quello in 4/2 e diversi tipi di 2/2. Si parlava di Alla breve ‘grande’, ‘piccolo’, ‘pesante’, ‘leggero’, ‘autentico’, ‘suddiviso’, ’effettivo’, di ‘semi-alla-breve antico’, di ‘Tempo a cappella’, ‘Tempo maggiore’ ecc.[1] Ulteriore confusione fu causata dal segno ‘2’, usato prevalentemente in Francia, il quale nella maggioranza dei casi indicava un tempo mediamente veloce, ma che non veniva distinto in modo coerente dal ₵. A ciò si aggiungano gli innumerevoli errori di stampa e di trascrizione di cui si lamentano in particolare PRAETORIUS, LOULIÉ, SAINT-LAMBERT, SAMBER e HEINICHEN.[2]

Fino a 19° secolo inoltrato, la maggior parte dei trattatisti condivideva l’opinione di KIRNBERGER, BROSSARD e QUANTZ, secondo cui l’Alla breve dovesse essere battuto il doppio più veloce del ”Quattro ordinario” (quest’ultimo, il ‘grande’ C barocco – come chiariremo più sotto – era generalmente considerato “lento”).

Altri autori affermavano, che ₵ fosse “somewhat faster.”[3] Per JOHANN MATTHESON[4] e JOHANN GOTTFRIED WALTHER[5] Alla breve era sinonimo di “molto veloce” (poiché la semiminima costituisce il suo “valore minimo di rilievo”, ossia il valore più rapido che si incontra con maggiore frequenza). Per JOSEPH RIEPL il fatto che ₵ venisse eseguito “troppo velocemente” era invece motivo di disappunto.[6]

La speciale denominazione verbale “Alla breve” o “Alla cappella” veniva generalmente considerata come indicazione per l’impiego dello stile fugato, o anche come un invito ad assumere un tempo piuttosto scorrevole[7]. Alcuni Maestri non si curavano troppo di un suo impiego regolare (J.S. Bach)[8] o non ne facevano affatto uso (Mozart).

In contraddizione con la teoria propugnata dal musicologo tedesco Walter Gerstenberg (1904-1988) e dai suoi scolari intorno al 1950, secondo cui fino ai primi decenni del 19° secolo valesse la legge dell’ “integer valor notarum” (un sistema di durata costante del tactus, da cui risultano varie proporzioni di tempo fra i diversi tipi di battuta)[9], molti trattatisti del 17° e 18° secolo si espressero sulla questione della battuta Alla breve in termini sorprendentemente flessibili e pragmatici:

MICHAEL PRAETORIUS 1619: Nel ₵ si deve osservare “ex consideratione Textus et Harmoniae, dove sia meglio assumere una battuta più lenta o più scorrevole”.[10]

MARIN MERSENNE 1636: Poichè la battuta ₵ può essere eseguita “più veloce o più lenta, decide la velocità colui che dirige il concerto in base al tipo di musica ed al suo contenuto, ossia secondo la sua volontà[11](!)

PIER FRANCESCO VALENTINI 1643: Il tactus Alla breve è “tal volta adagio, e tal volta presto, e tal volta tra ‘l presto e l’adagio mediocremente, secondo richiedono il stile delle compositioni, e il tal delle parole”.[12]

DANIEL FRIDERICI 1649: “Nel canto non si deve percepire unicamente un solo tipo di battuta: al contrario, la si dovrà adattare a seconda di come siano le parole del testo. In questo modo si avrà ora un tactus più rapido, ora uno più lento”.[13]

JOHANN DAVID HEINICHEN 1728: “È cosa logica, che la normale battuta dell’Alla breve si possa più trattenere o più accelerare”.[14]

FRIEDRICH WILHELM MARPURG 1763: “Poiché nello stile Alla breve esistono diversi gradi di velocità, il movimento sarà più o meno rapido”.[15]

