Le opere corali rappresentarono e testimoniarono, fin dagli esordi, un’importante occasione artistica per Bruno Bettinelli, nei confronti della pratica compositiva e della sua attenzione all’incontro tra la musica e la poesia. Le composizioni per coro assumono per Bettinelli due aspetti fondamentali, che possiamo con grande attenzione riconoscergli: per primo il ruolo che il canto corale ha come più pura espressione musicale concessa all’Uomo. Per lui la musica corale costituisce una profonda manifestazione della volontà di comunicare ed esprimersi. In secondo luogo la sua produzione per coro lo accompagna in un cammino evolutivo sempre ‘intimo e pudico’. Un percorso del profondo dedicato alla continua ricerca di un’introspezione stilistica ed emotiva, resa possibile solo attraverso la sintesi dei mezzi espressivi che il coro ha.

Bettinelli sceglie, per questa composizione che abbiamo preso in esame, il testo di Matteo Maria Boiardo ‘Già mi trovai di maggio’, tratto dall’Orlando innamorato del 1495. Compose questo brano insieme alle altre due liriche: ‘O Jesu dolce’ di Leonardo Giustinian del XIV secolo e ‘Il bianco e dolce cigno’ di Laura Giudiccioni del XVI secolo nelle sue ‘Tre Espressioni Madrigalistiche’, scritte per coro misto a cappella nel 1939, quando era giovanissimo poco più che vent’enne, e pubblicate dall’Edizione Zanibon di Padova.
La  scelta  del  testo  è  perfettamente  in  sintonia  con l’esigenza  di  trarre  ispirazione  musicale  da  una  fonte testuale antica, come è solito (insieme a poesie di autori a lui contemporanei) dello stile del compositore.
I tre brani riprendono le antiche forme della Canzonetta, della Lauda e del Madrigale, che fanno sì che il nostro compositore

si dedichi, attraverso un idioma musicale pieno di arcaismi e di espressività aulica e sognante, oltre che a un linguaggio rielaborato in forma moderna, pur rimanendo in ambito tonale, a un contrappunto pieno di freschezza e di personalità. L’Orlando innamorato narra delle vicende francesi all’interno della corte di Ferrara tra il XIV e il XV secolo. Sul piano stilistico e contenutistico, Boiardo mescola e rielabora fonti ed elementi narrativi del ciclo bretone e carolingio, oltre a inserire molteplici possibilità narrative, principalmente dedicate alle avventure e ai rapporti d’amore, che consentono al lettore di essere attratto e catapultato direttamente nello stato emotivo ed affettivo dei racconti poetici.

Dal punto di vista narrativo, sempre all’interno di ambienti cortigiani, i generi utilizzati dall’autore sono: novelle, dedicate a personaggi, favole e fiabe, dedicate a episodi con maghi e situazioni misteriose, liriche, dedicate alle relazioni d’amore. È su questa parte – particolarmente adatta ad essere musicata – che Bettinelli si concentra ed estrapola il canto XIX (Stanza 1) del II libro, il ‘Già mi trovai di maggio’. Il testo poetico di questo canto, in endecasillabi, è suddiviso in otto versi in rima alternata per i primi i primi sei e baciata per gli ultimi due:

Già mi trovai di maggio una mattina
entro un bel prato, adorno d’ogni fiore.
Sopra ad un colle a lato alla marina,
che tutto tremolava di splendore.
E tra le rose d’una verde spina
una donzella cantava d’amore.
Movendo sì soave la sua bocca,
che tal dolcezza nel cor mi tocca.

Bettinelli, attraverso una rete e una relazione polifonica e omoritmica delle sezioni vocali del coro, suddivide il suo intervento compositivo in otto frasi musicali:

1. Già mi trovai di maggio una mattina (a doppio semicoro)
2. entro un bel prato, adorno d’ogni fiore. (in omoritmia)
3. Sopra ad un colle a lato alla marina, (a doppio semicoro e in omoritmia)
4. che tutto tremolava di splendore. (in omoritmia, attraverso madrigalismi)
5. E tra le rose d’una verde spina
una donzella (in polifonia e omoritmia con gioco di parole diverse tra le sezioni, che creano una particolare situazione espressiva)
6. cantava d’amore. (in omoritmia col raggiungimento del culmine del brano)
7. Movendo sì soave la sua bocca, (in omoritmia, attraverso madrigalismi)
8. che tal dolcezza nel cor mi tocca. (in melodia accompagnata e polifonia con finale su pedale dei Bassi e Soprani)

