Non si canta perché si è felici; si è felici perché si canta.
William James psicologo e filosofo

PREMESSA

Il coro si diverte: che significa?

È ovvio che tutti quelli che cantano si divertono. Potremmo definire il piacere che si prova nel cantare una sensazione ancestrale.

Jeremy Montagu, docente all’Università di Oxford, musicista ed esperto di strumenti musicali di tutto il mondo e di tutte le epoche, nel suo saggio “How music and instruments began”, afferma che il canto è nato prima della parola. Il canto è un potentissimo mezzo per trasmettere emozioni e creare legami. Infatti Montagu ipotizza “che la musica, creando tali legami, abbia favorito la nascita della società stessa, tenendo insieme individui che avrebbero invece potuto condurre vite solitarie”.

Gli effetti del canto interessano anche il sistema endocrino: la produzione di cortisolo, l’ormone dello stress, cala, mentre aumenta quella degli ormoni del benessere come ossitocina, serotonina, dopamina ed endorfine. (F. Tabella, Articolo pubblicato sul n.36 di Starbene in edicola dal 23/08/2016)

Potremmo affermare che “l’uomo non è solo individuo che pensa e parla. È anche creatura che canta. È questo lo scopo della sua conformazione fisico-psichica, tanto che cantare è per lui gesto naturale. Si potrebbe addirittura dire che il corpo umano può essere considerato un vero e proprio ‘strumento musicale’: bocca, corde vocali, polmoni, respiro… Ancor più che per suonare e danzare, l’uomo è fisiologicamente strutturato per cantare. L’uomo, dunque, pensa, parla e canta”. (Da: G. Liberto, Parola fatta canto, Città del Vaticano, 2008, pp. 27-28)

Sarà per questo che alle persone piace tanto cantare.

IL CORO AMATORIALE

I numeri della coralità amatoriale in Italia sono importanti: la Feniarco, Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali, conta 2800 cori iscritti e 150.000 tra cantori e collaboratori. Allora è interessante capire cosa cerca il cantore non professionista nell’attività corale. Cantare in coro è molto di più che un passatempo, perché richiede concentrazione, fatica, impegno, tempo. Ma evidentemente le gratificazioni sono maggiori, soprattutto dal punto di vista relazionale. Un coro infatti non è un insieme di voci ma di persone. Il primo ideale di un coro non è di tipo artistico ma umano e relazionale.

Significative le parole di Claudio Abbado: “In un coro ogni persona è sempre concentrata sulla relazione della propria voce con le altre. Imparare a cantare insieme significa imparare ad ascoltarsi l’un l’altro. Il coro quindi, come l’orchestra, è l’espressione più valida di ciò che sta alla base della società: la conoscenza e il rispetto del prossimo, attraverso l’ascolto reciproco e la generosità nel mettere le proprie risorse migliori a servizio degli altri”. Probabilmente è proprio questo che affascina e rende particolarmente “umanistico”, oltre che artistico, il cantare in coro. All’interno del coro i sentimenti sono vissuti intensamente e trasformati in musica. (Choraliter, Anno XV n. 43-gennaio-aprile 2014).

IL DIRETTORE DI CORO

La voce è l’unico strumento che portiamo dentro di noi e occuparsi del coro significa occuparsi prima di tutto di persone.

Il coro è una comunità e compito del Direttore è riuscire a cogliere le specifiche e spesso nascoste motivazioni individuali rispettandole e valorizzandole. Il coro è fatto di persone che mettono in campo la loro sensibilità al servizio di un progetto comune fatto di musica e sentimenti, quindi mi sembrano perfette le parole di Mario Lanaro che nel suo metodo “Esperienze corali” afferma: “Non si dirige il coro, ma l’energia che i cantori producono. Si dirige lo strumento coro dentro uno strumento più ampio: l’aria in cui il coro respira, vibra e vive”. E in questa aria respira, vibra e vive anche il Direttore.

IL REPERTORIO

Il tipo di repertorio che una compagine corale sceglie di cantare ha una importanza e una attrattiva pari al piacere di ritrovarsi insieme e di costruire un gruppo affiatato.

La prima domanda che un aspirante cantore fa quando si informa su un coro è: Cosa cantate?

I repertori musicali formano un oceano sterminato nel quale ognuno può pescare quello che più gli piace. E altrettante sono le tipologie di cori rispetto al repertorio scelto.

