Coralità tra improvvisazione e musicoterapia

L’incontro con la bellezza è una parte imprescindibile della nostra esperienza umana: sollecita un cammino interiore, provoca una ricerca di senso e ci interroga su ciò che cerchiamo e desideriamo.

In assenza di bellezza l’anima smarrisce la strada e per ritrovarla è necessario un nuovo incontro, capace di raggiungerci, toccarci e smuoverci nel profondo.

Nonostante questi presupposti l’importanza della dimensione estetica nel lavoro terapeutico non è di fatto menzionata. Tuttavia, i momenti di bellezza sono terapeutici nel senso più vero: ci rendono consapevoli dell’anima e ci portano a prenderci cura del suo valore. Ciò non implica che automaticamente il fine della terapia debba essere il raggiungimento di un prodotto estetico, bensì la cura, la riabilitazione. Il processo estetico e il processo terapeutico hanno, infatti, un intrinseco reciproco rapporto. Laddove l’obiettivo è la terapia del paziente, cioè un cambiamento possibile della sua vita, si può utilizzare l’arte, o meglio il fare arte in prima persona, perseguendo la ricerca del bello. L’atto artistico si tramuta, quindi, nel fare sé stessi, in un processo organizzativo interiore. Come avviene in psicoanalisi, così davanti all’opera d’arte viene messo in atto un processo creativo associato a un processo introspettivo, non solo in relazione al proprio passato, ma anche rispetto al futuro, al progettarsi, allo scoprire nuove possibilità, una direzione, infine un senso. L’esperienza sensoriale assume un carattere emotivo, ridefinendo la realtà, rendendo possibili dei cambiamenti, permettendo una maggiore armonizzazione della propria vita.

Questo è sicuramente un obiettivo primario in musicoterapia, risalendo alla concezione originale della parola terapia, dal greco θεραπεία, cioè ‘‘prendersi cura’’, non solo in termini di guarigione, ma come un’esplorazione del senso dell’esistenza, che possa condurre verso una più genuina e libera espressione di sé, così da riscoprire un progetto esistenziale riconosciuto come proprio.

Il processo descritto sopra può verificarsi anche al di fuori di un contesto terapeutico propriamente detto, come nel caso di un’esperienza musicale profonda volta alla ricerca della bellezza, finalizzata all’esibizione pubblica o alla mera formazione artistica. La musica, infatti, costituisce uno strumento catalizzatore nell’incontro con la bellezza: essa attrae l’uomo e suscita emozioni che comportano un’attivazione sensoriale e motoria e un’auto-percezione gratificante e positiva. Inoltre, scatena da un lato un’esperienza regressiva, permettendo di recuperare sensazioni ed emozioni dimenticate, anche previe all’elaborazione logica e verbale, e dall’altro un’esperienza progressiva, agendo sulla crescita della capacità espressiva e comunicativa e nell’armonizzazione e strutturazione di sé. Il potere della musica è, in sostanza, quello di organizzare l’esperienza estesica e la sensorialità in percezioni estetiche, che forniscono una prima luce, prelogica, su fatti psichici non decifrabili, aprendo alla conoscenza simbolica; questo accade attraverso un’esperienza creativa, non tramite un procedimento mentale, logico, intellettuale.

Se la musica ha un’influenza di tale portata sull’individuo, una ricerca di bellezza all’interno della stessa può essere compiuta in maniera ancora più profonda con la voce e, nel dettaglio, attraverso la coralità. La voce è la nostra impronta digitale musicale: il nostro “suono” nel mondo. Una delle caratteristiche più peculiari della voce è che non ne esiste alcuna identica ad un’altra, così come unico e irripetibile è ogni essere umano. Un cammino di ascolto profondo della propria voce diventa allora uno strumento della riscoperta di sé, per scorgere la propria anima e coglierne la bellezza. In questo viaggio, l’esperienza di un percorso condiviso, e non individuale, è la condizione privilegiata di incontro con la bellezza. La coralità diventa relazione, incontro, rispecchiamento, dialogo, condivisione, rassicurazione, scoperta di sé; citando Galimberti, “l’individuo si costituisce a partire da una relazione e non come individualità isolata che instaura relazioni”. Le potenzialità del percorso diventano ancora maggiori quando il processo creativo è vissuto in prima persona, cioè quando la creazione artistica si esprime in modo attivo e personale, come nell’improvvisazione. L’improvvisazione è uno strumento fondamentale in musicoterapia: rappresenta uno degli ‘’usi’’ della musica più efficaci in termini terapeutici in quanto espressione privilegiata per la rappresentazione del mondo interno del soggetto.

