Intervista a Giorgio Guiot

L’alfabetizzazione dei coristi è uno degli obiettivi più perseguiti dalle attività formative dell’associazione. Molti cori si sono mossi in tal senso anche autonomamente proponendo veri e propri corsi di lettura ai propri soci e cercando di integrare tale formazione nella normale attività corale. Uno sforzo che, per dare frutti, deve essere organico. Nato proprio per migliorare le capacità di lettura dei coristi il metodo Goitre ha avuto un ruolo importante nello sviluppo della didattica musicale in Italia negli anni ‘70 e conserva anche oggi una sua validità. Per presentarne le caratteristiche principali e valutarne le potenzialità abbiamo deciso di parlare con Giorgio Guiot, pianista, direttore di coro, esperto di didattica e curatore, nel 2010, della nuova edizione del metodo.

Come e quando è nato il suo interesse verso il lavoro di Roberto Goitre?

Non l’ho conosciuto personalmente ma mia moglie fece, a suo tempo, parte del coro dei Piccoli Cantori di Torino, formazione di voci bianche fondata da Goitre nel 1972. Prima di dirigerli (dal 1992 al 2005) ho avuto varie volte occasione di accompagnarli al pianoforte. Così conobbi anche il metodo. Inizialmente feci molta fatica a capirlo a causa, soprattutto, delle premesse poco chiare scritte da Goitre nella parte introduttiva. Chi lo frequentava negli ultimi anni di vita sostiene che egli volesse ritornare sul “Cantar leggendo” migliorandolo negli aspetti meno convincenti e aggiungendo altri materiali didattici. Di fatto non vi rimise più mano perché non fece in tempo: Roberto Goitre morì improvvisamente nel luglio del 1980.
Ricorrono quest’anno i 50 anni dalla nascita del Cantar leggendo ma il compleanno che è importante ricordare ancor prima è quello della solmisazione di Guido D’Arezzo (995 – 1050). Goitre affronta lo stesso argomento a suo tempo studiato da D’Arezzo o, più probabilmente, da vari collaboratori e allievi a lui legati e sensibili alle novità del momento. Ancora oggi riconosciamo a Guido D’Arezzo almeno due meriti:
– aver utilizzato un canto, il celebre Inno di San Giovanni, per insegnare a memorizzarne altri, facendo diventare una sillaba il paradigma di una situazione o, volendo usare termini matematici, una funzione.
– Aver organizzato le altezze su righe e su spazi.

Sono queste due intuizioni ad aver affrancato la musica dalla trasmissione orale. Forse ci stiamo tornando, a giudicare da quanti maestri sono soliti utilizzare file audio per l’insegnamento delle parti ai coristi. Goitre, nel suo piccolo ha seguito un filone a me molto caro, quello della diffusione della musica. Egli, forse non del tutto consapevolmente, lo ha fatto secondo due direttrici principali:
– Una è quella del Tonic sol fa System inglese nato in epoca elisabettiana dal desiderio di creare delle occasioni di crescita culturale, di incontro tra le persone favorendo la pratica musicale e la lettura della musica anche con l’utilizzo di simboli al posto delle note musicali (lettere dell’alfabeto). Si trattava del tentativo di promuovere la pratica del canto anche in caso di analfabetismo musicale.
– La seconda, ancora più significativa, è quello di Zoltan Kodaly (1882 – 1967) che ha fatto della lettura relativa (per gradi e funzioni, come la chiamerei io) uno strumento di analisi musicale potentissimo a cui tutti dobbiamo guardare.