Ogni repertorio, con le sue caratteristiche stilistiche e tecniche, sviluppa delle specifiche abilità nel corista: non si può cantare nello stesso modo un madrigale del cinquecento e il tema di una colonna sonora. Quindi secondo me, per rispondere alle esigenze più generali di promozione della cultura e formazione personale che l’attività corale amatoriale porta in sé, un coro dovrebbe accostarsi ai generi musicali più diversi in modo da allargare i propri orizzonti e sviluppare tecniche sempre più efficaci.

IL CORO SI DIVERTE

Torniamo quindi al punto cruciale della mia disamina, “Il coro si diverte”.

Se, come abbiamo già detto, tutti quelli che cantano, o dirigono, si divertono dobbiamo capire cosa si intende per divertimento.

Assistendo ad una esibizione corale appare subito evidente la grande soddisfazione dei partecipanti, gli occhi attenti sul direttore e i sorrisi di complicità ci dicono molto; alla fine, la sfida con se stessi è stata vinta, la performance è stata soddisfacente, gli occhi brillano di orgoglio, lo spirito di gruppo si è rafforzato e quindi si può dire che tutti si sono divertiti.

A volte però direttore e coristi mantengono un atteggiamento di grande serietà, soprattutto davanti alle grandi pagine della letteratura musicale. È ovvio che ogni stile musicale necessita di un approccio diverso, non è lo stesso cantare un Requiem o una Villanella, ma molto spesso i coristi eseguono la musica ma non fanno musica, non sono dentro la musica, non sono musica.

Quello che a volte secondo me manca è proprio il lasciarsi andare alla musica, abbassare un po’ le difese, esprimersi senza troppe inibizioni. La scelta del mio repertorio va proprio in questa direzione: brani di diverso stile ed epoca che possano rispondere ad esigenze interpretative diversificate, da affrontare con creatività e fantasia.

Potrei dire che il mio motto è: prendere la musica molto sul serio senza prendersi troppo sul serio.

Tourdion – Anonimo XVI sec.

Il Tourdion è una Antica danza francese. Questo brano dalla struttura piuttosto semplice si presta ad   essere eseguito in vari modi e dà quindi l’opportunità di interpretarlo con fantasia e creatività.

Io ho scelto di eseguirlo come brano di apertura con il coro in movimento che entra in sala camminando a tempo su un accompagnamento ritmico a due parti di percussioni. L’accompagnamento ritmico serve a creare l’atmosfera medievale ed è eseguito da due cantori.

La caratteristica di questa interpretazione sta nell’aver modificato la struttura originaria delle entrate delle voci: anziché sovrapposizione delle voci che entrano una alla volta, la presentazione è subito polifonica ma con le voci che a turno cantano il testo mentre le altre vocalizzano l’armonia. Il testo gira più volte fino all’esecuzione completa di tutte le voci. Finalmente si canta il testo tutti insieme e nell’ultimo ritornello, che conclude pianissimo e sfumato, viene vocalizzata l’armonia senza melodia dei soprani.

 

Orazio Vecchi (1550-1605) So ben mi ch’a bon tempo

So ben mi chi ha bon tempo è una canzonetta a quattro voci  scritta dal modenese Orazio Vecchi, contenuta nella sua raccolta Selva di Varia Ricreazione del 1590.

Il testo poetico, condito con un intreccio musicale vivace e arguto a ritmo di balletto, contiene espressioni dialettali tipiche della parlata modenese e si articola in una lunga serie di massime e di proverbi popolari rivolti con fare scherzoso alla figura dell’eterno innamorato non ricambiato e contrapposto a chi invece «ha buon tempo», cioè a chi è assistito dalla buona sorte amorosa.

L’interpretazione è piuttosto semplice, giocata sul contrasto fra il testo e lo scherzoso “Fa la la”, reso più interessante dalla diversificazione delle dinamiche.

Richard Genée (1823-1895) – Insalata italiana (adatt. con pianoforte di Mario Lanaro)

Direttore d’orchestra e compositore viennese, in questo brano per soli e coro a quattro voci miste, qui presentato nell’adattamento con pianoforte di Mario Lanaro, Genèe ha realizzato  un curioso mix. Servendosi della terminologia italiana usata abitualmente in tutto il mondo nel linguaggio musicale e operistico in particolare, ha costruito una geniale e garbata parodia dell’opera, originalissima nel suo genere. Un intelligente omaggio all’opera italiana, che gioca con la terminologia riconoscendone l’efficacissima valenza espressiva, ma forse guardando anche con un sorriso all’enfasi e al protagonismo eccessivo dei cantanti. Il piacevole accompagnamento pianistico segue lo stile, riprende gli effetti ritmici senza sovrastare la parte canora anzi valorizzandola.

