Omaggio a Sandro Penna

Analisi poetico-musicale

In questa composizione corale su testo poetico di Sandro Penna ho filtrato numerosi aspetti mutuati dal mondo popolare, in particolare dal lavoro di ricerca, ascolto e trascrizione estemporanea che ho svolto dal 1987 ad oggi in numerose zone dell’Appennino emiliano e al porto di Messina.

Talvolta non ho registrato nulla, ma ho invece cercato di memorizzare o di trascrivere estemporaneamente su carta i numerosi dati musicali che ho udito. Spesso in questi luoghi, vive ancora un mondo ancestrale, con la presenza simultanea, di stratificazioni sonore di grande interesse polifonico.

Ho cercato quindi di metabolizzare questo interessante e fantastico mondo sommerso e di reinventarlo in una serie di composizioni che vanno da Colapisci e il ponte sospeso (2003), opera in atto unico su libretto di Federico Berti, a questa, Il mare è tutto azzurro (2007), su testo poetico di Sandro Penna. La scrittura vocale è assai variegata e utilizza oltre alla maniera ordinaria di cantare, anche la voce parlata e gridata, con intonazione su tre registri: grave, medio e acuto, oltre a numerosi effetti onomatopeici e modalità di canto mediterranei. Continue acciaccature e frullati sulle consonanti sonore, oltre a momenti di grandissimo lirismo, come sulla parola cuore punto culminante del brano. Numerosi gli effetti madrigalistici e toccanti, in un contesto armonico ricco di dissonanze dolci e di mescolanze trai vari modi dell’uso vocale.

Analisi formale

Il brano è diviso in quattro zone formali: la prima va da battuta 1 a battuta 6, la seconda da battuta 7 a battuta 13, la terza da battuta 14 a battuta 18 e l’ultima da battuta 19 al fine.
Ognuna di queste zone ha una propria dialettica musicale definita: la prima è propositiva, cioè propone un’idea musicale, la seconda è sospensiva e riprende l’idea musicale precedente con alcune varianti, la terza ha un carattere evolutivo, è da considerarsi come la zona di sviluppo della composizione, mentre l’ultima è conclusiva, andando a chiudere il discorso musicale.

La prima zona formale è caratterizzata dalla presenza di otto figure musicali, con diverse varianti di esse, che verranno riprese e variate nel corso del brano e che costituiscono il materiale germinante della composizione.

Ai bassi è affidata una figura di sfondo, dal carattere onomatopeico e madrigalistico allo stesso tempo. I tenori cantano una specie di grido nel registro medio della voce, mentre i contralti fanno da sfondo sonoro articolando un fraseggio più ricco. La presenza del portato ed in seguito del frullato della lingua sulla consonante r della parola mar, sono riconducibili a modalità presenti sia nel canto popolare, che in buona parte della musica colta contemporanea. Nel soprano sono evidenti alcuni modi di canto extraeuropei e acciaccature accentate, che calcano il transitorio d’attacco del suono vocale, ricordando alcuni colpi di glottide usati dai cantori nella musica libanese.

Seguono due figure altrettanto interessanti: la prima il glissando, è mutuato dalla forma del lamento, che nel canto popolare è una delle massime espressioni drammatiche e dolorose. La seconda, il trillo (di seconda maggiore), è utilizzato dialetticamente come figura dal carattere sospensivo già presente ampiamente nella musica antica.

Appare innovativa invece la tecnica di pressione sul petto, che ricorda il lieve vibrato che si può produrre con gli armonium indiani, mentre il frullato sulla consonante r che abbiamo già incontrato nella figura di sfondo del contralto è una trasposizione vocale di una tecnica di largo impiego nella produzione del suono del flauto traverso. Al fine della battuta 5 si trova la prima conclusione in sospensione con l’intervallo di settima minore (do#-si) che sintetizza anche l’estensione di registro del coro, che è compresa in questo intervallo.

Dall’ultimo ottavo di battuta 5 abbiamo il ritorno del coro parlato, nel registro gravissimo delle voci, che amplificano il significato del testo della parola calmo. Il potere semantico della scrittura è rafforzato inoltre, dalla dinamica assai ridotta delle voci.

Nella seconda zona (batt.7-13) c’è la ripresa del materiale precedente (batt.1-6), con la trasposizione della polarità iniziale un’ottava giusta verso il basso. Inoltre, all’aspetto ritmico del coro parlato affidato a soprani e contralti, si aggiunge la tecnica del frullato di lingua e quella di pressione sul petto, si crea così un gioco di echi in contrappunto quadruplo tra le varie voci.
È una sorta di effetto delay (ritardo) costruito non elettronicamente, ma con la scrittura musicale. A battuta 9 si aggiunge alla commistione delle varie figure viste in precedenza, l’improvviso sprofondamento dei contralti nel registro gravissimo della voce (sol sotto il rigo).

La profondità e la dolcezza timbrica delle voci femminili sono amplificate dalla dinamica molto ridotta (p-mp fino al nulla) e dall’estensione limitata delle voci stesse, che si muovono all’interno della seconda maggiore (sol-la).

Tutto ciò lascia presagire la conclusione di questa seconda zona che avviene a battuta 13,
con i soprani nel registro grave estremo (si-do), quasi immobili e con tutte le voci del coro racchiuse nell’estensione di una terza minore (la-do). Tre suoni diatonici (la-si-do) a parti molto strette vanno a creare, una sonorità dolce e malinconica, con la presenza di un gioco imitativo all’unisono tra i soprani e i bassi.
La voce più scura della sezione maschile nel registro acuto della voce, acquista qui un timbro molto particolare, quasi fanciullesco.
I contralti per quasi tutta la battuta 13 fungono da basso d’armonia (la sotto il rigo). Questa altezza è rafforzata dai bassi all’unisono, solamente nell’ultimo ottavo della stessa battuta.

