Due contributi a cura di allievi della Scuola di Canto Gregoriano – AERCO
Uno sguardo al Proprium Missæ
Nello studio della musica vocale, la disamina approfondita del testo impiegato va considerata premessa irrinunciabile alla comprensione dell’oggetto musicale e lo è tanto più nel caso del canto gregoriano, non solo in virtù dello stretto rapporto tra parola e musica, ma innanzitutto in considerazione della sua collocazione liturgica. Infatti, a dispetto dell’abitudine oggi assai diffusa di considerare gli inserti musicali della liturgia mero intermezzo, la mole di studi che ha seguito la renaissance gregoriana dei monaci benedettini di Solesmes ha invece messo in luce la funzione eminentemente esegetico-liturgica dei canti gregoriani. Detto altrimenti, il repertorio gregoriano – specialmente i canti del proprium missae appartenenti al cosiddetto “fondo primitivo” – non si limita ad amplificare o adornare il testo sacro, ma mira, attraverso strategie testuali, compositive e di fraseggio, a darne interpretazione. In questa prospettiva ci si rende dunque conto che lo studio dei testi impiegati e degli atteggiamenti con cui gli anonimi estensori dei canti vi hanno lavorato assume una importanza capitale poiché, come ricordano Rampi e De Lillo, «la composizione testuale equivale a una sorta di predisposizione tesa a realizzare una efficace presentazione con gli strumenti propri dell’arte retorica» e «il testo biblico, considerato a partire dalla sua materialità, subisce un primo fondamentale orientamento di carattere letterario che produce ripercussioni significative – diremmo anzi decisive – in ambito compositivo» [F. Rampi-A. De Lillo, Nella mente del notatore, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2019, pag. 20]. Per tale motivo in questa sede ci si soffermerà proprio sui procedimenti di composizione testuale, esponendo in modo sintetico gli atteggiamenti fondamentali cui possono essere ricondotte le tecniche di elaborazione delle fonti del canto gregoriano. Sarà tuttavia opportuna un’ultima avvertenza preliminare. Nonostante la visione ravvicinata e assai circoscritta a cui ci si atterrà in questo contesto, ogni canto andrebbe studiato non solo a partire dalla sua specifica collocazione nella messa del giorno cui appartiene, ma anche in considerazione del suo Tempo liturgico. È sempre bene, infatti, tenere in debita considerazione il fatto che ciascun canto è posto in relazione a un progetto complessivo e che, se lo spostamento di sede di taluni canti dovuto alla plurisecolare stratificazione del rito, all’inserzione di nuove festività e alla mutata organizzazione dell’anno liturgico ne rende talvolta più arduo lo studio, è sempre necessario farvi riferimento.
La fonte principale del repertorio gregoriano è il salterio; nondimeno sono presenti anche altri fonti, tanto dell’Antico quanto del Nuovo Testamento. A partire dalla fonte scelta, il progetto testuale può per semplificazione essere ricondotto a quattro tecniche fondamentali, che saranno trattate in modo specifico. Tecnica assai comune è l’estrapolazione di una porzione di testo al fine di metterne in rilievo il significato. Ciò è particolarmente vero per gli estratti di parabole o narrazioni evangeliche, di cui esempio è il communio Oportet te.
Communio Oportet te
Un altro esempio, la cui fonte questa volta è tratta dal salterio, è un altro communio, quello della Missa ad noctem Natalis, che intona un versetto, il terzo, estrapolato dal salmo 109.
Missa ad noctem Natalis, versetto terzo, dal salmo 109
Il salmo, indirizzato al re degli ebrei, era stato interpretato fin dai primi secoli del Cristianesimo in senso cristologico, e certo la scelta di un testo già fortemente connotato da preesistenti interpretazioni pone in rilievo la lettura figurale. Non a caso la stessa porzione di testo era già stata intonata nel graduale Tecum principium, secondo la prassi della ruminatio tipica della lectio divina.