Simona Bandino

L’impiego dell’improvvisazione nella musica corale è un ambito ancora poco esplorato in Italia, sia nel contesto musicale che in quello musicoterapeutico, nonostante – in quest’ultimo campo – importanti studi di neuroscienze della voce abbiano evidenziato come l’improvvisazione corale comporti notevoli benefici psicofisici. Sia in ambito europeo che americano l’improvvisazione vocale ha trovato invece da tempo una diffusione considerevole, incluso il campo didattico. Essa costituisce, infatti, un pilastro essenziale nel campo dello studio corale, poiché comporta numerosi vantaggi, tra cui il miglioramento dell’intonazione, dell’espressività e delle capacità vocali e tecniche. L’improvvisazione vocale collettiva si caratterizza per la totale estemporaneità del processo compositivo, essendo non soggetta al rispetto pedissequo di partiture predefinite ma sostituendo ad esse un’attenzione accurata all’ascolto, una comunicazione empatica e una ricerca sonora vocale assoluta. Nella mia carriera ho avuto modo di approfondire le caratteristiche comuni tra l’approccio del musicista e del musicoterapista grazie ai musicisti e didatti americani della scena improvvisativa di Chicago.  È stato sorprendente cogliere le somiglianze tra la ricerca sonora di Roscoe Mitchell, famoso improvvisatore della scena del freejazz americano, e la metodologia della ‘’voce-persona’’ di Padre Giovanni Maria Rossi, precursore degli studi sulla voce in musicoterapia in Italia: si scorgono un atteggiamento di ascolto del respiro e del suono come strumenti di espressione del sé e, allo stesso tempo, un atteggiamento di ascolto  dell’Altro quasi contemplativo, rivolto al cogliere un’essenza di Bellezza in ogni espressione sonora. Inoltre, la metodologia della Conduction di Butch Morris, fondata sull’ascolto reciproco e l’interazione costante tra strumentista e direttore e sulla partecipazione del gruppo al processo creativo, ha chiari rimandi alla metodologia della musicoterapia. Pone, difatti, le sue basi non sulla direzionalità dell’approccio del musicoterapeuta, ma sulla sua figura di facilitatore nello sviluppo di un processo creativo/terapeutico. Sono questi gli elementi che mi hanno portato a realizzare un approccio alla coralità che integri le esperienze, così come naturalmente avviene nella musica e anche nell’uso della stessa nella terapia.  In particolare, per l’ambito musicoterapeutico, il progetto “Le voci della bellezza” realizzato presso l’Ospedale Oncologico “Businco” di Cagliari per le pazienti oncologiche, il progetto di improvvisazione corale realizzato all’Università della Terza età di Sanluri, i Laboratori per il benessere “InCanto” e i laboratori per i giovani. Per l’ambito musicale, i laboratori a supporto dei cori polifonici e il progetto musicale “Do ut Des” di improvvisazione vocale collettiva.

Ogni percorso, musicale, didattico e terapeutico, che ho realizzato e realizzo, parte dalla scoperta dell’unicità della propria voce in un cammino di esplorazione del suono attraverso l’ascolto consapevole delle vibrazioni ad esso connesse, degli spazi di risonanza che crea. È uno percorso di ricerca della dimensione più intima del suono, che rappresenta l’elemento principe per chiunque si occupi di canto, spesso sacrificata a favore della tecnica vocale propria di uno stile. È uno spazio di relazione empatica, luogo privilegiato dove si riconoscono le singolarità di ognuno e si costruisce un’identità di gruppo, a partire dall’ascolto reciproco e dall’incontro tra le voci. Addentrandosi nei dialoghi sonori generati dalle improvvisazioni, il risultato creativo diventa strumento cardine di espressione di sé e comunicazione autentica. L’incontro dell’unicità delle singole voci e la nascita del suono di gruppo e della forza espressiva scaturita dall’improvvisazione permettono di costruire uno spontaneo intrecciarsi di vissuti emotivi e libertà creativa, generando spontaneamente maggiore ricchezza sonora e libertà nella vocalità e regalando uno stato di benessere a sé stessi e a chi ascolta.   

Ciascun progetto si realizza ogni volta in modo sorprendente, per l’esclusività dell’identità vocale di ognuno dei partecipanti, e la ricerca si nutre di volta in volta di nuovi aspetti da cogliere perché divengano parte integrante del gruppo. L’incontro sincero delle voci che improvvisano ha aperto le strade a nuovi modi per ritrovare l’altro, per sperimentare nuovi spazi comunicativi, nuovi modi di ascoltare e ascoltarsi, e ha portato consapevolezze inaspettate e un nuovo modo di rapportarsi all’altro e a sé.