Si noti bene, che in tutto il 18° secolo non si troveranno trattati che parlino espressamente di “proporzioni di tempo”. Uniche eccezioni: l’artificiale e troppo teorico schema di pulsazione delle quattro “categorie di tempo” descritto da QUANTZ nel suo celebre trattato per flauto[16] e la soluzione piuttosto ingenua proposta da SAINT-LAMBERT nel suo Les Principes du Clavecin, che prevede un’ “ottuplicazione” delle unità di battuta (da C attraverso ₵ e ‘2’ fino al 4/8).[17]

Nella seconda metà del 18° secolo “le pratiche di notazione più antiquate nello stile da chiesa verranno gettate fuori bordo. I compositori della giovane generazione elimineranno la battuta  ‘Alla breve’, che era ancora normale nelle fughe degli anni quaranta e cinquanta; a partire circa dal 1770 la maggior parte dei compositori scrive fughe con l’indicazione del ‘grande’ Quattro-quarti [C].”[18]

Nella musica strumentale del periodo galante e classico, la battuta ₵ presenta nuove caratteristiche: sotto l’influsso della musica di danza, acquista uno slancio che si può adattare ai più diversi gradi di velocità (determinati dal valore minimo di notazione e dalla dicitura di tempo). Grazie al fatto di presentare solo un accento forte per battuta, l’ ‘Allabreve’ [sic] mantiene sempre un ampio respiro metrico ed una patina di “nobiltà”.

  1. il ‘grande’ Quattro-quarti (C) – “Tempo ordinario”

La ‘battuta intera’ in 4/4 prende il nome di “Tempo ordinario” perché è la matrice dei valori di notazione, così come sono validi ancor oggi: intero, metà, quarto, ottavo ecc. Diversamente dai valori variabili della notazione mensurale: brevis, semibrvis, minima, semiminima, le relazioni aritmetiche fra i valori rimangono inalterate anche in raggruppamenti più piccoli, come 3/4, 2/4, 3/8, 6/8.[19] (Come abbiamo già visto però, il musicista del 18° secolo considerava i “tempi” dei vari tipi di battuta “per natura” diversi fra loro).

  1. G. WALTHER 1732: “Tempo ordinario significa, che tutte le note debbano venire eseguite nel loro valore naturale ed abituale[20]– quindi non con valori dimezzati come nel ₵. Il concetto si riferisce esclusivamente alla battuta C e non è assolutamente sinonimo di “tempo giusto, che è invece il risultato del rapporto tra battuta e valore minimo di notazione (vedi più sopra).

L’antico tactus C, detto ‘grande’ Quattro-quarti (che oggi viene confuso spesso col 4/4 del classicismo, che è tutt’altra cosa e di cui parleremo più avanti) viene citato solo da pochi trattatisti, poiché all’epoca era ancora evidentemente molto ovvio. Si legge che valeva la metà del Tactus-Alla-breve e che si usava al posto del più pesante 4/2, senza però indicarne espressamente il tempo (o i tempi) con una dicitura verbale. Anche in assenza di una specifica denominazione di tempo però, il C veniva considerato “lento[21], “molto lento[22], “molto pesante[23].

JOH. BAPTIST. SAMBER 1704: “Questo segno (C) indica un canto grave e lento”.[24]

Per JOH. DAVID HEINICHEN 1728 si trattava di un “tempo ordinario lento” da armonizzare in ritmo di crome.[25]

RIEPEL 1752 parla di un “antico 4/4 o battuta comune con il suo comodo andamento in semiminime”.[26]

JOH. GOTTFRIED WALTHER 1732: “C; se non ci sono altre indicazioni di tempo va intesa come un Adagio con misura lenta, che gli italiani chiamano tempo ordinario”.[27]

DANIEL GOTTLOB TÜRK 1789: “Il grande Quattro-quarti possiede una caratteristica di esecuzione robusta, pesante ed un movimento lento.”[28]

