Silvia Biasini
Direttore artistico del Festival Corale SPIRITUS, direttore di coro, docente presso il DAMS di Bologna.

In una società in cui ci confrontiamo costantemente con la rete e siamo poco inclini alla riflessione, le forme d’arte dovrebbero rappresentare un coraggioso atto di evasione d’ordine trascendentale. La musica, vista la sua esplicita natura immateriale è poi, per definizione, la più spirituale tra le arti; essa travalica ogni razionale concetto di estetica procedendo verso un instancabile recupero dell’interiorità dell’uomo e della società. Nei riti spirituali, la musica è fondamentale. Secondo credenze popolari, lo sciamano raggiunge la trance, ovvero stati di coscienza alterati, grazie al suono delle percussioni, arrivando a comunicare con gli dèi e con i morti.
Nella tradizione degli aborigeni australiani, invece, i bambini ereditano dei canti associati a delle mappe geografiche che rivelano loro dei luoghi mistici dove gli spiriti hanno danzato o celebrato cerimonie. I bambini, da adulti, intraprenderanno un viaggio seguendo il percorso della mappa e intoneranno i canti a loro donati durante l’infanzia, facendo rivivere ancora la memoria degli spiriti e degli avi da cui hanno ricevuto l’eredità.

I relatori del Convegno, presidente e vice di AERCO e direttrice artistica del Festival

Anche nelle religioni monoteiste la musica è un elemento imprescindibile. Nei rituali cattolici, ad esempio, durante la messa a ogni preghiera è associato un canto, nei rituali buddisti, invece, sono presenti mantra e inni di lode.
Il Festival interreligioso SPIRITUS nasce non con l’obiettivo di unificare le diverse religioni che necessitano di mantenere la loro identità, che per natura le rende esclusiviste; tutt’altro: vuole creare un dialogo tra queste culture, partendo dalla musica come linguaggio che non necessita di traduzione. L’intento è proprio quello di conoscere attraverso i canti, gli inni, le antifone e le polifonie, questi mondi così lontani. Il canto corale diventa dunque un mezzo per entrare nel vivo delle sonorità che identificano le diverse religioni.

Tra il 6 e il 7 novembre 2021 nel cuore di Bologna, nell’Oratorio San Filippo Neri, si sono susseguiti prove aperte e concerti in cui si sono alternati i Cantori Gregoriani (dir. Fulvio Rampi), il Coro della Comunitá serbo-ortodossa di Trieste (dir. Anna Kaira), il Coro Polifonico San Biagio (dir. Francesco Grigolo), la Comunità Tibetana in Italia (Ghesce Dorji Wangchuck), il Coro Col Hakolot (dir. Pilar Bravo), i Kölner Vokalsolisten, la Schola Gregoriana Ecce (dir. Luca Buzzavi).
A completamento del ricco programma musicale, in Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio si è tenuto il convegno SPIRITUS: dialogo tra musica e spiritualità in cui si sono affrontati i temi della musica e della spiritualità nella loro più intrinseca fusione: il Prof. Alfredo Jacopozzi ha guidato la tavola rotonda con i rappresentanti delle varie religioni: Ilenya Goss (Chiesa valdese), Antonio Lorenzoni (Chiesa greco-ortodossa), Ghesce Dorji Wangchuck (Comunità tibetana), Roberto Zadik (Comunità ebraica), Abu Bakr Moretta (Comunità islamica), Claudio Campesato (Chiesa cattolica).
Di seguito lasciamo spazio ad alcune riflessioni da parte di coloro che hanno partecipato al convegno.
L’entusiasmo raccolto da pubblico, istituzioni e critica porta gli organizzatori a pensare ad una nuova edizione nell’autunno 2022.

Claudio Campesato
Liturgista, gregorianista, presbitero della Diocesi di Padova.

La tradizione musicale nel cattolicesimo si innesta nelle grandi riflessioni e prassi musicologico-religiose che l’hanno preceduta, in particolare quelle ebraica ed ellenistica, maturando una propria identità in relazione al Mistero celebrato: la Pasqua di Cristo. Si tratta, infatti, di una esperienza di inclusione, una vera e propria “contaminazione” positiva che racconta l’incontro-scontro di culture all’interno di un repertorio, quello conosciuto oggi come Canto Gregoriano, che la Chiesa cattolica riconosce come proprio. In esso, infatti, oltre ad elementi con radici squisitamente elleno-giudaiche (come la cantillazione o la modalità) sono testimoniate tradizioni musicali non solo romane ma anche delle Gallie, Milano, penisola Iberica, Benevento, Bisanzio, ecc.