Per contestualizzare il Cantar Leggendo è forse utile raccontare qualcosa di Goitre: era un musicista di buon livello, formatosi in modo assolutamente tradizionale che collaborava regolarmente con l’orchestra della Rai di Torino. La sua carriera professionale ebbe una svolta quando Ruggero Maghini, grande direttore di coro e fondatore della corale universitaria di Torino, gli chiese di sostituirlo alla guida del suddetto coro. Il lavoro con i dilettanti si rivelò più interessante del previsto e comportò anche alcune trasferte. Durante un viaggio in Ungheria in occasione di una rassegna egli toccò con mano la realtà corale di quel paese e ne rimase profondamente impressionato: l’attività corale era capillare sia nelle scuole che tra gli adulti e il livello di alfabetizzazione musicale dei coristi, grazie all’impiego sistematico del metodo Kodaly, era altissimo. La didattica di Kodaly si serviva della solmisazione ed utilizzava canti della tradizione orale ungherese come esercizi progressivi per la lettura. Tornato in Italia Goitre decise di dar seguito a queste suggestioni proponendo all’editore Suvini Zerboni di curare l’edizione italiana del metodo Kodaly corredandolo di canti popolari italiani che sostituissero quelli ungheresi. L’allora direttore della casa editrice dottor Gianni Mainato accettò ma gli impose tempi di realizzazione troppo brevi. Forse anche per questo motivo, oltre che per una certa mancanza di organicità, il risultato ebbe un buon successo di vendite ma suscitò anche critiche ed obiezioni tra gli addetti ai lavori. La seconda edizione del metodo non sciolse efficacemente questi nodi nonostante una nuova parte introduttiva scritta dallo stesso Goitre. Ciò nonostante, il volume si diffuse moltissimo. Nel decennio ‘70-’80 l’autore fu assai occupato su altri fronti come la Fondazione della rivista “La Cartellina” (nel 1977) e i primi esperimenti di musicoterapia condotti con Oscar Schindler, (1936 – 2020) pioniere dell’audiologia e della logopedia. È di questo periodo anche il volume di musica per la scuola dell’infanzia “Far Musica è”, all’avanguardia per la didattica dell’epoca. Il sistema del Do mobile illustrato nel Cantar Leggendo venne poi da Goitre usato nella preparazione dei Piccoli Cantori di Torino e del coro Farnesiano di Piacenza da lui costituito nel 1976.

Quali sono i punti di forza della concezione didattica di Goitre?

Ogni studente di armonia quando affronta i primi bassi da armonizzare si chiede a quale grado corrispondano le cifre. La lettura relativa parte dalle stesse premesse: si tratta di una lettura che è già analisi. Questo porta alla comprensione di ciò che si sta cantando.
L’altro punto di forza è che, contrariamente ad altri orientamenti, in questo modo la teoria musicale viene integrata nella lettura. La didattica musicale italiana, invece, spesso ricorre ad altri espedienti per “facilitare” la comprensione. Un po’ più di fiducia nelle capacità degli allievi non guasterebbe. Potremmo contrapporre, con un po’ di fantasia, una visione ortodossa dell’educazione musicale ad una protestante in cui quest’ultima fornisce all’allievo gli strumenti per capire autonomamente ciò che sta cantando mentre l’ortodossa si accontenta di richiedere all’allievo la semplice imitazione di ciò che viene insegnato.
Crede che questa metodologia sia sufficientemente conosciuta dagli addetti ai lavori e, in particolare, dai direttori di coro?

No, assolutamente. Il pensiero, tra tanti maestri, è rimasto in fondo quello che il do mobile sia solo un espediente per semplificare la materia musicale mentre io credo che si tratti di un modo per andare oltre, per far capire di più e meglio al cantore. L’obiezione che banalizza il metodo Goitre definendolo sbrigativamente “cantare tutto in do maggiore” è dura a morire e rimane determinante. Non si capisce che in questo modo si rinuncia all’analisi. È un atteggiamento tipico dei paesi di influenza culturale cattolica. (Italia, Francia, Spagna, Sudamerica…). Nei paesi di cultura tedesca e anglosassone dove si usa la doppia lettura (con le lettere dell’alfabeto) il metodo Kodaly incontra meno resistenze.

L’”eredità” di Goitre è stata raccolta?

Dopo la sua morte avvenuta nel 1980 diversi musicisti suoi allievi vollero portarne avanti le premesse fondando i centri Goitre (Claudio Chiavazza, Grazia Abbà ed altri). Vi si applicano le metodiche del Kodaly. Si pose anche il problema di una riedizione del metodo che colmasse alcune lacune. L’editore Suvini Zerboni accettò la mia proposta che, a differenza di altri, non comportava una riscrittura della versione originale ma prevedeva solo delle integrazioni e l’aggiunta di una vera e propria guida per comprenderne filosofia ed utilizzo. Fu corredata anche da una bella prefazione di Giovanni Acciai che ne contestualizza le caratteristiche dal punto di vista storico. Ritengo che, nella pratica didattica, il metodo sia tuttora poco conosciuto e poco usato. Ha avuto più seguito, invece, quella parte della didattica di Goitre basata sui giochi musicali: giochi d’ascolto, rappresentazione degli intervalli con la chironomia. I cosiddetti “giochi Goitre” sono utilissimi ed io li uso regolarmente con le formazioni corali amatoriali che dirigo. Sono attività che sviluppano l’orecchio e aumentano la consapevolezza del corista. E questo lo riscontro sia nell’ambito tonale che in quello modale. La lettura “con le dita” si può fare anche polifonicamente e la si può utilizzare per chiarire determinate difficoltà presenti nel repertorio.

Come integra i principi didattici di Goitre nella conduzione delle prove?

