Nel mondo della musica la collaborazione del grande pianista Arturo Benedetti Michelangeli (o ABM, come è spesso chiamato) con il Coro della SAT suscita sempre stupore: egli infatti è conosciuto universalmente come interprete eccelso di Chopin, Debussy e Ravel, ma non come compositore e tantomeno quale armonizzatore di canti popolari. I 19 canti armonizzati da ABM per il Coro della SAT rappresentano l’ unica attività compositiva con la sua firma e questo giustifica certamente lo stupore degli “addetti ai lavori”. Ma come nasce questa eccezionale collaborazione? Per rispondere seppur brevemente a questa domanda dobbiamo fare un salto indietro nel tempo e raccontare una storia straordinaria sia dal punto di vista artistico che da quello umano. Nel 1936 il Coro della SAT – già noto anche fuori dal Trentino come interprete “nuovo” del canto popolare – si esibì al Teatro Grande di Brescia. Nell’intervallo tra la prima e la seconda parte del concerto un giovanissimo pianista, il futuro grande ABM appunto, suonò alcuni pezzi con il fratello Umberto violinista; conobbe quindi i fratelli Pedrotti e i loro coristi e si innamorò del “suono” caratteristico del coro: fu un incontro premonitore, una scintilla che si rinnovò nel 1949, quando ABM fu chiamato al Conservatorio di Bolzano per tenervi la cattedra di perfezionamento. Nella stessa città viveva e lavorava Enrico Pedrotti, uno dei fratelli fondatori del Coro della SAT ed ecco che un’altra parte di un disegno magico si materializza. La prima scintilla di Brescia ha dato i suoi frutti, favorendo un rapporto umano ed artistico che, da allora, è cessato solo con la morte del Maestro, nel 1995. Il nuovo incontro tra il Maestro ed Enrico Pedrotti e, quindi, il Coro della SAT – l’inizio di una frequentazione assidua, di una stima reciproca e di un’amicizia sincera – produce le prime armonizzazioni, costruite su una serie di bellissimi canti piemontesi, lombardi e provenzali. La pastora e il lupo, La bella al mulino, La scelta felice, Lucia Maria, Il maritino, La mia bela la mia aspeta: nuovi titoli che si aggiungono al repertorio del coro, ma che soprattutto impongono una decisa svolta nella sua evoluzione. Come reagisce il coro, nato con le spontanee armonizzazioni “ad orecchio”, a quelle novità musicali? Nel volume dedicato ai 19 canti popolari armonizzati da ABM, pubblicato nel 1997 dalla Fondazione Coro della SAT, scrivevo: “Create le partiture, spetta ora al coro tradurle in suoni. La prima, ardua prova affrontata è proprio ”La pastora e il lupo”. E’ il 1954. Non ho vissuto direttamente, per ragioni anagrafiche, quel periodo del coro, ma ho potuto assorbirne il fascino attraverso i racconti dei protagonisti: mio padre, i miei zii e pochi altri personaggi “storici”. Mi pare infatti di essere lì, nello studio fotografico dei fratelli Pedrotti (che allora ospitava anche il coro dopo che, per anni, le prove si erano tenute in casa mia, in via Grazioli a Trento), a sentire il contrasto tra le esclamazioni di meraviglia di chi ha una preparazione musicale tale da consentire l’immediata percezione della bellezza di quelle armonie, ed i mugugni e brontolii dei meno aperti alle novità. Questi ultimi, per la verità, meritano pure qualche attenuante! Siamo infatti lontanissimi dalla placida omofonia e dai comodi accordi della “Pastora” di Pigarelli con cui i coristi avevano convissuto dalla fondazione del complesso sino al primo dopoguerra. Stesso racconto, stessi personaggi: la pastorella, l’agnello, il lupo, il cavaliere, il salvataggio della vittima, la sconfitta del lupo, il bacio quale “prezzo” da pagare (anche se la versione trentina qui diverge chiaramente e chiude con la morte dell’agnello ed il pianto sconsolato della bella pastora). Ma le differenze sugli aspetti musicali sono enormi. Nella melodia, nella struttura, nel ritmo, nell’armonia. Quell’atmosfe- ra sognante così palpabile nel canto piemontese è una porta aperta attraverso la quale Michelangeli si lancia con l’energia di chi da tempo aveva qualcosa da dire ed ha finalmente trovato il modo di scaricarsi, di esprimere la proprie emozioni artistiche al di fuori del pianoforte, dei suoi prediletti Chopin, Debussy e Ravel”. Siamo in un altro mondo, in un mondo fantastico in cui si legano, inaspettatamente, quei timbri inconfondibili con la voce umana che racconta storie tramandate dalla tradizione orale. Per un decennio, fino al 1959, gli incontri tra ABM ed il Coro della SAT si moltiplicano: a volte a casa di Enrico Pedrotti a Bolzano, a volte nello studio fotografico del fratelli Pedrotti a Trento, dove a quei tempi il coro provava. Qualche suggerimento da parte del maestro stimolava l’attenzione e l’impegno dei coristi. Ecco il ricordo di Lino Zanotelli, uno dei protagonisti di quella straordinaria esperienza: “In piedi, sostenendosi il mento con la mano, ad occhi chiusi, con un tenue dolce sorriso, esprimeva grande gioia e soddisfazione, nel sentire la nascita dei suoi canti. Ascoltava in silenzio la fusione delle parti; al termine, con un filo di voce (com’era sua abitudine) quasi timoroso, quasi da non sentire, con un cenno del capo:”Bene”!” Nel 1959 il Maestro termina il suo compito presso il Conservatorio di Bolzano; si diradano, ma non cessano i suoi incontri con il Coro della SAT. E le partiture continuano ad arrivare, anche se con intervalli più o meno lunghi tra una e l’altra. Ogni volta per il coro è una festa e al tempo stesso una fatica: perché i coristi si dedicano con passione ad assorbire le sempre nuove soluzioni armoniche o ritmiche proposte: se ne “La pastora e il lupo” troviamo i cromatismi e gli accordi sospesi, ne “La bella al mulino” i glissati, nel “Maritino” e in “Lucia Maria” il pizzicato quasi strumentale, ne ”La mia bela la mi aspeta” il passaggio tra il maggiore e il minore, ne “Le maitinade del Nane Periot” i continui cambi di tonalità; “La scelta felice” si distingue invece per la melodia affidata ai baritoni, “La Brandolina” gioca tutto sul ritmo, mentre “Era nato poveretto” ripresenta una scala cromatica discendente nel finale. Arrivano poi “La blonde”, che vede nell’ultima strofa un passaggio cromatico delizioso affidato ancora ai baritoni; “Entorno al foch” con il ritornello di stampo squisitamente pianistico e ”Le soir à la montagne”b dove ABM esprime tutto il suo amore per la montagna. Il coro non si limita ad imparare i nuovi canti: li registra anche regolarmente, a partire dal 1956. La produzione discografica esalta la trasformazione artistica del Coro della SAT, ne diffonde le doti interpretative e la fama di complesso orientato verso il canto popolare trattato non più in modo grezzo e “povero”, bensì sorretto da un impianto armonico di grande valore musicale. E le armonizzazioni di Michelangeli contribuiscono in maniera determinante all’evoluzione artistica del coro. Dopo i canti piemontesi e lombardi segue una serie di canti trentini, sottoposti al Maestro durante le visite a Rabbi, dove egli soleva trascorrere brevi periodi di

