Criteri storici per stabilire la scelta dei tempi musicali nel Settecento

(PARTE PRIMA)

I direttori di coro e d’orchestra che si dedichino a musiche composte nel periodo che va all’incirca da Bach a Beethoven, incontrano spesso difficoltà non banali al momento di stabilire quale sia il tipo di battuta e di velocità stilisticamente più corretto. Come è opportuno comportarsi infatti, se Bach (o un suo contemporaneo) non giustappone alcuna indicazione verbale di tempo all’inizio di un pezzo? Cosa significano espressioni enigmatiche come “Tempo giusto” e “Tempo ordinario”? Qual’è la differenza fra un tempo ”grande” ed un tempo “piccolo”, o fra un tempo “barocco” ed un tempo “classico”? E soprattutto: esiste un “unico tempo autentico” per la musica del Settecento?

Nel corso di questo articolo verranno forniti ai lettori gli elementi necessari per trovare alcune risposte a questi problemi.

Cominciamo con un po’di storia. Sul finire del 18° secolo si assiste a due grandi crisi nel mondo occidentale: la Rivoluzione Francese da una parte e la Rivoluzione Industriale dall’altra. Le profonde mutazioni culturali e sociali seguite alla Rivoluzione Francese rovesciano le antiche tradizioni sotto molteplici punti di vista. La cultura europea viene sottoposta in più casi ad un’azione livellante. Nel nome dei principi di eguaglianza sociale si cerca di rendere la musica accessibile anche alle classi meno abbienti: vengono così creati “metodi” per insegnare l’arte di suonare i vari strumenti (soprattutto quelli più popolari), in cui modelli tecnico-meccanici ed esercizi specifici facilmente comprensibili vengono proposti ad un sempre più vasto pubblico di amatori. In favore di questo piano pedagogico (in sé lodevolmente volto alla diffusione di un bene culturale), molte delle più sottili tradizioni evolutesi nei secoli precedenti finiscono per essere trascurate ed in parte dimenticate. Dalla Rivoluzione Industriale, deriva invece un accentuato razionalismo sistematico: si pretende così di voler misurare lunghezze, volumi, pesi, gradazioni di calore, durate ecc. Per misurare esattamente anche il tempo della battuta musicale, nel 1815 il mechanicus di Corte JOHANN NEPOMUK MÄLZEL brevetta a Vienna lo strumento adatto a tale scopo: il metronomo. Questo meccanismo, che si diffonde velocemente nelle case borghesi, basa tuttavia la sua misurazione esclusivamente su quantità aritmetiche di battiti al minuto (e non su criteri musicali!). A partire da questo momento, l’idea di un tempo assoluto (e meccanico) nella musica si impone in modo sempre più definitivo ed imprescindibile[1]. Ancora oggi nella casa di ogni studente di musica non manca la – spesso mal tollerata – presenza di un metronomo. Per la scelta del tempo in musica ci si orienta “meccanicamente” sulla quantità di battiti al minuto riferita all’indicazione verbale presente all’inizio del pezzo. Così, secondo le iscrizioni stampate su ogni metronomo, un “Largo” avrà da 40 a 60, un “Larghetto” da 60 a 66, un ”Adagio” da 66 a 76, un “Andante” da 76 a 108 battiti al minuto ecc. Il tempo assoluto è valido per tutti allo stesso modo, sempre e dovunque. Ma come si erano orientati i musicisti prima dell’irrompere di quella serie di momenti “rivoluzionari” e livellanti?

         In un’epoca ancora non tecnicizzata (o “tecnico-fissata”) precedente all’era industriale, esisteva infatti una tradizione di regole, ovvero un sistema altamente raffinato, per definire “artigianalmente”, con l’uso della sensibilità e dell’intelligenza, il “giusto movimento” della musica, che non era – come nel caso del metronomo –  un “tempo assoluto”. Prima di entrare nel dettaglio, è opportuno familiarizzarsi con i principali  parametri e con la terminologia della prassi settecentesca.