In particolare, il progetto dei ragazzi ha avuto dei risultati sorprendenti grazie alla presenza nel gruppo di un ragazzo affetto da totale sordità a un orecchio. Questo ha portato ad accogliere, poi sperimentare e condividere insieme il suo modo di ascoltare il mondo, fatto di percezioni tattili, corporee e visive, che hanno consegnato ai ragazzi un nuovo strumento di accettazione di sé e inclusione dell’altro. Se alla base di questo lavoro si pone, da un lato, il postulato di una concezione estetica che attribuisce un luogo privilegiato al processo d’improvvisazione istantanea facendo di ogni concerto un momento irripetibile e rivolto alla stimolazione di una nuova ricerca verso sé, dall’altro richiama la necessità di un risultato compositivo che si fondi sull’idea di autenticità estetico/musicale. Il progetto è così culminato in un concerto finale fatto di momenti di grande impatto emotivo e di esperienza sonora profonda e toccante. Il risultato è stato sbalorditivo: il mondo che risveglia l’incontro delle voci che improvvisano insieme è difficile da tradurre in parole; è una dimensione dove il tempo si dilata, dove l’ascolto diventa un’esperienza non solo uditiva ma del corpo in ogni sua fibra. Dal punto di vista puramente musicale il coro, pur non possedendo competenze musicali specifiche, ha realizzato spontaneamente delle armonizzazioni di grande difficoltà, guidato da una potenza creativa derivata dall’ascolto profondo di ciascuno nei confronti dell’altro, in un incontro di voci che pareva seguire uno spartito già composto e che, invece, portava a compimento l’esigenza di ritrovarsi tutti insieme in un solo corpo e una sola voce, la voce della Bellezza.

«L’improvvisazione è un viaggio verso di sé: un viaggio di cui non conosci la meta, le coordinate e non sai dove stai andando. Provi una strada, organizzi un percorso ma dopo tanti tentativi ti rendi conto che torni sempre alla posizione originaria, che non stai andando da nessuna parte. Allora ti fermi, chiudi gli occhi: ascolto il cuore battere, il sangue scorrere nelle vene e il respiro si placa. Ora la strada è più chiara. Succede all’improvviso qualcosa che va al di fuori del controllo e della ragione. Una vibrazione impercettibile, un rumore apparentemente insignificante, un sussurro molto semplice diventa parte di un’armonia che non ti appartiene e comincia ad assumere senso in connessione con l’altro. È questo che fa la musica, scava in maniera indiscriminata tra i cocci di vetro e le cicatrici nascoste del corpo, si fa spazio e dà luce alla parte più vergine della tua anima, la porta in superficie e ad un tratto non esiste più paura. Il mondo esterno non conta più. Non esiste il tempo, il dolore, la vergogna, l’inadeguatezza; danzi sopra un filo sottile e ti senti libero di essere quello che sei davvero. Niente più maschere. L’improvvisazione per me è stato questo: un viaggio nascosto verso me stessa, alla ricerca della parte più pura di me messa a disposizione degli altri. Un’avventura meravigliosa e a volte dolorosa che solo i più coraggiosi osano intraprendere».

(dagli scritti di Michela, una ragazza che ha partecipato al progetto).

«La musica forma la persona, è l’origine della vita; la musica è colore, vitalità, e con lo strumento delle voci si hanno sensazioni diverse. La potenza del canto è sorprendente, ha la capacità di infonderti sicurezza e in certi momenti ti fa tornare bambino… sospiro respirando… la gioia diventa come una membrana di vita felice.

Il contatto con le voci mi dà consapevolezza della bellezza che mi circonda. È bello condividere le emozioni che scaturiscono dall’osservare il nostro stare bene insieme. Il canto che abbiamo fatto è ritmo, euforia, è un esperimento fenomenale… è come una sinfonia che ti fa vivere ricordi passati e in certi momenti ti fa tornare bambino.

La passione per il canto sembrava un miracolo. Capita spesso di sentirsi inadeguati e incapaci di fronte alla bravura di chi ci sta intorno, ma poi, come per magia, con i giusti stimoli e la voglia di provarci, scopriamo che noi tutti abbiamo qualcosa da dire. E allora, raggiungi la felicità con la passione, metti le ali, prendi il volo… e butti giù tutte le sofferenze della vita».

(dagli scritti delle partecipanti al Laboratorio di Musicoterapia “ImproCoro”: coro di improvvisazione dell’Università della Terza Età di Sanluri).