JOH. PHILIPP KIRNBERGER 1767: “La battuta in 4/4 può essere di due tipi. O lo si usa al posto del 4/2 e lo si nomina ‚grande’ quattro-quarti, oppure è il cosiddetto tactus pari normale, anche chiamato ‘piccolo’ quattro-quarti. Il ‘grande’ quattro-quarti ha un movimento ed un carattere assai pesante e si adatta a grandi pezzi sacri, cori e fughe per via della sua espressività. Ottavi e pochi gruppi di sedicesimi sono i suoi valori più brevi. Per distinguerlo dal ‘piccolo’ quattro-quarti bisognerebbe indicarlo con 4/4 anziché con C. Entrambe le misure non hanno nulla in comune, a parte questo segno. Il‘piccolo’ quattro-quarti ha un movimento più vivo. Può contenere tutti i valori fino ai trentaduesimi e lo si impiega in tutti gli stili compositivi.”[29]

JOH. ADAM PETER SCHULZ 1794: “Il ‘grande’ quattro-quarti’. I suoi valori più rapidi sono gli ottavi, i quali – così come i quarti e le rimanenti note più lunghe – debbono essere suonati sul violino con tutto il peso dell’arco, senza le minime sfumature di piano e forte, eccetto il particolare peso sulla prima nota di ciascuna battuta. Questo stile si presta particolarmente allo splendore espressivo nei pezzi sacri e soprattutto in cori a più voci ed in fughe, data la sua andatura seria e patetica. Alcuni compositori si servono del quattro-mezzi 4/2 invece che di questo tipo di battuta, in cui la gravità dell’esecuzione risulta ulteriormente accresciuta, dato il doppio valore delle note.”[30]

FRIEDRICH WILHELM MARPURG 1763 scrive in modo gradevolmente pragmatico (anche se oggi per noi di scarso aiuto): ”Il giusto valore [del ‘grande’ C] dev’essere appreso nella pratica, poiché il battito del polso è altrettanto poco affidabile, quanto non lo sia il passo d’un uomo”[!][31]

Per i compositori della prima metà del 18° secolo questo tipo di C barocco rappresentava ancora uno standard nello stile da chiesa. Händel usa spesso questa antica misura nei numeri corali dei suoi oratori. Il monumentale esempio qui riportato (Messiah, Nr. 47: “Worthy is the Lamb”) mostra chiaramente che le quattro suddivisioni del ‘grande’ C sono quasi egualmente pesanti, in relazione alla struttura metrica | = – – – |, indipendentemente dalle diverse “diciture di tempo” autografe, Largo e Andante:

 

Dalla ‘pesante’ battuta barocca C, la quale prevedeva financo nell’Allegro un’armonizzazione del ritmo in ottavi e che si conservò nella musica sacra fino alla fine del 18° secolo (Mozart, Requiem KV 626, Kyrie), si distanziò il più brillante ‘piccolo’ quattro-quarti di cui parlava KIRNBERGER più sopra, impiegato essenzialmente nelle arie e nei numeri strumentali solistici ricchi di sedicesimi. Così il ‘piccolo’ C viene descritto anche da JOHANN MATTHESON 1713: “C significa, che la misura ha quattro suddivisioni e contiene quattro quarti, di cui due sono in battere e due in levare. (| = = ˅˅ |) Il suo impiego è frequente in Arie, Allemande, Bourrées ecc. ed ha quasi sempre la medesima velocità, cosicché lo si nomina pure battuta normale.”[32] Nella seguente aria tratta dal “Giulio Cesare” (1724) di Händel si nota chiaramente che la prima metà della misura è considerata “pesante” (“lunga”), mentre la seconda metà è “leggera” (“corta”) e funge da “levare” alla successiva misura:

L’Allegro da concerto vivaldiano, sviluppatosi a Venezia nei primi decenni del secolo, possiede un “movimento naturale” veloce. Come il ‘grande’ C della musica sacra, presenta quattro tempi per battuta. Questi risultano dalla combinazione metrica di 2/4 + 2/4 | = ˅ = ˅ | (da non confondersi con la struttura metrica “articolata” del C ‘piccolo’ | = = ˅ ˅ | di cui sopra). Il suo valore minimo costante sono ottavi o sedicesimi ed il ritmo armonico presenta non più di due o tre cambi per battuta. Notare bene nell’esempio seguente (Vivaldi, Concerto in Sol Magg. RV 314) l’entrata del tema ora sul primo, ora sul terzo tempo (+levare): le due parti della misura presentano esattamente lo stesso peso metrico e vengono ancora intese dal compositore come assolutamente equivalenti.

Questo nuovo stile raggiunge una “motoricità” che toglie al metro del vecchio tempo ordinario C ogni pesantezza: “Una musica, di fronte alla cui vitalità l’antico tipo di battuta impallidisce”.[33] Verso la metà del 18° secolo la sinfonia d’opera italiana e l’Allegro galante di QUANTZ e JOHANN CHRISTIAN BACH condurranno il “tempo ordinario” ad una particolare leggerezza e velocità. A partire dagli anni ‘70 viene poi ad imporsi il 4/4 del Classicismo, il quale consta definitivamente di due sole pulsazioni principali per battuta. Presentando una struttura metrica molto particolareggiata e complessa, il nuovo stile classico impone una raffinata gerarchia di accenti principali e secondari nel contesto non solo della singola misura, ma – come ora vedremo – di una o più frasi musicali all’interno della stessa composizione.

Dunque, come il C ‘piccolo’, anche questo „Tempo ordinario classico” è costituito dall‘insieme di 2/4+2/4. Come l‘Allegro vivaldiano però, è caratterizzato da un movimento naturale più veloce. Il 4/4 classico presenta inoltre una nuova, particolare struttura metrica: „La fusione [di due battute da 2/4] viene attuata indebolendo l‘accento della seconda battuta[34] | = ˅ – ˅ |

In contrasto con il più pesante C ‘grande’ e col mediamente pesante C ‘piccolo’ vengono dunque così resi possibili:

  1. una maggiore differenziazione d‘intensità dei quattro movimenti della battuta;
  2. un tempo più scorrevole (grazie alla maggior leggerezza metrica ed armonica);
  3. frasi più cantabili ed un legato più plastico (Mozart!).

FRIEDRICH WILHELM MARPURG 1776: „Per ottenere il vero quattro quarti si esige, che il ritmo [il metro] acquisti una maggiore ampiezza di respiro rispetto al due quarti[35]

In particolare poi, si assiste al fenomeno squisitamente “classico” dei gruppi di battute articolate in frasi ed in periodi, descritto ancora nel 1824 dal teorico tedesco GOTTFRIED WEBER:

„Nella nostra grafia musicale è uso considerare che la battuta inizi con un movimento pesante. Così in ogni battuta di due tempi ad un tempo pesante ne succede uno leggero | = ˅ |, mentre nella battuta di tre tempi ad un movimento pesante ne succedono due leggeri | =  ˅ ˅ | . Questo non significa però, che ogni  tempo pesante debba essere eseguito veramente più forte o con un accento; è più un fatto di peso „interno“, il quale motiva con naturalezza il senso ritmico di ogni tempo pesante. Allo stesso modo anche le suddivisioni più piccole saranno differenziate fra loro a  seconda del loro peso „interno“ nel contesto della battuta. Esiste però anche una simmetria „superiore“. Come la battuta consta di due o tre movimenti, così due o tre battute costituiscono le parti di un ritmo più ampio e più ritmi di questo tipo originano le parti di gruppi ancora maggiori. All‘interno di queste gerarchie ritmiche superiori, le battute si distinguono fra loro a seconda del loro maggiore o minore peso interno, allo stesso modo dei movimenti della battuta stessa: le battute pesanti si distingueranno da quelle leggere, così come avviene fra i movimenti più pesanti e quelli più leggeri all‘interno della battuta“.[36]

  1. Le battute dispari

Nel 18° secolo – diversamente da oggigiorno – era un dato di fatto, che – pur con la stessa dicitura di tempo – il movimento delle battute dispari fosse più veloce che nelle battute di tipo pari.