  • In prima istanza si considerava il segno di battuta, il quale rivelava uno dei numerosi “tempi naturali”: questo primo passo definiva il “peso naturale” del pezzo.
  • In secondo luogo ci si basava sul valore minimo di rilievo, ossia sulla “classe di notazione” contenuta nel pezzo. Ponendo in relazione il limite di eseguibilità dei valori più rapidi con il segno di battuta (“tempo naturale”) si otteneva il “tempo giusto” (che non va confuso con un tempo moderato “standard”): “Dunque il tempo giusto viene dedotto dal tipo di battuta e dai valori massimi e minimi di un pezzo musicale”[2]
  • Solo alla fine si prendevano in esame le “diciture di tempo”, cioè quelle denominazioni aggiuntive che oggi vengono definite in modo inesatto come “indicazioni di tempo” (nella musica del ‘700 esistono anche casi, in cui un “Adagio” ha per necessità musicale una pulsazione più veloce di un “Allegro”)[3]. Le diciture di tempo (Largo, Adagio, Andante, Allegro, Presto) servivano a modificare i “tempo giusto” già definito da battuta + classe di notazione. Attenzione: l’opinione comune, secondo cui le diciture di tempo abbiano a definire più o meno il carattere di un pezzo, non è logicamente sostenibile (esistono infatti numerosissimi pezzi indicati come “Allegro” che per carattere e contenuto sono invece decisamente tragici o drammatici).

Si consideri che a questi tre parametri fondamentali (tipo di battuta, classe minima di valore, dicitura di tempo) si dovrebbero aggiungere altri elementi decisivi per la scelta del “giusto movimento”: il ritmo armonico, la struttura metrica del testo (musica vocale), l’articolazione (musica strumentale) e le particolari esigenze esecutive della sostanza musicale, lo stile (sacro, profano, teatrale), il luogo o l’ambiente dell’esecuzione, le dimensioni e la qualità tecnica dell’ensemble vocale/strumentale, la destinazione specifica del pezzo ecc.

Per realizzare questo articolo ho selezionato alcune fonti storiche di autorevolezza indiscussa. Desidero qui metterle a disposizione dell’interessato il quale – pur avendo interesse e passione – non ha la possibilità di individuarle o di leggerle in lingua originale. Pur concedendo il massimo spazio alla citazione dei documenti, ho inserito di mio pugno qualche commento esplicativo estremamente sintetico. Per il resto ho voluto lasciar parlare chi di dovere: gli antichi Maestri, dai quali noi, musicisti del 21° secolo, possiamo trarre grandi insegnamenti.

  • I segni di battuta e il loro “tempo naturale”

Facciamo un esempio: nel moderno sistema di “tempo” a noi tutti familiare, una battuta di 3/4 corrisponde al 75% di una battuta di 4/4 o al doppio di una battuta di 3/8. In caso di cambio di battuta, il tempo del valore musicale più breve rimane stabile per regola. Infine la velocità del pezzo viene oggi espressa esclusivamente da indicazioni verbali, metronomiche o – nella musica più recente – anche cronometriche. Contrariamente a tutto ciò, il complesso sistema di battuta del 18° secolo si basava sulle differenze “naturali” fra la rapidità e lo stile dell’esecuzione:

LEOPOLD MOZART 1756: “C, 2/4, 2/2, 3/1, 3/2, 3/4, 3/8, 6/4, 6/8, 12/8. Questi tipi di battuta sono sufficienti a indicare in qualche modo la differenza naturale tra una melodia lenta ed una veloce.”[4]