Già da questa prima analisi sulle attenzioni testuali e scelte delle tecniche compositive, riscontriamo la ricchezza e la varietà dell’idea musicale che Bettinelli mette a disposizione su un brano così relativamente ‘breve’, che non raggiunge nemmeno i due minuti di esecuzione complessiva.
Entrando nel vivo del brano scelto, all’inizio (battute 1-8) come dicevamo, riscontriamo la scelta di esporre la prima frase musicale in doppio semicoro: Tenori e Bassi in dialogo coi Soprani e Contralti.
Questa scelta riteniamo essere di carattere dialogico. Sono presentati i due personaggi, i due amanti: lui (che osserva

 ammirato), indicato dalle sezioni maschili, lei (protagonista) indicata dalle sezioni femminili.
Sarà riprodotto lo stesso sistema anche all’inizio della terza frase (battute 17-19), congiungendosi poi tutte le voci in omoritmia (battute anacrusico di 20-23), come a trasmettere il congiungimento dei due protagonisti.

L’utilizzo di molti intervalli di quinta e di quarta (Sol-Re, Fa-Do, Mi-Si ai Tenori e Bassi e Mi-La, Fa#-Si, Re-Sol ai Soprani e Contralti), sono certamente un altro elemento volto a rievocare le sonorità tipicamente antiche (vedi ancora primo e secondo esempio).
Un’altra caratterista importante è l’utilizzo di tre cellule ritmiche, che fanno da inciso e filo conduttore per tutto il brano:

Queste cellule, sono particolarmente indicate per staccare il tempo tendente a un unico movimento, come indicato dallo stesso compositore: quasi in uno.
Dal punto di vista armonico, Bettinelli mostra la sua grande attenzione e dedizione alle soluzioni neomodali.
Il brano è saldamente nel tono d’impianto di Sol Maggiore, ma troviamo continuamente soluzioni che non sono definibili ‘tonali’, ma appunto ‘neomodali’.
Nella cadenza della seconda frase (battute 14-16), troviamo l’uso del VII grado abbassato (in primo rivolto con la settima minore) che, risolvendo sul primo grado di Sol Maggiore, caratterizza quella che viene definita ‘Cadenza subtonale’. All’ascolto, l’ammorbidimento dell’accordo cadenzale del settimo grado abbassato, annulla e non fa sentire la ‘Sensibile’, e quindi evita una cadenza convenzionale dal gusto tonale. Situazione tipicamente scelta, infatti, nell’ambito neomodale.

(Battute 14-16)
Nella quarta frase (battute anacrusico di 24-30), Bettinelli ricorre all’artificio del ‘madrigalismo’, nel quale intende trasmettere in termini grafici e musicali, un’espressione o un’immagine evocata dal testo poetico. Notiamo, infatti, che il vocalizzo sulla parola ‘tremolava’, questa volta ben solido sull’armonia di Dominante, ben trasmette l’immagine della figurazione musicale scelta dal compositore:

Interessante notiamo anche come sulla successiva parola ‘splendore’, culmine di questa frase musicale, Bettinelli scelga di aprire e ampliare il coro in omoritmia sull’armonia dolce del II grado (accordo di La minore settima), in un certo senso ‘antiretorico’, rispetto a quello che si poteva ottenere con qualunque altro accordo della scala di Sol Maggiore, per poi concludere questa frase col V grado di Mi minore, volto a ‘tonicizzare’ il VI grado. All’ascolto, sposta per un momento la nostra attenzione sul tono relativo di Sol Maggiore, creando una variazione dell’ambito armonico su cui sta procedendo il brano.
L’inizio della quinta frase successiva, con gli attacchi polifonici su tutte e quattro le voci, ben trasmettono l’immagine di molteplici fiori sulle parole ‘e tra le rose’.
Sulle battute 36-38, Bettinelli ricorre a un artificio davvero interessante. Mescola tra le voci le parole ‘donzella’ (ai Soprani e Contralti), ‘spina’ (ai Tenori) e ‘rose’ (ai Bassi). Inserisce volutamente un’armonia a battuta 37 molto particolare, che definiamo come primo rivolto di Settima diminuita del II innalzato, che con le alterazioni Do# e Mib ben identifica il contenuto creativo e l’immagine che trasmette questo particolare e dissonante accordo. Provando, infatti, ad ascoltare e a immaginare l’insieme di queste tre parole chiave, comprenderemo sicuramente la scelta del compositore.