ALEXANDER MALCOM 1721:”The Movements of the same Name, as Adagio or Allegro, &c. are swifter in triple than in common Time.”[37]

JOHN HOLDEN 1770: “Common time is naturally more grave and solemn; triple time, more cheerful and airy. And for this reason, it is generally agreed, that every mood of triple time ought to be performed something quicker, than the correspondent mood of common time.”[38]

Una vera e propria spiegazione per questa differenza di tempo fra battute di tipo pari e dispari non è fornita da nessun trattatista; neppure da Mattheson, Quantz, C. Ph. E. Bach, Marpurg, Riepel, i due Rousseau, Leopold Mozart, Scheibe, Kirnberger, Türk e Koch, i quali sicuramente la consideravano ancora cosa ovvia e naturale. Un’importante indicazione a questo proposito viene però fornita da SCHULZ 1774: “Proprio in virtù dell’incedere tripartito <gedritte Fortschreitung> dei suoi accenti forti, la battuta dispari presenta una maggiore vitalità in ogni sorta di espressione e quindi si presta molto meglio che la battuta pari per gli stati d’animo vivaci.”[39]

Incedere tripartito’ – questa particolare formulazione potrebbe fornirci un indizio riguardante l’essenza naturale delle battute di tipo dispari! La musica vivacemente accentuata dei giullari potrebbe aver agevolato non solo l’“Alla breve”, ma anche le battute ternarie, a liberarsi dall’intellettualistico sistema di proporzioni del passato. L’ ‘incedere tripartito’ si trasferisce alle composizioni di rango più elevato: con battute di tipo dispari vengono composte Ciaccone, Passacaglie, Gagliarde, Correnti ecc.; le antiche danze in due tempi lenti sfociano per regola in una battuta in tre veloce. Infine il Minuetto (dapprincipio suonato e danzato in tempo sorprendentemente mosso) conquista le corti europee e diviene l’esempio classico del tempo in 3/4 “per eccellenza”.

Riguardo alla varietà dei tempi in tre, riportiamo la seguente testimonianza del tardo Seicento:

GIACOMO CARISSIMI 1689 (attribuzione incerta): “Esistono non poche persone, che fanno uso di un’unica misura in ogni genere di tripla senza alcuna distinzione ed affermano, che la grande varietà di indicazioni numeriche sia stata ideata dai compositori solamente per tormentare i musicisti, ma sbagliano grandemente […] Basti osservare ed ascoltare la grande differenza delle triple in Correnti, Sarabande, Minuetti, Gighe e simili; non saranno necessarie ulteriori prove.”[40]

I diversi tipi di danze determinano il movimento delle battute in 3/2, 3/4, e 3/8 tramite la loro successione di passi e il loro differente “affetto” caratteristico. La tendenza della battuta in tre mantiene l’intrinseca concezione metrica “in uno”, ma il rapporto con l’azione fisica della danza libera la pulsazione ritmica dalla costrizione matematica.

GEORG MUFFAT 1695: “In 3/2 la battuta vuol essere assai trattenuta, in 3/4 invece è più vivace, ma in Sarabande e in ‘Airs’ sarà tuttavia un po’ più lenta; in Minuetti, Correnti ed altro bisognerà dare un tempo molto fresco.”[41]

I trattatisti definiscono un non quantificato aumento di velocità da 3/1 a 3/2, 3/4 e 3/8. Uno dei motivi di questo fenomeno potrebbe essere l’idea di una crescente velocità di movimento, sempre in costante riferimento al valore minimo di notazione contenuto nel pezzo[42].

