Bruno Bettinelli non ha bisogno di presentazioni. La sua lunga e grande carriera artistica e professionale ha accompagnato e attraversato tre quarti del Novecento e la sua musica ha sempre trasmesso e conservato una non comune riconoscibilità e originalità. Possiamo anche affermare che la sua musica corale ha senza ombra di dubbio contribuito a dare al nostro movimento corale un alto risvolto artistico.

Siamo a colloquio con Silvia Bianchera Bettinelli, moglie del Maestro scomparso nel 2004, anch’ella musicista, cantante e compositrice, oltre ad essere stata docente al Conservatorio “G. Verdi” di Milano e all’Istituto Musicale “G. Donizetti” di Bergamo, con cui cercheremo di scoprire insieme alcuni aspetti peculiari e importanti della poetica musicale e artistica del Maestro.
Francesco Barbuto: Voglio ringraziarti, intanto, Silvia per aver accettato questo nostro incontro e colloquio dedicato al maestro Bettinelli, e non ti nascondiamo anche di voler scoprire alcune curiosità e aneddoti di come lui lavorava e si poneva nei confronti della musica e anche del nostro mondo corale. Si dice da parte di molti, e le sue composizioni ritengo lo confermino palesemente, che lui fosse un esponente della modernità, con una grande attenzione e riguardo anche alla musica antica – musica “passata”, come lui stesso amava definirla – in particolare quella vocale. Quali furono le ragioni che lo spinsero in questa direzione artistica? Possiamo dire che Bettinelli abbia mantenuto una strada propria da questo punto di vista. Come si poneva nei confronti della musica d’avanguardia, in particolare quella in fermento del secondo Novecento?
Silvia Bianchera Bettinelli: Secondo Bruno noi siamo anelli di una catena passata, presente e futura, non possiamo ignorare gli “anelli” che ci hanno preceduto: Dallapiccola, Pizzetti, Berg, Schönberg, Stravinskij, Brahms, Beethoven, Mozart e così via verso il Gregoriano.
… Non possiamo ignorarli perché siamo loro figli, così come noi siamo “genitori” di coloro che ci seguiranno. Per quel che riguarda la musica d’avanguardia, essa è sempre esistita, basta leggere le cronache di ogni epoca (Berlioz, Wagner Debussy, Stravinskij, ecc), ma nessun grande musicista innovatore ha mai spezzato l’anello della catena del passato, semmai l’ha rinnovata, l’ha arricchita.

Bettinelli

F.B. Posso immaginare quanto abbiate parlato insieme di musica e quanto vi siate confrontati su tanti aspetti artistici. In che cosa, secondo te, possiamo considerare “moderna” la musica di Bettinelli? E quanto ha inciso tutta la sua esperienza didattica e d’insegnamento nella sua dedizione artistica compositiva?
S.B.B. L’esperienza didattica, così importante per noi studenti della sua classe, non penso abbia influito sulla sua arte compositiva, semmai il dialogare con noi, che appartenevamo ad altre generazioni, lo invitava a… osare di più.

F.B. Si è sempre distinta una riconoscibile personalità nella musica (certamente anche quella corale) di Bettinelli. Quali sono i segni distintivi nel suo modo di comporre, per affermare questo?Bettinelli
S.B.B. Bruno, aveva certamente trovato una sua chiara personalità compositiva – dopo essere stato anche lui “figlio di Ravel e Berg nei lavori giovanili…” – che lo rendevano e lo rendono senz’altro, facilmente riconoscibile. L’utilizzo della politonalità, del totale cromatico, dello sviluppo delle microcellule melodiche, la concitazione ritmica, il contrappunto sempre sotteso, sono le cifre del suo comporre, così assolutamente unico.

F.B. Ho letto e mi ha colpito molto in una presentazione di un concerto del 2013 in omaggio al maestro per il centenario della sua nascita, tenutosi alla Scuole Civiche di Milano, il riferimento a un profondo “umanesimo” di Bettinelli, sia per la sua consapevole e rispettosa memoria di un passato sia per la sua esperienza didattica. Cosa ne pensi di questa affermazione?
S.B.B. Nel 2013, con il FESTIVAL 5 GIORNATE ci fu una serie ciclopica di manifestazioni dedicate a Bruno cui parteciparono centinaia di artisti, tra cui “tre” cori! A conclusione di questa magnifica maratona, il Museo del 900 di Piazza Duomo a Milano, ospitò una tavola rotonda, cui parteciparono molti artisti, giornalisti, ex allievi. Farò il nome solo di tre personalità che intervennero quel giorno: Quirino Principe, Marcello Abbado, Giorgio Gaslini e l’Assessore alla Cultura del Comune di Milano che mi fece omaggio di una pergamena a ricordo delle manifestazioni. Si parlò senz’altro di ‘umanesimo’, perché Bruno credeva profondamente nell’Uomo, nelle sue potenzialità positive, malgrado tutte le brutture di cui l’uomo sa essere capace, purtroppo. Questa sua positività intellettuale è chiaramente presente in tutta la sua musica, anche nella più drammatica.