(Battute 36-38)

Nella sesta frase successiva, raggiungiamo il ‘culmine’ del brano sulla parola ‘cantava’. L’intento è chiaro. Tutta l’attenzione rivolta al testo e alla scelta musicale è su di lei: la ‘donzella!’ … E se vogliamo, è anche perfettamente in sintonia col compito del coro: ‘cantare!’.
Bettinelli, dopo un procedimento armonico basato sui rivolti (battute anacrusico 39-42): VI2/4, VII2/4, I4/6, IV3/6/7, risolve (in f e più largamente) sul IV grado, puro e semplice! Dà una connotazione veramente chiara e distensiva.

(Battute anacrusico 39-49)
Nella settima frase successiva (battute anacrusico 50-55), Bettinelli ricorre ancora all’utilizzo degli intervalli di quarta, ma questa volta armonicamente.
Ponendo il coro in successione di quarte tra i Bassi e Tenori e i Contralti e i Soprani, con l’artificio che possiamo ancora definire ‘madrigalismo’, in questo caso ondulatorio in sintonia con le parole ‘movendo sì soave’, l’effetto è davvero suggestivo.

Nell’ultima frase (da battuta 60 a battuta 63), Bettinelli riprende lo stesso e identico accordo usato a battuta 37. Nella frase precedente il compositore scrive ai Tenori La#, ma inserisce anche in piccolo tra parentesi (Sib) e nella seconda frase SIb. L’effetto armonico è identico. Lo sentiamo già anche I IV all’inizio della frase a battuta 55, modificato solo sul La diesis con La bequadro. L’ispirazione armonica sembra essere tratta dalle due parole simili onomatopeicamente nelle due frasi: ‘donzella e dolcezza’.

L’assetto polifonico che segue, scelto dal compositore, sembra in queste battute evocare un gioco delle parti tra i due personaggi… prima dell’abbandono all’effetto/affetto finale. All’inizio (battute 56-60), sotto forma di una sorta di melodia accompagnata, notiamo la partenza delle voci dei Contralti, Tenori e Bassi a quali rispondono i Soprani. Nelle battute successive, i Soprani rilanciano le parole ‘nel cor’, a quali rispondono i Bassi, e poi ancora Soprani, ai quali rispondono i Tenori, e infine, come ultima entrata, i Contralti insieme ai Tenori sulle parole ‘mi tocca’. La scelta notazionale delle ultime cinque battute, evoca all’ascolto un vero e proprio abbandono al contenuto espressivo di queste ultime parole poetiche. Il pedale lungo dei Bassi sulla tonica di Sol, il pedale superiore dei Soprani, col salto d’ottava sulla suono di Re (effetto/affetto di richiamo lirico teatrale), le due voci parallele dei Contralti e Tenori che si muovono per seste, ben trasmettono questo intento espressivo voluto dal compositore.
Come anche la scelta armonica, sulla cadenza plagale delle ultime tre battute sulla parola ‘tocca’ (il Re dei Soprani possiamo considerarlo come nota anticipata dell’accordo di Sol Maggiore), trasmette un effetto simile all’Amen distensivo e conclusivo che possiamo trovare in moltissimi brani di musica sacra.