GOTTFRIED WILHELM FINK 1809 spiega “a posteriori” questo dato di fatto da un’ottica decisamente conservativa:

Noi eseguiamo gli ottavi il doppio più veloci dei quarti e questi ultimi allo stesso modo più veloci delle metà e così via. Quest’ ordine di valori è naturalmente radicato in noi, cosicché un Allegro in 3/8 avrà una natura più veloce che lo stesso in 3/4 ossia uno in 3/2 e così via. Più il valore-base di notazione è grande, più noi avvertiremo qualcosa, che ci costringe a rallentare, anche se come dicitura di tempo ci fosse un Presto. L’incoerenza della denominazione dei valori delle note: quarti, ottavi ecc. contro la battuta [in tre tempi], si dimostra qui in tutta la sua evidenza.”[43]

Esaminando la musica del 19° secolo, si potrà facilmente constatare il seguente fenomeno: i vari generi di battuta che prima avevano avuto caratteri e tempi differenti, vengono sempre più livellati in unità di misura aritmeticamente unitarie, prive di influsso sulla velocità del tempo e sullo stile d’esecuzione. Sotto l’influsso di BERLIOZ e WAGNER, nel cambio di tempo tra binario e ternario verrà infine ad imporsi la regola: “L’istesso tempo” (semiminima del tempo binario=semiminima del tempo ternario e viceversa).

HEINRICH CHRISTOPH KOCH 1802 considerava questo procedimento livellante ancora non come una regola, ma come un’eccezione:

L’ istesso tempo, vale a dire: la misura cronometrica vera e propria. Questa Indicazione viene adoperata laddove la misura cambia: ad es. qualora un quattro-quarti venga seguito da un due- o un tre-quarti, dove però i quarti debbano susseguirsi inalterati rispetto al tempo precedente.[44]

 

 

note

[1] „ALLA BREVE e ALLA SEMIBREVE è un’espressione in uso prevalentemente in Italia, per indicare una musica che abbia un andamento alla cappella. Tale parola risulta problematica per i maestri tedeschi e viene chiarita in modo inconsequente, a seconda di come ciascuno intenda questo misterioso concetto. […] Solo nella musica sacra italiana è in uso scrivere secondo detto metro antico. Affinché il cantore o il musico non si confondano e non considerino le brevi e semibrevi come battute intere, si chiarisca di seguito quanto sopra esposto: ‘alla breve’, ‘alla semibreve’ o ‘alla cappella’; cosicché egli sappia di trovarsi di fronte ad antiche note di tipo “fraconiano” e che debba battere il tempo più veloce che se si trattasse di notazione moderna. Di conseguenza si consideri la regola secondo cui ‘alla breve’ significa, che bisogna eseguire le note ad una velocità maggiore della metà; senza peraltro che sia necessaria una giustificazione a ciò.” Abbé Maximilian Vogler, articolo “Alla breve” nella Allgemeine deutsche Encyklopädie, Francoforte 1778, pag. 353.

[2] MICHAEL PRAETORIUS: „Alcuni confondono la ‚C’ e la ‚¢’ usando l’una al posto dell altra e così non si riconosce più nessuna differenza di notazione e di esecuzione. „ (Syntagma musicum III, Wolfenbüttel 1619; ◊ ÉTIENNE LOULIÉ presenta sette segni: cerchi e semicerchi, tagliati e non, con e senza punto: “Il loro uso non è ben chiaro, gli uni li usano in un modo, gli altri in un altro.“ (Éléments ou principes du musique, 1696, pag. 60; ◊ SAINT-LAMBERT, Les principes du Clavecin, 1702, pag. 24; ◊ JOHANN BAPTIST SAMBER: „Succedono talvolta errori da parte di copisti, i quali credono che i segni ‘C’ o ‘¢’ siano tutt’ uno.” (Manuductio ad organum, Salzburg 1704, pag. 9); ◊ JOH. DAVID HEINICHEN, Der General-Bass in der Composition, Dresden 1728, pag. 350.