F.B. Sappiamo che insegnò composizione per molti anni al Conservatorio ‘G. Verdi’ di Milano, formando, tra l’altro, grandi musicisti italiani del secondo Novecento, come Claudio Abbado, Bruno Canino, Aldo Ceccato, Riccardo Chally, Riccardo Muti, Maurizio Pollini, Uto Ughi, per citarne alcuni. Anche tu stessa sei stata sua allieva. Com’era il suo rapporto con gli allievi? Qual è il tuo ricordo di come si poneva e di che cosa solitamente amava dire a loro? Ci racconti anche un aneddoto che ami sempre ricordare di lui nel suo insegnamento con i suoi allievi di Conservatorio?
S.B.B. Ciò che stupiva tutti noi studenti era la capacità di lettura immediata che aveva Bruno delle nostre partiture, anche quelle per grande orchestra, che erano ovviamente manoscritte. Non solo, ma quando correggeva, sapeva sempre rispettare la ‘personalità’ dell’allievo, praticamente riusciva a calarsi nella volontà compositiva di ciascuno di noi e a suggerirci come procedere nel lavoro, che era magari solamente abbozzato.
Le frasi che diceva più spesso: «Studiate, ascoltate tutta la musica, non perdete tempo, studiate le lingue straniere, andate a teatro, andate ai concerti, fate qualsiasi cosa sia legata all’arte, alla cultura, alla musica: i volta pagine, i rumoristi in teatro, i suggeritori, e soprattutto ricordate che non basta ‘comporre’, bisogna saper anche ‘eseguire’: dovete sapere cosa si prova in palcoscenico davanti al pubblico che giudica! Non dico che dobbiate diventare come Britten e Bernstein che sono grandi pianisti, grandi direttori, grandi Compositori, ma insomma… provateci!».
Come certo sai, caro Francesco, Bruno è stato anche pianista e direttore, ci sono video RAI che provano quanto fosse speciale anche in quello! Un giorno ci fece ridere con questa frase: ‘Per comporre servono carta da musica, gomma per cancellare e forse… forse, anche la matita!

F.B. Un’affermazione che spesso si fa nei confronti di Bettinelli è considerare la sua musica di carattere profondo ed esistenziale, in particolare quella corale. Questo lascia intendere un rapporto con la musica non soltanto tecnicamente e artisticamente fine a se stesso, ma un rapporto con l’Uomo e con tutti i suoi aspetti più profondi.
Tu hai avuto modo di vivere direttamente a contatto con lui. Com’era solito prepararsi e cosa faceva per approfondire, prima di scrivere le sue composizioni?
S.B.B. Credo che qualsiasi Artista degno di questo nome si comporti come dici tu. Tutto ciò che lo circonda e lo avvolge: la società, la vita politica, la sua anima di essere pensante, la profondità della sua coscienza, contribuiscono alla realizzazione di ogni forma creativa e per il Compositore, ovviamente, è la stessa cosa.
Per quel che riguardava il suo modus operandi, mi accorgevo quando aveva in cantiere qualcosa di nuovo perché Bruno diventava improvvisamente silenzioso, parlava pochissimo, lo stretto indispensabile. Io ovviamente non gli chiedevo nulla per non distrarlo. Vedevo che prendeva qualche appunto e poi, finalmente il nuovo lavoro si avviava. Ma in realtà il brano era già programmato nella sua interezza!

F.B. Guardando e analizzando le sue partiture, nella musica di Bettinelli c’è sempre un’alternanza di momenti di stasi, misteriosi, sognanti con momenti più tensivi e aggressivi, se pur sempre attentamente raffinati. Si riscontrano tantissimo gli elementi del silenzio e dell’attesa tra un evento sonoro e l’altro. Cosa lo spingeva a fare tutto questo?
S.B.B. Bruno temeva soprattutto ‘la noia’ in musica. Le varietà dei timbri, dell’agogica, degli impasti strumentali, delle stasi e delle tensioni erano una sua autentica necessità di espressione. «Ascoltate Beethoven, Brahms», diceva, «Loro vi inchiodano alla sedia fino all’ultimo accordo, senza mai stancarvi. Ascoltate il teatro di Puccini, anche lui sa bene come prendervi per la collottola, non si conosce noia con lui! Ascoltate come prepara le scene, sempre nuove, sempre diverse, ma sempre consequenziali a cellule musicali presentate all’inizio dell’opera, senza che ve ne siate accorti!»