Suggerimenti per l’esecuzione

All’inizio della partitura ci si pone di fronte alla scelta di come ‘staccare’ il tempo dell’esecuzione. Bettinelli scrive Allegretto (160 al quarto) e aggiunge quasi in uno, nonostante la composizione sia scritta in 3/4.
Vista la velocità richiesta e la scorrevolezza, che si comprende anche dalla lettura della scrittura contrappuntistica del brano, staccare il brano in tre movimenti, risulterebbe sicuramente più meccanico e macchinoso. Il tempo ternario, tra l’altro, nella musica antica si staccava, infatti, in unico movimento.
Dal punto di vista vocalico, la scelta di un timbro naturale, a piena voce, ma certamente non troppo lirico, risulterebbe più ottimale e consentirebbe di eseguire un fraseggio più adeguato e congeniale alla scrittura di questo brano, di carattere così scorrevole e ‘madrigalistico’.
Alla lettura, dal punto di vista contrappuntistico, e all’ascolto si connota una sorta di ‘freschezza’ e anche ‘scorrevolezza e leggerezza’, per il suo fraseggio, per la brevità del pezzo, per l’assetto armonico – in sintonia evidentemente anche con la giovane età del compositore in cui ha scritto questo brano – del modo di comporre di Bettinelli.
Il brano è una sorta di ‘acquerello’ (non in senso semplicistico) che richiede un atteggiamento al canto molto aperto e animativo, perché si realizzi artisticamente compiutamente l’esecuzione corale. L’aspetto così gioioso, spensierato, ma anche in alcuni punti sensuale – soprattutto nelle battute anacrusico di 50-55 sulle parole: ‘movendo sì soave la sua bocca’ e battute anacrusico di 64-fine brano sulle parole: ‘nel cor mi tocca’ – immerso nella natura e nei colori del mese primaverile di maggio, ben rappresentato sia dal testo di Boiardo sia dalla musica di Bettinelli, dovranno essere il filo conduttore su cui vertere tutte le attenzioni espressive ed esecutive del coro.
Un ultimo suggerimento è sulla dislocazione del coro. Essendoci parti a doppio semicoro, si potrebbe pensare anche ad un assetto diviso in sezioni maschili da una parte e sezioni femminili dall’altra, visto che sono, soprattutto nelle prime frasi e alla fine, in continuo dialogo. Questo, all’ascolto, creerebbe un effetto stereofonico e anche teatrale particolarmente suggestivo.Concludiamo lasciando alcune importanti dichiarazioni, come testimonianze. La prima di Gian Nicola Vessia, che ha curato e ha lavorato all’edizione di tutta l’ultima produzione mottettistica di Bettinelli, tratta dalla presentazione del fascicolo

Polyphonia n. 15 dell’Edizioni Carrara pubblicato nel 1994:
«[…] Uomo dalla forte tempra morale, la figura di Bettinelli si potrebbe ascrivere a quella di rappresentante di un neoumanesimo, di musicista impegnato nella continua ricerca di un linguaggio realizzato (per quanto attiene la musica per strumenti) sulle basi di un libera atonalità che si estrinseca al di fuori di schemi precostituiti troppo spesso vincolanti. Di questo tipo di linguaggio, s’intende, non v’è traccia nella musica corale di questo autore, poiché la voce umana, com’è noto, ha necessità di un altro trattamento per poter conseguire una valida e intensa espressività, strettamente aderente al contenuto dei testi. […] Si tratta spesso di una musica sofferta perché, stratificandosi e sovrapponendosi la ricerca armonica con l’impalcatura contrappuntistica e la tecnica della variazione continua, ne risulta un senso di tensione che Bettinelli sa poi magistralmente sciogliere fino alla conclusione di un disegno preordinato ed emotivamente coinvolgente.» La seconda è tratta dalla presentazione di Giovanni Acciai dal titolo ‘Tra continuità e innovazione: i Madrigali di Bruno Bettinelli’, scritta per i ‘Sette Madrigali a cinque voci’ (composti tra il 1993 e il 1995) editi da Suvini Zerboni per la collana ‘I Quaderni della Cartellina’ nel 1996: «Figlio di un’epoca divisa tra pericolose fughe in avanti di un’avanguardia

talvolta vuota di idee e di contenuti e tra gli altrettanto perigliosi balzi all’indietro di una retroguardia conservatrice e nostalgica, Bruno Bettinelli ha costantemente opposto a questo sterile bipolarismo un atteggiamento positivo, riuscendo sempre a far convivere nella sua arte elevatissima, vivacità di pensiero e grande coerenza stilistica.

L’esito etico […] si riassume dunque in una modernità che non si alimenta della pura enunciazione di se stessa, ma si nutre della rielaborazione personale di canoni compositivi indagati fin nelle pieghe più profonde della loro natura, della loro essenza. Ciò vale sia per quanto riguarda la sperimentazione e l’applicazione delle formule compositiva sia per l’esplorazione delle possibilità tecnico-espressive dello strumento ‘voce’. […] Comporre oggi madrigali potrebbe sembrare anacronistico. Non per Bruno Bettinelli, il cui sodalizio con questo genere musicale e con ciò che esso rappresenta sul piano estetico e formale ha radici profonde.
Perché il madrigale è innanzi tutto poesia. Ed è forse questa sua fondamentale prerogativa d’identificazione della parola come significazione sonora, capace di particolari sfumature di immagini, ad attrarre il compositore milanese e a stimolare di continuo l’ispirazione creativa. […] Una musica, questa dei madrigali di Bettinelli, che si fissa e si libra in uno spazio che spinge in avanti, ma che costringe anche a voltarsi indietro, verso le grandi sorgenti della polifonia antica. […] Prospera infatti rigoglioso il frutto dove la radice è profonda…»