La terza zona è quella di sviluppo, cioè di evoluzione dei disegni precedenti e del graduale raggiungimento del climax (culmine espressivo).

Questa zona comincia con la polarità che ha caratterizzato l’inizio del brano (il fa# posto sul primo spazio nella chiave di sol) per raggiungere con un glissando ascendente l’ottava superiore (fa# sul quinto rigo). La scala utilizzata è di quattro suoni (re#-mi-fa#-sol) con alternanza di semitono, tono, semitono. A queste tre altezze si aggiunge la ripresa della polarità di si, nota più acuta della zona precedente e suono conclusivo della prima scala di sette suoni.

Abbiamo quindi la presenza di un solo suono non udito il re#, che chiude il disegno della voce dei contralti a battuta 15. Il forte slancio di battuta 14 è enfatizzato dall’improvviso innalzamento della dinamica (mf-f-ff) sul raggiungimento della parola cuore, ed è un chiaro esempio di madrigalismo dal carattere espressivo. Quindi un gioco imitativo tra le tre voci superiori sfocia nel punto culminante del brano (batt.16) con i soprani che raggiungono il sol sopra al rigo, con una graduale dissolvenza dello spessore vocale, che porta ad una sorta di “assolo” dei soprani stessi, nella parola urlo. L’idea poetica è quella del grido solitario, quasi una sorta di “voce nel deserto”.

In questa zona è anche presente un notevole ampliamento del registro vocale, che è compreso all’interno della 13a minore (si sotto il rigo- sol sopra il rigo della chiave di sol) e che contribuisce ad aumentare la tensione espressiva del brano. Segue la conclusione (batt.17-18) con il coro nel registro acuto della voce gridata sulla parola di gioia, che mette in luce un’altra idea madrigalistica, rafforzata dal fatto che l’indicazione del registro nella voce parlata o gridata è puramente indicativa: ne uscirà, sopratutto in un coro molto numeroso, un affascinante cluster vocale.

La quarta parte è di carattere conclusivo e va dalla battuta 19 al fine. La scelta del registro delle voci è abbastanza particolare: i bassi iniziano il loro disegno da una nota grave, il la sul primo spazio in chiave di basso e si muovono con una sorta di dolce cantilena all’interno dell’intervallo di terza minore (la-sib-sol). I tenori invece sono nella tessitura vocale acuta (fa-mi-re), nel particolare registro di falsetto, mentre ai contralti è affidato il registro centrale della voce, nell’estensione compresa all’interno della quarta giusta (mi-fa-sol-la).
Nella voce di contralto ricompaiono, inoltre, alcune figurazioni onomatopeiche di carattere mediterraneo, che erano presenti nella prima zona a battuta 4, mentre ai soprani è affidato un registro vocale medio-acuto compreso nell’intervallo di quinta giusta (la-mi) e l’intervallo di terza minore, che nel mondo popolare simboleggia la morte.
È una chiara rappresentazione sonora della morte graduale, a cui il mare sta andando incontro, per mano dell’uomo.

Nel finale vi è l’idea di grande apertura del registro, una sorta d’imitazione di un ampia onda del mare, o di ultimo sussulto di esso. Il registro vocale si amplia assai, comprendendo l’intervallo di 20a maggiore (dal sol sul primo rigo in chiave di fa al mi sul quarto spazio in chiave di sol). La scala utilizzata è la seguente (mi-fa-sol-la-sib-sibeq.-do), con la comparsa degli ultimi tre suoni che vanno a completare il totale cromatico (dodici suoni della scala cromatica, producibili sui tasti bianchi e neri del pianoforte) il fa, il sib e il do. La disposizione delle voci nell’accordo finale tiene in considerazione il concetto fisico degli armonici, cioè la maggior distanza tra il primo ed il secondo armonico, in questo caso tra la voce dei bassi e quella dei tenori. Come accade quindi nello spettro delle armoniche di un suono, gli intervalli vanno a stringersi dal basso verso l’alto. Questo principio sta alla base, inoltre, delle regole dell’armonia classica e dei principi di orchestrazione. Entrambi i concetti bandiscono gli intervalli stretti tra le due voci più gravi, salvo la ricerca di un particolare colore vocale o orchestrale (si vedano a proposito gli interessanti libri di Nikolaj Rimskij-Korsakov Manuale d’armonia e Principi d’orchestrazione).

Un esempio corale assai interessante nel ‘900 storico è l’Ave Maria di Igor Strawinsky, dove il concetto della distanza tra le voci gravi è assai forzato nella battuta 16 della composizione: abbiamo qui infatti due esempi di intervallo di dodicesima giusta tra basso e tenore (sol-re/ la-mi) sulla parola ventris tui.

Questo lavoro, come altre mie composizioni di questi anni, intende sensibilizzare le coscienze sulle sorti del nostro pianeta e la salvaguardia dell’ambiente contro un “progresso” che non sempre tutela l’uomo e il suo habitat naturale.

Un sentito ringraziamento al nuovo direttore della rivista Farcoro Andrea Angelini, per avermi coinvolto in questa avventura, alquanto faticosa, che è “l’autoanalisi”, compito che talvolta, può risultare più impegnativo della composizione stessa del brano.

Daniele Venturi

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