F.B. Che cosa lo affascinava nello scrivere musica per coro? Le sue composizioni corali, sia sacre sia profane, non sono sempre di facile studio ed esecuzione da parte dei nostri cori italiani. La sua musica è sempre di alto profilo artistico. Richiede moltissima attenzione e competenza artistica, timbrica e vocale e allo stesso tempo anche tanta partecipazione espressiva, affettiva ed emotiva. Che rapporto aveva Bettinelli coi cori e col nostro movimento corale italiano?
S.B.B. La musica per Coro e il Coro stesso erano una sua passione costante. Ho trovato tra i suoi lavori di scuola molte esercitazioni: nello stile del Madrigale, nello stile della Canzona, nello stile del Mottetto, ecc, ecc.
E poi non va dimenticato che Bruno era un alpino! E si sa il Canto Corale e l’Arma degli Alpini vanno a braccetto! Era sempre felice di scrivere per Coro, sentiva profondamente l’aggregazione delle voci e il formarsi quasi miracoloso di un’anima musicalmente nuova, unica, speciale, quasi magica. Bruno era sempre in contatto con molti amici Direttori di Coro, ai quali dava sempre copia dei suoi lavori ancor prima che venissero stampati. Recentemente sono stati editi i madrigali che Bruno scrisse pochi mesi prima di venire a mancare. Si divertiva ad armonizzare le melodie popolari, o della tradizione alpina su richiesta del Coro della S.A.T. di Trento (era grande amico di Silvio Pedrotti) e A.N.A. di Milano.

F.B. Posso chiederti se sai a quale composizione corale lui era più affezionato e per quali ragioni?
S.B.B. Era molto affezionato alle sue due Cantate per Coro e Orchestra: ‘Sono una creatura’ su poesie di Ungaretti e ‘La terza cantata’ su un sonetto di Tommaso Campanella. Diceva che di fronte alla grandezza di questi due sommi poeti solo il Coro con i suoi infiniti mezzi espressivi, e non le voci solistiche, avrebbe potuto esaltare con completezza, la profondità dei significati ora lirici ora drammatici, di quei nobilissimi versi poetici.
Ma anche il ‘Dittico ambrosiano’, La ‘Missa Brevis’ e legiovanili ‘Tre espressioni madrigalistiche’ erano tra i lavori che ricordava con tenerezza e che sentiva ‘ben riuscite’.

F.B. Nel ringraziarti molto Silvia, per averci dedicato la tua disponibilità e le tue risposte sull’amatissimo maestro Bettinelli, ti chiedo se puoi lasciarci un ricordo di lui a conclusione di questo nostro colloquio.
S.B.B. Ti racconto un episodio che testimonia l’incredibile conoscenza che Bruno aveva della musica di tutti i tempi. Si era nel 1968, stavo preparando l’esame dell’ottavo anno di Pianoforte e il settimo di Composizione. Dopo una quindicina di giorni avrei iniziato la prima prova scritta di Composizione. Quel giorno portai a Bruno una Romanza senza Parole per pianoforte, che come sai, corrispondeva alla terza prova scritta, dopo la Fuga e il Doppio Coro. Bruno mi aveva dato un bel tema, vagamente ‘pizzettiano’, che mi piaceva moltissimo. Sapevo di aver fatto un buono sviluppo dell’idea principale e ne ero soddisfatta. Ma, prima della chiusa avevo inserito, perché ci stavano a meraviglia, tre accordi che avevo copiato dal finale della Fanciulla del west di Puccini e precisamente gli accordi che accompagnano Minnie mentre canta: ‘Le prime incerte lettere’.
Bruno legge tutto il mio lavoro, fa solo qualche piccola variazione qua e là, e, finalmente arrivato ai tre fatidici accordi li suona e si ferma, li risuona e si ferma… Attimi di panico da parte mia! Poi china la testa verso la tastiera e dice: «Caro Maestro Puccini che piacere averla nella mia classe!» Io sarei voluta scomparire all’istante, ma poi gli dico sorridendo: «Vero Maestro che funzionano questi tre accordi della Fanciulla del West?» Lui mi disse: «Si, funzionano, lasciali pure. Però, senti Bianchera, per la prossima lezione non portarmi La Traviata!» Il tutto seguito da una simpatica risata. Che dire? Impressionante conoscenza del repertorio musicale e grande senso dello humor!

Ringraziamo Silvia Bianchera Bettinelli per averci trasmesso e concesso tutte le foto, delle quali molte inedite.