JOHANN PHILIPP KIRNBERGER / J.A.P. SCHULZ 1776: [il compositore] “deve aver sviluppato un giusto senso del movimento naturale di ogni segno di battuta, ossia del ‘tempo giusto’[…] Dei tipi di battuta che hanno lo stesso numero di pulsazioni, quello che ha suddivisioni più grandi o più lunghe avrà naturalmente più serietà di quello che ha pulsazioni più brevi: così il 4/4 è meno mosso del 4/8; il 3/2 è più pesante del 3/4 e questo non sarà mosso come il 3/8. Per musiche fastose e patetiche si adatta perfettamente l’‘Alla breve’: per ciò questo segno viene impiegato nei mottetti ed in altre composizioni solenni e sacre. Il grande 4/4 ha un andamento assai espressivo e serioso; si adatta a cori pieni di maestà, alle fughe nei pezzi sacri e in ogni caso, a musiche in cui si richieda sfarzo e serietà. Pesante e assai serio è il 3/2. Il [piccolo] 4/4 si presta meglio per un’espressività vivace, rinfrescante, che però abbia ancora un certo peso. Il 2/4 è pure vivace, ma ancor più pervaso di leggerezza, cosicchè possa venire impiegato in tipi di musica leggiadra e divertente. Il 4/8 è molto fuggevole e la sua vivacità non ha più nulla a che vedere con il peso del [piccolo] 4/4. Il carattere del 3/4 risulta soave e nobile, soprattutto se condotto da semiminime. Il 3/8 invece possiede un’allegria tale, che ha in sé qualcosa di spavaldo. […] Per ciò è necessario possedere una spiccata sensibilità per l’effetto di ogni segno di battuta, al fine di saper scegliere quelli più adatti all’intenzione espressiva desiderata”.[5]

Per comprendere più in profondità, leggiamo con grande attenzione quanto scrive ancora JOHANN PHILIPP KIRNBERGER:

“Per definire i tempi, sarebbero apparentemente necessari soltanto tre tipi di battuta, ossia una in due, una in tre ed una in quattro tempi. Alla luce di quanto già noto riguardo al tempo giusto ed al movimento naturale delle note più lunghe e più brevi, si comprenderà però che ad es. una battuta di due quarti ed una di due metà, così come una di tre quarti ed un‘altra di tre ottavi, nonostante presentino la stessa quantità di pulsazioni, esprimeranno diversi tipi di movimento” [ossia di “peso” metrico]. I tipi di battuta vengono suddivisi in pari e dispari; pari saranno quelle in due e in quattro tempi, dispari quelle in tre tempi […]. Inoltre si distingueranno i tipi di battuta semplici da quelli combinati: semplici sono quelle battute che costituiscono un solo piede metrico che non possa essere suddiviso nel mezzo; combinate sono quelle battute che, essendo costituite da doppie battute semplici, possono essere divise nel mezzo”.[6]

Riparleremo delle battute combinate nello schema più sotto riportato, nonché nella PARTE SECONDA dell’articolo, quando tratteremo il “Tempo ordinario classico”.

Rimaniamo per ora sull’argomento delle battute semplici. Suddividendo in terzine i tempi di ciascuna misura, hanno origine le battute in tempi “triplizzati” (oggi denominati comunemente “tempi composti”), in cui su ogni tempo cadono tre suddivisioni anziché due. Il peso naturale dei tempi triplizzati sarà corrispondente a quello del loro “generatore binario”. Nel seguente schema, i segni di battuta dei vari tempi naturali (con le loro corrispondenti “triplizzazioni”) sono disposti in ordine di categoria e di “peso” discendente. Per facilitare la comprensione, ad ogni tipo di battuta verrà giustapposto uno schema della corrispondente struttura metrica in simboli convenzionali (lungo pesante: =, lungo mediamente pesante: -, breve o leggero: ˅, leggerissimo ^). Dove necessario, è nominato inoltre un esempio musicale in nota a piè di pagina tratto dal repertorio oggi più noto.

Battute semplici di due tempi

  • 2/1 ossia ₵₵ (scritto ₵, assai pesante, 2 armonie per batt.)[7] triplizzato: 6/2[8]. Metro: | = – |
  • 2/2 ossia ₵ (pesante, ma veloce)[9]triplizzato: 6/4[10]. Metro: | = ˅ |
  • 2/4 (detto “piccolo allabreve”; alquanto più leggero del 2/2) – triplizzato: 6/8. Metro: | – ˅ |
  • 2/8 (non usato) – triplizzato: 6/16[11]. Metro: | ˅ ^ |

Battute semplici di quattro tempi 

  • 4/2 ossia CC (scritto ₵, 4 armonie per batt.)[12]triplizzato: 12/4 (non usato). Metro: | = – – – |
  • 4/4 ossia C (“tempo ordinario”) – triplizzato: 12/8. Metro: | = – – – | (“barocco”), | = ˅ = ˅ | (“vivaldiano”), | = ˅ – ^ | (“classico”)
  • 4/8 (scritto 2/4, leggero, ma in 4 tempi!) – triplizzato: 12/16[13]. Metro: | – ˅ ˅ ˅ | (“barocco”), | – ˅ – ˅ | (“classico”)