Devo riconoscere che forse solo in uno dei miei cori utilizzo regolarmente la metodologia Goitre per la lettura. Buona parte del mio lavoro si svolge nel campo della animazione musicale. In altri casi, come nel coro Poli Etnico di Torino, si tratta di gruppi soggetti a un turn over continuo (il 40% ogni anno). In queste situazioni è impossibile fare un vero corso di lettura. Utilizzo talvolta il do mobile come metodo per studiare i passi difficili e lo trovo molto efficace perché esplicita le funzioni armoniche corrispondenti a ciascuna parte. Ben diverso è il caso di un coro con organico stabile e con un’attività regolare dove ci si può permettere un lavoro di preparazione più regolare.

Nella foto: Roberto Goitre.

A pag.89 del suo libro “Insieme. Canto, relazione e musica in gruppo” ho letto con interesse il paragrafo intitolato “Una serata speciale” nel quale lei racconta di aver assistito, fresco di diploma di conservatorio e con un po’ di supponenza, alla prova di un coro popolare. La descrizione dell’emozione che provò vale la pena di essere trascritta per esteso: “facevano rivivere il senso del canto, della sofferenza o della gioia, con una tensione emotiva che ben presto mi fece dimenticare quella partitura dietro la quale, in un primo momento mi ero nascosto per difendermi dal suono che mi investiva, forse nella speranza di trovare qualche piccolo errore di esecuzione. Quasi un rito più che una esecuzione musicale”. In queste parole ritrovo alcuni dei contenuti più importanti del far coro e riconosco l’ambiente in cui sono cresciuta caratterizzato da una forte socialità e da una grande voglia di esprimersi. Crede davvero che quel tipo di coralità sia in via di estinzione?

Non ne sono certo ma so di aver vissuto in modo molto personale, quasi come un segno di cambiamento, l’addio alle scene di Bepi De Marzi (autunno 2019) con le polemiche che ne sono derivate. Devo dire che io, a mia volta, patisco un po’, recentemente, un certo modo di condurre la coralità. Classificare i cori in livelli, i direttori in base ai concorsi vinti. Ecco, mi sembra che tutto questo porti quasi a una organizzazione, per così dire, “in caste”.

Questa maniera di valutare tralascia molti valori e non li considera perché non può misurarli. Se certi valori non sono misurabili non significa certo che non valgano niente! Non sono certo che nelle parole di De Marzi si volesse esprimere questa critica: forse sono io che l’ho voluto interpretare in questo modo. Mi è sinceramente sembrato che vi trasparisse anche una critica all’attuale maniera di fare coro, spesso un po’ “ristretta”. È una polemica in cui mi riconosco e che condivido. Tornando al futuro della coralità non c’è dubbio che bisogna fare qualcosa perché un certo modo di far coro non muoia. Le associazioni corali non hanno, secondo me, dato segnali importanti e, invece, in questo momento ce ne sarebbe un gran bisogno. La pandemia ha avuto effetti pesantissimi sulle dinamiche corali e il rischio che molti cori non riprendano le attività è concreto. Il timore è che ne soffrano soprattutto i cori più deboli. Ma la ripresa deve essere trainata facendo leva sullo stare insieme, con tutto ciò che comporta, valori culturali soprattutto. Il pericolo è che i maestri meno preparati pensino che la ripresa sia impossibile. Sarà poi importantissimo scrivere tanta musica per riuscire a far cantare anche le formazioni in difficoltà numerica. L’altra fondamentale sfida sarà quella di portare nei cori i giovani, occorrerà investire su questo. C’è bisogno di stimoli e questo è uno dei motivi per cui ho scritto questo libro.

di Silvia Vacchi

Per approfondire:

Roberto Goitre Cantar Leggendo. Nuova edizione a cura di Giorgio Guiot. Suvini Zerboni.

Giorgio Guiot Insieme. Canto, relazione e musica in gruppo, Erickson.

Roberto Goitre Far musica è, Suvini Zerboni, 1984 (fuori catalogo, reperibile solo in alcune biblioteche musicali)

Interessanti riferimenti anche a questi link:

https://www.cantabile.it/

https://www.youtube.com/watch?v=kcVyn1m8AdY

Giorgio Guiot

Giorgio Guiot è pianista, direttore di coro e compositore. Ha diretto i Piccoli Cantori di Torino dal 1992 al 2005, lavorando per la diffusione della metodologia Goitre nel mondo della scuola, grazie anche alla revisione del Cantar Leggendo per il quale ha elaborato una specifica guida didattica. Con l’Associazione Cantabile ha elaborato il Relational Singing Model, ed è autore di numerosi articoli e pubblicazioni, tra le quali “Autismo e Musica” e “Insieme” per le edizioni Erickson.