In copertina: Luciano Berio al Groupe de Récherches Musicales, Parigi, anni ’70 – foto di Robert Cahen
Nel catalogo del compositore ligure la polifonia vocale a cappella è presente con quattro opere: A-Ronne (1974-75), Cries of London (1974-76), There is no tune (1994) e infine E si fussi pisci (2002). Alcune fonti riportano anche due lavori giovanili per coro misto a quattro voci, O bone Jesu e Due cori popolari, entrambi del 1946 e pertanto di un Berio poco più che ventenne, che restano a tutt’oggi inediti. A-Ronne e Cries of London sono destinate entrambe a un ottetto di voci soliste. Nessuna delle due formazioni è suddivisa in due cori, come l’organico potrebbe lasciar pensare e come di fatto avviene non solo nel repertorio della grande tradizione polifonica, ma anche in non poche composizioni di autori contemporanei destinate a organici simili. L’ottetto vocale è peraltro formazione assai amata da Berio che la impiegò anche in altri lavori, non a cappella, fra i suoi più importanti e di maggior successo: Sinfonia per otto voci e orchestra (1968-69) e Canticum novissimi testamenti (1989-91) per quattro clarinetti, quattro saxofoni e otto voci. Tutti questi lavori sono stabilmente entrati del repertorio di numerose formazioni corali che li hanno affrontati anche in sede di incisione discografica.
Luciano Berio
A-Ronne per otto voci
Esiste una prima versione di A-Ronne per cinque attori del 1974 che talora è ancora messa in scena, sebbene la seconda versione per otto voci sia quella più eseguita. In una conferenza del 1983 Berio afferma che «non si tratta di una composizione musicale in senso stretto1». Infatti, prosegue, «avrei certamente incontrato delle difficoltà se avessi voluto definirla con una delle consuete indicazioni di genere che accompagnano le composizioni vocali (cantata, madrigale, canzone, concerto, ecc.)». La scelta cadde su «quella che mi è sembrata la descrizione sintetica più appropriata: documentario» su una poesia di Sanguineti. Si tratta di un lavoro che pur non appartenendo «a un genere musicale noto […] può forse suggerire qualche tenue legame coi madrigali rappresentativi, cioè col teatro degli orecchi (della mente, diremmo oggi), del tardo Cinquecento».
Il testo è frutto di una esplicita richiesta al poeta e amico Edoardo Sanguineti: «uno degli aspetti più singolari di questa poesia è l’essere rigorosamente e ossessivamente costruita di citazioni che ruotano su loro stesse e ritornano spesso tradotte in lingue diverse. Anche il titolo è una citazione. A-Ronne: come dire a-Zeta, Alfa-Omega. Ronne è una delle tre abbreviature poste un tempo alla fine dell’alfabeto, dopo la Z». Il rapporto suono-parola prevede che quest’ultima sia talora ridotta alle sue componenti fonetiche essenziali. In tali casi Berio indica le singole lettere ricorrendo ai segni dell’alfabeto fonetico internazionale (IPA) e ponendole tra parentesi quadra. Dal punto di vista della macroforma la composizione è divisa in tre parti il cui testo poetico tratta rispettivamente dell’Inizio, del Mezzo e della Fine.
Francis Wheatley, trawberrys, Scarlet Strawberrys dalla serie Cries of London
La partitura prevede una impaginazione dei pentagrammi che non rispetta l’ordine tradizionale, ma utilizza la seguente disposizione dal basso verso l’alto: basso, contralto, soprano, tenore. Tale è anche il posizionamento dei cantanti in semicerchio, da sinistra a destra, come indicato nello schema che chiude le Performance notes. Molto fitta è la presenza delle lettere “A” (Ampiezza) e “R” (Riverbero) che riguardano particolari modalità di uso dei microfoni per l’amplificazione della voce, come richiesto anche in Sinfonia, seguite da numeri che vanno da 0 (livello minimo) a 4 (livello massimo). In tal senso si può ben dire che il microfono non è un semplice mezzo per amplificare la voce, ma un vero e proprio strumento che suggerisce determinate opzioni al compositore e che gli esecutori devono maneggiare con autentico virtuosismo.
Altro dato saliente è la compresenza di due modalità di notazione tali per cui «le azioni vocali [vocal actions] scritte su una singola riga sono parlate, le azioni scritte sul pentagramma tradizionale sono cantate». Complessivamente l’uso della voce è molto variegato in virtù della presenza di «un vasto repertorio di gesti vocali specifici (dal richiamo all’insulto, al piangere e al ridere, dall’eloquio volgare al sussurro erotico, dall’afasia all’acrobazia articolatoria, dal rumore fisiologico al canto di chiesa, alla lezione di canto ecc.)». Inoltre sono presenti note sussurrate e senza voce, utilizzo del microfono contro la bocca per amplificare in tal modo i rumori interni della bocca (lingua e saliva) e delle labbra, il cosiddetto “pop” ossia far scorrere il dito dentro e fuori dalla bocca, il fischio, l’inspirazione e l’espirazione attraverso i denti. Ciascuna di queste emissioni vocali è indicata con opportuni simboli semiografici.
A fronte di tutto ciò occorre però sottolineare che il canto corale tradizionalmente inteso non è per nulla assente. Infatti, al termine della parte centrale inizia una lunga sezione nella quale dapprima le voci femminili poi quelle maschili intonano, ripetendole più volte e secondo una modalità che Berio indica liturgically, le parole Ein gespenst geht um [Un fantasma si aggira]. Si tratta, come noto, delle prime parole del Manifesto di Marx ed Engels.