[3] Cfr. Robert Donington, The Interpretation of Early Music, New Version 1979, pag. 410 segg.

[4] Johann Mattheson, Das Neu-Eröffnete Orchestre, 1713. pag. 145.

[5] Johann Gottfried Walther, Musicalisches Lexicon, 1732 pag. 26 seg.

[6] Joseph Riepel, Anfangsgründe zur musicalischen Setzkunst, „De Rhythmopoeia, oder von der Tactordnung“, Regensburg 1752, pag. 78.

[7] Telemann indica spesso – secondo questo principio agogico – con la dicitura „Alla breve“ pezzi  con battuta in C.

[8]  Joh. Seb. Bach nella sua Messa in si-min. nel „Dona nobis“ non indica più verbalmente “Alla breve”, come prima invece aveva fatto nel caso della musica quasi identical del “Gratias” (in ambedue i casi l’indicazione di battuta è ¢).

[9] Walter Gerstenberg, Die Zeitmaße und ihre Ordnungen in Bachs Musik, 1952, pag. 20.

[10] Michael Praetorius, Syntagma musicum III, 1619, pag. 51.

[11] Marin Mersenne, Harmonie universelle, Paris 1636, II, pag. 255. Livre 4me de la Composition, Prop. XX (“La mesure est l’espace du temps que l’ on employe à hausser & à baisser la main: & parce que l’on peut faire ces deux mouvements opposés plus vistes, ou plus lents, celuy qui conduit le Concert, détermine la vitesse suivant le genre de Musique & la matière qu’il emploie, ou suivant sa volonté”.

[12] Pier Francesco Valentini, Trattato della battuta musicale, Roma 1643, pag 138, §230.

[13] Daniel Friderici, Musica figuralis, Rostock 1649, Cap. VII, Regula 19.

[14] Johann David Heinichen, Der General-Bass in der Composition, Dresda 1728, pag. 947.

[15] Friedrich Wilhelm Marpurg, Anleitung zur Musik überhaupt, Berlin 1763, 2. parte, Cap. IV, § 10, pag. 76

[16] Johann Joachim Quantz: Versuch einer Anweisung die Flute traversière zu spielen Berlin/Breslau 1752, 1789; Reprint: Kassel 1964, pag. 264 seg.

[17] Saint-Lambert, (non Michel de): Les Principes du Clavecin; Paris 1702, Reprint: Ginevra 1972, pag. 56

[18] Bruce C. MacIntyre, „Die Entwicklung der konzertierenden Messen Joseph Haydns und seiner Wiener Zeitgenossen, in: Haydn-Studien VI, Heft 2, 1988, pag. 87.

[19] JOHANN SAMUEL PETRI: „Il 4/4  ossia tactus comune, è la principale fra tutte le battute, secondo la quale anche le note ricevono il loro nome. Infatti la denominazione, che le note hanno ricevuto in detta battuta, rimane invariato, anche quando il rapporto fra le note e il valore intero della battuta varia. Questo succede, perchè altrimenti bisognerebbe cambiare il nome delle stesse figure musicali di volta in volta. Ad es. ♪ in 4/4 è un ottavo; in 4/8 ossia in 2/4 lo si dovrebbe chiamare un quarto; in ¾ un sesto; in 3/8 un terzo; in 12/8 un dodicesimo […]. Siccome però tutto ciò non solo renderebbe difficile ai principianti la comprensione della battuta, ma creerebbe spesso confusione a tutti i musicisti, si è preferito attenersi ai nomi che derivano dalla battuta di 4/4 come tactus principale, per poter  sempre ricollegare uno stesso nome ad una stessa figura musicale.” (Anleitung zur praktischen Musik, Leipzig 1782, pag. 143,.