Coro Polifonico San Biagio – Vicenza – dir. Francesco Grigolo

Dentro al grande insieme di ciò che può essere definito “musica sacra cattolica”, perché riconducibile a un genere musicale associato a una tematica “sacra” e sorto proprio in un contesto di matrice religiosa nella tradizione cattolica, bisogna menzionare la musica liturgica. Ciò che la rende tale è il suo ruolo ancillare nelle celebrazioni che sorge da una esigenza: è la stessa celebrazione liturgica a richiederla. Non si tratta, in questo modo, di un ornamento ma di una vera e propria azione liturgica che manifesta le due dimensioni del celebrare. La prima consiste nella catabasi, ovvero l’offrirsi della divinità all’uomo attraverso il dono di ciò che si canta, che dovrebbe essere la stessa Sacra Scrittura come luogo della rivelazione di Dio o testi a essa ispirati. La seconda dimensione, poi, è quella che vede l’uomo elevarsi, anabasi, facendo salire alla divinità «un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome» (Eb 13,15): l’offerta della sua musica come canto gradito a Dio.

Circa lo “stato di salute” della musica liturgica nel cattolicesimo, purtroppo, bisogna costatare come essa sia in difficoltà e quanto emerge da un’analisi fenomenologica su “cosa si canti” nelle nostre chiese rivela l’impoverimento di quest’arte a servizio della Liturgia. Forme musicali sempre più affini a generi pietistici o espressione del sentimento religioso di particolari gruppi e associazioni cattoliche rischiano di svuotare un linguaggio che fa tesoro di una riflessione secolare a servizio, non del gusto personale, ma della celebrazione. Queste tendenze, che privilegiano forme musicali che condividono con la musica secolare ritmi e testi seducenti, si rafforzano in modo direttamene proporzionale alla mancanza di alfabetizzazione musicale e formazione liturgica (tanto dei fedeli quanto degli stessi ministri) rendendo impossibile quell’intima relazione intercorrente fra il conoscere e l’amare un’arte nobile ed elevante come la musica e la musica sacra.
Di fronte a questa “ignoranza” musicale che si ripercuote anche nella riflessione sulla musica liturgica in generale, forse potrebbe esserci utile riscoprire il valore in sé proprio dell’esperienza musicale che, nella Liturgia, trova un luogo in cui esprimersi in modo esemplare. Il filosofo Boezio, infatti, parla di una “vis”, una forza che la musica naturalmente possiede. Il fenomeno sonoro, come esperienza universale, diventa momento in cui l’uomo può lasciarsi “ferire” nell’intimo della sua coscienza. Un’esperienza che lo può aprire a una riflessione autentica e personale che, nel cattolicesimo, è descrivibile come conversione, capacità di cambiare strada…: una freccia che raggiunge il cuore, lo desta e lo pone in cammino su quella via pulchritudinis che permette di raggiungere ciò che è veramente Bello e rende bella ogni creatura.

Ilenya Goss
Pastora valdese, musicista, laureata in Filosofia, Medicina e Chirurgia e Teologia.

La tradizione protestante ha nella musica e nel canto uno dei suoi modi tipici di espressione sia nella vita individuale dei credenti, sia nelle comunità, in particolare all’interno della liturgia: se pensiamo a compositori come Johann Sebastian Bach o Georg Friedrich Haendel è immediato associare la grande musica barocca proprio al Protestantesimo. Lo spazio trovato dalla musica, sia strumentale sia vocale, nella liturgia protestante è talmente significativo da rendere quasi “concerto” alcuni momenti del culto: la Cantata sacra, l’Oratorio, le Passioni, sono solo alcuni esempi di una prassi che ha segnato sia la storia della Musica sia la storia delle Chiese, anche se certamente occorrerebbe operare delle distinzioni e approfondire l’approccio a quest’arte nelle diverse epoche. Anche oggi nelle chiese riformate la parte propria dell’assemblea che celebra il culto si esprime nel canto: spesso si tratta di monodia accompagnata, ma in alcuni casi è possibile ascoltare Salmi e Inni nella ricchezza di polifonie tramandate da secoli. In particolare, nelle chiese Valdesi la presenza di gruppi corali che eseguono musica polifonica consente di continuare a tramandare un ricco patrimonio di composizioni: dai Salmi del Salterio ugonotto con le armonizzazioni cinquecentesche di Goudimel, fino a un repertorio moderno e contemporaneo. Attualmente in tutte le Chiese protestanti storiche italiane è in uso un Innario, l’Innario cristiano, che ha la particolarità di riportare le partiture di ogni inno: un tempo l’alfabetizzazione musicale era un elemento importante della cura delle comunità evangeliche, oggi sicuramente andato un po’ perduto.
Non mancano inoltre spazi di sperimentazione musicale: in particolare nelle chiese Battiste e Metodiste è possibile trovare canti di recente composizione e un certo grado di innovazione e di contaminazioni stilistiche.
è interessante anche constatare che la musica nata per il culto protestante venga oggi eseguita per lo più in sale da concerto o teatri, o in chiesa ma al di fuori del contesto liturgico: se da un lato questo può comportare la perdita del luogo specifico per il quale era stata composta, dall’altro è una manifestazione della forza che l’arte ha di trascendere ogni confine e di parlare agli esseri umani, anche lontano dai luoghi e dai momenti “religiosi” tradizionali in cui si cerca arricchimento spirituale. Purtroppo, oggi non in tutte le comunità sono presenti musicisti che possano portare avanti un lavoro professionalmente qualificato sotto questo aspetto, tuttavia si è costituita alcuni anni fa, per le chiese valdesi e metodiste, una Commissione Musica al fine di organizzare iniziative e dare vita a progetti inerenti questo fondamentale aspetto della cultura generale, ma anche in modo speciale della tradizione protestante. Si può dire certamente che sarebbe difficile immaginare un culto privo di musica, e che, come scriveva Martin Lutero, la musica è “meravigliosa creazione e dono di Dio” spesso accostata alla teologia per il suo immenso potere comunicativo.