Altra tecnica frequente è l’aggiunta o l’omissione di porzioni testuali. In molte di queste occorrenze risalta in modo ancora più evidente la funzione liturgico-esegetica del canto gregoriano. In questi casi si ha l’impressione, infatti, come notano Rampi e De Lillo, che «la liturgia stessa osi in qualche modo ‘forzare’ lo ‘sta scritto’ al fine di ottenerne una comprensione più profonda» [cit., ibidem], dal momento che tendono a chiarire il significato di una lettera altrimenti di più incerta interpretazione. Un esempio assai noto è l’antifona Quinque prudentes virgines, il cui testo è tratto da Mt. 25, 4.6. Il confronto tra la fonte e il testo renderà chiarezza della minima quanto cruciale aggiunta, messa in rilievo dal corpo in grassetto – in corsivo nella fonte le porzioni di testo estrapolate:
Antifona Quinque prudentes virgines
Se le omissioni sono spinte dall’esigenza di contenere la lunghezza del testo e di porre attenzione all’esempio virtuoso delle prudentes virgines, non c’è dubbio invece che l’aggiunta conclusiva di Christo Domino assuma un significato decisivo dal punto di visto esegetico, esplicitando in modo evidente l’interpretazione della parabola e la conseguente lettura: lo sposo non può che essere Cristo, e la lampada la luce della fede. Benché esuli dalle strette finalità del presente contributo, è opportuno notare come le aggiunte siano generalmente poste in grande rilievo nel contesto musicale: in questo caso per mezzo di un neuma assai articolato posto sulla seconda sillaba di Christo:
Il termine centonizzazione ha origine dal sostantivo medievale cento, -onis, usato per indicare un panno formato da pezzi di stoffe differenti cuciti insieme, ed è tradizionalmente impiegato negli studi gregoriani a proposito di tecniche modali e compositive– si pensi ai graduali in II modo sul La – non meno che testuali, al punto che non è errato affermare che tale pratica si configurasse quale vera e propria forma mentis degli estensori dei canti. Dal punto di vista testuale, la centonizzazione mira essenzialmente a ricondurre al testo musicato tutti gli aspetti fondamentali della fonte scelta. Un esempio assai evidente è il communio domenicale della quinta settimana di Quaresima, incentrato sulla resurrezione di Lazzaro, tratta da Gv 11.1-44. L’estensore del testo ha estrapolato alcuni passi tratti dai versetti 33, 35, 43, 44 e 39, riuscendo così a esporre in una sintesi di estrema efficacia gli eventi:
Communio domenicale della quinta settimana di Quaresima, alcuni passi tratti dai versetti 33, 35, 43, 44 e 39.
L’ultima tecnica individuabile, spesso coesistente con altre già viste, è la rielaborazione della fonte. Un simile atteggiamento può per certi vesti destare stupore, trattandosi di modifiche talvolta consistenti rispetto al testo sacro. Si prenda a titolo di esempio l’introito domenicale della seconda settimana di Avvento, Populus Sion, il cui testo originario è tolto da Is. 30, 19-20:
Populus Sion , Introito domenicale della seconda settimana di Avvento
Se per economia di spazio si è omessa la trascrizione integrale del passo originario, la porzione di testo presentata è sufficiente a rendere conto del lavoro operato. La modifica stupisce soprattutto considerando che il passo originario invoca la vendetta divina contro l’Assiria in protezione di Israele, ma nel testo cantato i cambiamenti sono tali da indurre a una modifica radicale del significato. L’omissione di qualsiasi riferimento alla vendetta divina e l’inserimento di ad salvandas gentes indirizza il testo verso un messaggio di salvazione, rafforzato dall’ecumenismo di ad gentes. Al di là della vistosa virata nell’orientamento esegetico del testo, una scelta simile si spiega anche tramite una visione di insieme, rendendo opportuno il richiamo alla necessità prima accennata di accostarsi a ogni singolo canto considerandone non solo la collocazione nel giorno, ma nel Tempo: Popolus Sion è infatti l’antifona di introito della seconda domenica di avvento, e si configura quale complemento dei canti della domenica precedente, i cui testi rivolgevano a Dio a partire dagli universi qui te expectant, tutti coloro che attendono la sua venuta.
L’osservazione degli esempi proposti rende evidente, in conclusione, come nel canto gregoriano i meccanismi di selezione e le tecniche di elaborazione testuale delle fonti siano già a tutti gli effetti un atto del processo compositivo e, ancor prima, del progetto esegetico complessivo degli anonimi estensori dei canti. Lo studio degli aspetti più strettamente musicali è dunque pienamente possibile solo a partire dalla completa comprensione dei procedimenti di selezione testuale adottati, senza la quale l’intendimento dei canti si rivelerebbe irrimediabilmente incompleto.
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