[20] Johann Gottfried Walther, Musikalisches Lexikon, 1732

[21] Johann Rudolf Ahle, Brevis… introductio in artem musicam, in: Deutsche kurze, doch deutliche Anleitung zu der  … Singekunst, 1690, „Von den signis“.

[22] W. Caspar Printz, Compendium musicae, 1689, pag. 21. ◊ Secondo Étienne Loulié il segno C serviva ad indicare un tempo lento anche in combinazione con altre indicazioni di battuta, come C2, C3, C3/2 (Éléments ou Principes de Musique, 1696, pag. 60), mentre la combinazione degli stessi segni con ¢ indicava un’ accelerazione.

[23] Saint-Lambert, Les Principes du Clavecin, 1702, pag. 18; ◊ Michel l’Affilard, Principes très faciles pour bien apprendre la Musique, 1705, pag. 153.

[24] Johann Baptist Samber, Manductio ad organum, 1704, pag. 9. ◊ Similmente si esprime Praetorius nel Syntagma musicum III, 1619, pag. 50.

[25] Il quale però può anche avere una „misura veloce“ (Johann. David Heinichen, Der General-Bass in der Composition, 1728, pag. 268)

[26] Joseph Riepel, Anfangsgründe …, Capitolo 4 „Spiegazione dell’ insidiosa ordinazione dei tempi“, 1752, pag. 79.

[27] Johann Gottfried Walther, Musicalisches Lexikon, 1732, pag. 123.

[28] D. G. Türk, Klavierschule, 1789, pag. 95.

[29] Kirnberger/Schulz, Die Kunst des Reinen Satzes, II, 1767/81, pag. 122 seg.

[30] Joh. Abr. Peter Schulz, in: Sulzer, Allgemeine Theorie der Schönen Künste, IV, ²1794, pag. 496 seg., Articolo „Tact“

[31] Fr. W. Marpurg, Anleitung zur Musik, 1763, parte 2, cap. 4, § 10, pag. 74.

[32] Johann Mattheson, Das neu eröffnete Orchestre, Hamburg 1713, §7, pag. 77.

[33] W. Seidel in MGG II, vol 8, col. 292

[34] Mendel/Reissmann, Musikalisches Conversations-Lexikon, 1870-83, Articolo “Tactarten”, pag. 76

[35] Friedrich Wilhelm Marpurg, Anleitung zur Musik und überhaupt, 1776, parte 2, cap. 5 §6, pag. 86

[36] Gottfried Weber, Versuch einer geordneten Theorie, 1824, vol. 1, pag. 99

[37] Alexander Malcom, A Treatise of Musick, Edinburgh 1721, pag. 402 ◊ Quasi identico: James Grassineau, A Musical Dictionary, London ³1784, entrambi gli autori quasi identici a ◊ Brossard, Dictionnaire de Musique, Paris 1703.

[38] John Holden, An Essay towards a Rational System of Music, 1770, pag. 35.

[39] Joh. Abr. Peter Schulz, Articolo „Tact“ (Battuta), in: Sulzer, Allgemeine Theorie der Schönen Künste, vol. 4, pag. 497 seg.

[40] Giacomo Carissimi, Ars Cantandi (attribuzione incerta), cit. in: Walther, Musikalisches Lexikon, 1732, lemma “Triple de 12 pour 16”[sic], pag. 617.

[41] Georg Muffat, Florilegium Primum, 1695, Prefazione.

[42] Carl Dalhaus, Zur Entstehungdes modernen Taktsystems im 17. Jahrhundert, Annalen für Musikwissenschaft XVIII, 1961, pag, 230

[43] Gottfried Wilhelm Fink, Über Takt, Taktarten und ihr Charakteristisches II, in: AmZ  XI, Nr. 14, 4. 1. 1809, col. 214.

[44] Koch, Musikalisches Lexikon, 1802, col. 916.