La realizzazione di questo brano richiede al coro di entrare nello spirito del pezzo, spiritoso e frizzante ma non sguaiato, senza forzare, interpretando con garbata teatralità le parti più enfatiche. Ciò si rende non solo con la voce ma anche con l’atteggiamento e la gestualità.

Rodgers/A. Amurri – The sound of music       

 (adatt. di Mario Lanaro di un arrangiamento di Clay Warnick)

The sound of music – Tutti insieme appassionatamente, nasce come musical dal romanzo  autobiografico di Maria von Trapp, per mano di Richard Rogers e Oscar Hammerstein nel 1959. Fu subito un successo a Broadway e nel 1965 divenne il film dall’omonimo titolo che ebbe uno strepitoso successo mondiale: candidato a dieci Oscar ne vinse cinque.

La chiave di questo successo sta in una storia commovente accompagnata da bellissime melodie che Clay Warnick ha poi arrangiato nella forma del Medley scegliendone alcune.

Mario Lanaro ne ha poi fatto un adattamento, aggiungendo la celebre Edelweiss che nell’arrangiamento di Warnick manca.

Rodgers presenta una felicità melodica con motivi di immediato impatto, sostenuti da armonie efficacissime che ci trasportano immediatamente oltreoceano nella patria del musical.

L’interpretazione quindi deve avere una vocalità morbida ed espressiva pur adattandosi ai cambi spesso repentini delle canzoni corrispondenti alle diverse parti della storia e riuscendo a coglierne lo spirito. Finale esplosivo in classico stile Broadway.

Savona/G.Cichellero/G.Giacobetti – Però mi vuole bene (adatt. di Mario Lanaro)

Il Quartetto Cetra è stato uno dei gruppi vocali italiani più interessanti, originali e longevi. A partire dagli anni ’40, in quasi quarant’anni di attività, sono passati dagli spettacoli dal vivo nei caffè concerto al teatro, alla radio e alla televisione, realizzando anche doppiaggi in film musicali.

Caratterizzati da notevoli capacità canore e da armonizzazioni e arrangiamenti accattivanti giocavano su una vena umoristica molto piacevole, apprezzatissima dal pubblico.

Il gruppo ha all’attivo un migliaio di canzoni molte delle quali scritte dalla coppia Giacobetti/Savona, come appunto Però mi vuole bene: garbatamente intrisa di black humor, racconta di una ingenua innamorata che non si accorge dei tentativi del fidanzato di “farla fuori”.

Gilda Parendella ( 1962-) –  E lasciatemi divertire      

Divertimento per coro misto e pianoforte

Aldo Palazzeschi, pseudonimo di Aldo Giurlani (Firenze 1885 – Roma 1974) è stato uno scrittore e poeta italiano, uno dei padri delle avanguardie storiche del novecento.

Scrittore dal temperamento focoso e ribelle, diventa ben presto un provocatore di professione.

La poesia E lasciatemi divertire fa parte della raccolta di poesie L’incendiario” pubblicata del 1910 e rappresenta uno scanzonato manifesto di poetica, fatta in tono scherzoso e provocatorio.

Versi brevi si susseguono con in sottofondo una divertita girandola di fonemi onomatopeici che costituiscono una specie di commento canoro e musicale in un ipotetico dialogo del poeta col  lettore. Lo scopo è il semplice divertimento del poeta che rivendica il suo diritto a scrivere in libertà.

Ho scelto di musicare questo testo proprio perché mi sembrava adatto al tema che ho scelto. Mi dava la possibilità di giocare con le parole e quindi creare un contesto musicale scherzoso e simpatico nel quale il coro potesse esprimersi con leggerezza. L’elaborazione è tutta giocata sul contrasto fra parlato e cantato. Nello sviluppo del tema l’aspetto scherzoso è mantenuto dalle ripetizioni delle parole, anche spezzate, delle parti interne, gioco che nella ripresa si fa più complesso per concludere con un cluster sulle cinque vocali. L’esecuzione deve rendere il senso scherzoso del testo sottolineando i contrasti fra il parlato e il cantato.

Estratto della tesi presentata per la prova finale del Diploma Accademico di I livello in Direzione di coro e composizione corale (triennio), conseguito presso il Conservatorio di Musica E.F. Dall’Abaco di Verona. Sessione autunnale dell’A.A. 2018-19, 5 ottobre 2019. Candidata: Gilda Parendella   Docente: Mario Lanaro