Benedetti Michelangeli durante le prove del Coro SAT

 

riposo. Ecco quindi “Serafin” la cui raffinatissima elaborazione asseconda con naturalezza la non comunesuddivisione del ritmo in 5/4; “La figlia di Ulalia” con l’accompagnamento particolarmente ricco della parti centrali; “Che fai bela pastora”, dove i bassi sono protagonisti di una insistente pulsazione ritmica che accompagna tutto il canto; “I lamenti di una fanciulla”, con i falsetti che richiamano atmosfere espressioniste; e, ancora, l’apparente semplicità di “Io vorrei” e infine “Vien moretina “, dove è illuminante l’indicazione dinamica apposta nell’ultima battuta: ben cinque “p”, ad indicare il dissolversi del suono nel silenzio e nell’”aria fina” della montagna. Siamo verso la fine degli anni ’70 e un lungo periodo di silenzio fa presagire che supporre che la “vena popolare” del Maestro si sia esaurita: per fortuna non è così, c’è ancora spazio per un’ultima gemma finissima. Una dolce ninna nanna, tratta dai ricordi della mia nonna paterna, dal titolo “’Ndormènzete popin” riesce a destare in Michelangeli il desiderio di riaccostarsi allo strumento che, dopo il pianoforte, ama di più: la voce umana, anzi “la voce” del Coro della SAT. E l’ultima elaborazione di ABM di una melodia semplicissima e quasi banale, affidata ad un solista, è a dir poco straordinaria. L’andamento cullante, tipico della ninna nanna, è sorretto dalle voci gravi, che oscillano cromaticamente,

Benedetti Michelangeli insieme a Mario e Silvio Pedrotti

mentre le voci superiori inseriscono delle armonie sofisticate, qualche volta dissonanti: un vero capolavoro. Il coro rimane sbalordito, ancora una volta, dalla novità, dalla genialità, dalla capacità di trasformare un semplice ricordo familiare in un gioiello musicale; e si dedica anima e corpo all’assorbimento dell’ultima magia di Michelangeli. Siamo nel 1983: impegnato nella registrazione di un nuovo disco negli studi Teldec a Berlino, il coro include il nuovo canto nel programma. Le difficoltà del pezzo fanno temere ai tecnici lo sforamento dei tempi previsti di utilizzo dello studio e un trattenuto nervosismo serpeggia nel grande locale insonorizzato. Ma sono timori ingiustificati: due sole prove e la ninna nanna nasce, con naturalezza, come si addice ai veri capolavori. Nel 1997 il Coro della SAT ha realizzato la prima monografia della sua storia discografica, dedicata appunto ai 19 canti armonizzati da Arturo Benedetti Michelangeli; nel 2015, in occasione del ventennale della scomparsa del grande pianista, torna a dedicarsi all’opera forse più importante musicalmente di tutto il suo repertorio. Il nuovo compact disc uscirà in novembre e sarà un omaggio riconoscente all’artista eccelso per la straordinaria avventura di amicizia e di comunione artistica di cui egli ha saputo onorarci.