Cries of London per otto voci
Come nel caso precedente anche quest’opera è passata attraverso due successive fasi di elaborazione. La prima versione del 1974 è dedicata ai King’s Singers. Essa prevedeva solo sei pezzi ed ebbe la prima esecuzione a Edimburgo l’anno successivo. La seconda versione del 1976 fu eseguita per la prima volta lo stesso anno a La Rochelle dagli Swingle Singers. In essa Berio amplia l’organico a otto voci, aggiungendo un secondo tenore e un secondo basso, e componendo un settimo pezzo. Questa nuova versione è così descritta dal compositore stesso: «I Cries of London sono diventati un breve ciclo di sette pezzi vocali di carattere popolare, dove un pezzo semplice si alterna in modo regolare a un pezzo musicalmente più complesso. Il primo e il terzo “Cry” hanno lo stesso testo. Il quinto “Cry” è l’esatta ripetizione del primo. Il settimo pezzo, “Cry of Cries”, è un commento ai “Cries” precedenti: pur usando le stesse melodie e gli stessi caratteri armonici, musicalmente se ne allontana e li ricorda a distanza. Nell’insieme questo breve ciclo può anche essere ascoltato come un esercizio di caratterizzazione e di drammaturgia musicale. Il testo è essenzialmente una libera scelta delle famose frasi dei venditori nelle strade della vecchia Londra».
Due sono le fonti che hanno ispirato questo lavoro. La prima è costituita da una serie di dipinti del pittore Francis Wheatley (1747-1801), la seconda è ciò che consente di legare questo lavoro al repertorio polifonico rinascimentale. Come sempre in Berio il rapporto con la tradizione non si costituisce mai come semplice e ingenua acquisizione di modi del passato più o meno recente, ma giunge a sostanziare il linguaggio del presente istituendo un arco virtuoso fra le opere di ieri e la creatività odierna. Il riferimento va ad almeno due lavori ovvero al celebre Les Cris de Paris di Clément Janequin (1485-1625) e ai non meno noti Cries of London di Orlando Gibbons (1583-1625). Non è certa la data di composizione del primo di tali pezzi che alcuni indicano attorno al 1530 mentre altri la posticipano attorno al 1545.
Dal punto di vista contenutistico i sette pezzi, ciascuno dei quali rivolto a un dedicatario diverso, sono organizzati in forma simmetrica. Infatti, i brani pari sono basati sulle vere e proprie grida dei venditori (il n. 2 venditore di belletti, il n. 4 venditore di aglio, il n. 6 venditore di vecchi vestiti) mentre i numeri dispari sono varianti della perorazione con la quale l’autore invita all’ascolto (come già fatto da Janequin). Il settimo e ultimo brano è una specie di riassunto di tutti i materiali precedenti.
La notazione e l’uso della voce si differenziano rispetto ad A-Ronne per una relativamente maggiore semplicità. Il carattere generale di questa composizione è ben espresso dall’indicazione posta all’inizio del primo pezzo: Simply, like a folk tune, with a touch of ecstasy. Infatti, questa partitura è improntata a quell’amore per la musica popolare che costituisce, come noto, uno dei tratti salienti di molta produzione di Berio.
La musica si sforza per quanto possibile di imitare e di rendere in termini sonori il contenuto dei testi redatti dallo stesso compositore. Così avviene, ad esempio, nel IV brano il cui protagonista è il venditore d’aglio. La conseguenza che esso provoca sul fiato degli acquirenti che lo mangeranno è resa con un particolare effetto di aspirazione della lettera “a”… Dal punto di vista esecutivo il VI pezzo è certamente quello più impegnativo: qui la parola money è pronunciata velocissima da tutte le voci con sovrapposizioni poliritmiche estremamente suggestive.
E si fussi pisci per coro misto
Si tratta della rielaborazione di una melodia popolare siciliana a tema amoroso della quale Berio approntò diverse versioni. Oltre a quella per coro misto, altre due sono legate al violista Aldo Bennici: una per viola sola (con ampio uso di corde doppie per simulare la polifonia) e il duetto n. 24 Per Aldo dai Duetti per due violini. Berio amava molto questa melodia2.
La versione per coro è dedicata a Umberto Eco. Il lavoro è molto differente dai due pezzi sopra citati, in particolare da A-Ronne, sia dal punto di vista della notazione, qui del tutto tradizionale, sia dal punto di vista dell’impegno vocale che risulta decisamente più contenuto. Nonostante ciò, Berio non rinuncia ad ampliare la propria tavolozza includendo alcuni effetti, niente affatto gratuiti, che hanno lo scopo di rendere al meglio l’origine popolare della melodia. Fra questi il consueto canto a bocca chiusa, l’utilizzo del parlato senza intonazione precisa, il particolare “arrotondamento” lettera “r” già utilizzato nel pezzo precedente. Particolarmente efficace è l’«imitazione quadrupede facendo schioccare la lingua » che apre il brano e che evoca l’andamento del tipico carretto siciliano. Tutto il brano deve essere cantato «sempre senza vibrato e un po’ nasale». Il breve testo è in dialetto siciliano, ma di facile comprensione: E si fussi pisci lu mari passassi / E si fussi aceddu ‘nni tia vinissi. // E vucca cu’ vucca ti vurria vasari / E visu cu visu parlari cu’ tia [E se fossi pesce attraverserei il mare / E se fossi uccello verrei da te. // E bocca a bocca ti vorrei baciare / E viso a viso parlare con te].
1. Le citazioni presenti in questo testo sono tratte da Luciano Berio, Scritti sulla musica, a cura di A. I. De Benedictis, Einaudi, Torino 2013.
2. È possibile ascoltare lo stesso compositore che la canta accompagnandosi al pianoforte all’indirizzo http://www.lucianoberio.org/e-si-fussi-pisci-omaggio-a-luciano-berio.
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