Abu Bakr Moretta
Musulmano, violinista, membro del Consiglio di Amministrazione della CO.RE.IS. (Comunità Religiosa Islamica) Italiana.

La bellezza nell’arte della musica può costituire un’occasione di autentico confronto fra le diverse tradizioni se l’intenzione che lo anima è volta a rinnovare un orientamento verso l’origine della bellezza.
Il piacere o l’emozione nella visione della bellezza deve far scorgere la verità della bellezza.
Perseguire l’emozione per la bellezza o la bellezza per la bellezza rischia di far scadere il confronto nel sentimentalismo o nell’estetismo.
“Dio è bello e ama la bellezza”, dice una tradizione profetica, richiamando il credente musulmano ad amare la bellezza in nome di Dio e a riconoscere Dio nella bellezza.
La tradizione islamica insegna che l’arte è nata successivamente all’allontanamento dal Paradiso Terrestre dell’uomo, il quale avendo perso la possibilità di contemplare direttamente il principio in ogni cosa, trovò il modo, attraverso l’arte, di ricondurre la molteplicità dei suoni, dei colori e delle forme a un ordine armonico superiore, permettendo di risvegliare nel proprio cuore il ricordo dell’unità divina primordiale. La sensibilità artistica permette questa apertura del cuore al di là delle parole, delle emozioni e della ragione.

Coro Col Hakolot – dir. Pilar Bravo

E’ in virtù di questo ricollegamento originario che si può parlare di musica universale non dimenticando che le grammatiche della musica inerenti alle molteplici tradizioni sono diverse e a volte distanti fra loro.
Il sistema tonale, su cui si basa da diversi secoli la musica europea è estraneo alle altre culture e tradizioni, le quali adoperano modi melodici e ritmici molto vari e complessi.
Inoltre, non può lasciarci indifferenti come nell’epoca moderna la musica abbia subito nel corso del tempo un sempre più evidente allontanamento dalla sua funzione originaria, per diventare oggi o l’espressione di particolari individualità, che proprio attraverso la musica cercano di esprimere una presunta genialità personale, o un mezzo di manipolazione delle masse.
La CO.RE.IS. Italiana, nella necessità di sviluppare un dialogo interreligioso che prendesse in considerazione anche la dimensione artistica con un giusto orientamento, ha promosso iniziative dove la musica e l’arte costituiscono un elemento tra molti altri utili a una testimonianza pubblica.
In questa direzione, l’iniziativa sicuramente più significativa nel panorama del dialogo interreligioso in Italia è stata il progetto itinerante “Teofonia: note di fedi per un’unica armonia”, nato da una collaborazione fra la CO.RE.IS. e l’Unione Induista Italiana con l’intento di favorire buone pratiche di dialogo attraverso la musica, la danza e la poesia, progetto che ha ricevuto il Patrocinio dell’UNAR, Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Il Progetto è stato inaugurato a Roma nel 2015 in occasione del World Interfaith Harmony Week, la Settimana Mondiale dell’Armonia Interreligiosa promossa dall’ONU, e si è sviluppato in diverse regioni italiane, dalla Sicilia al Trentino-Alto Adige, presso teatri, monasteri, templi e luoghi di culto di diverse tradizioni.
Sempre in questa prospettiva nel 2021 nasce il progetto “Dante e al – Sulami” in occasione del 700° e 1000° anniversario della scomparsa del sommo poeta e del maestro della tradizione islamica.

L’abbinamento fra musica, poesia, danza, e parole ha aiutato a mantenere la concentrazione sulla finalità della testimonianza, sviluppando una visione d’insieme. Non necessariamente la parte musicale era infatti assoluta protagonista, essendo a sua volta strumento di un “concerto” più grande, di testimonianza culturale e interreligiosa. Ciò che deve nutrire il dialogo va oltre il livello etico, teologico o estetico.
Gli artisti e il loro pubblico partecipano così a questa armonia, riflesso della Verità di Dio.