Battute semplici di tre tempi

  • 3/1 (vecchia proportio tripla, non più in uso) – triplizzato; 9/2 (teorizzato, ma non usato).
  • 3/2 (tempo della „hemiolia“) – triplizzato: 9/4 (raro, più pesante del 9/8). Metro: | = – – |
  • 3/4 (tempo naturale del Minuetto) – triplizzato: 9/8 (più leggero del 3/4!). Metro: | = ˅ ˅ | (“barocco”), | = – ˅ | (“classico”)
  • 3/8 (tempo naturale del „Passepied“) – triplizzato: 9/16 („Gigue“). Metro: | – ˅ ˅ |
  • 3/16 („leggerissimo“)[14]triplizzato: 9/32 (inesistente). Metro:| ˅ ^ ^ |

A queste battute semplici si aggiungono poi le battute combinate nominate più sopra, formate da coppie di battute semplici in due o in tre, di cui la prima sarà considerata ai fini metrici come “pesante” (o “lunga”) e la seconda come “leggera” (o “corta”).

Eccone lo schema:

Metro:            |  ==       ˅ |

  • 4/4 (C) (2/4   +  2/4)
  • 12/8 (6/8   +  6/8)
  • 12/16 (6/16 + 6/16)
  • 6/4 (3/4   +  3/4)
  • 6/8 (3/8   +  3/8)
  • 6/16 (3/16 + 3/16)

Si noti bene, che il “peso metrico” di ciascun tempo naturale non implica una differenza sostanziale di “velocità”, ma si riferisce specificamente ai diversi gradi di “gravità” o “leggerezza” di esecuzione. La velocità effettiva dipenderà dal rapporto con altri fattori, come il “valore minimo” di notazione e la “dicitura di tempo” (nonché da altri particolari inerenti lo stile della composizione, il luogo dell’esecuzione, le dimensioni e la qualità dell’ensemble ecc.; cfr. più sopra).

[1] Beethoven, mostratosi dapprincipio entusiasta dell’invenzione del metronomo, ebbe in seguito difficoltà nell’accordare la misurazione fisica con la natura musicale dei tempi classici. Nonostante le continue richieste di musicisti ed editori, il Maestro metronomizzò solamente il 6% ca. delle sue opere. Vedi anche: Peter Stadlen, Beethoven und das Metronom, in: Beethoven-Kolloquium 1977, Kassel 1978, pag. 57.

[2] Johann Philipp Kirnberger / Johann Abraham Peter Schulz, Die Kunst des reinen Satzes in der Musik. Vol. 2, 1776, pag. 106 segg.

[3] Si confronti il primo movimento (Allegro, 2/4) della sonata per pf. in Sib Magg. K281 con l’aria nr. 10 “O Isis und Osiris” (Adagio, 3/4)  dalla Zauberflöte di Mozart. Si constaterà senza ombra di dubbio, che la pulsazione naturale della semiminima sarà più scorrevole nell’Adagio dell’aria che non nell’Allegro della sonata.

[4] Leopold Mozart, Violinschule, 1756, pag. 28

[5] Joh. Phil. Kirnberger, Die Kunst des reinen Satzes, II, 1767, pag. 106, 133 e 136.

[6] Kirnberger, ibidem

[7] Johann Sebastian Bach, Messe, in h-Moll,  BWV 232, “Symbolum Nicaenum”: Credo in unum Deum.;

[8] Kirnberger afferma che Telemann nella sua musica sacra abbia impiegato addirittura la battuta di 6/1 (!)

[9] Georg Friedrich Händel, Messiah, HWV 56, Coro Nr. 22: “And with his stripes”

[10] Joseph Haydn, Missa Sancti Nicolai, Hob. XXII:6: Kyrie/Agnus dei

[11] Johann Seb. Bach, WTK II: Fuga XI

[12] Joh. Seb. Bach, Messe in h-Moll, Nr. 6: “Gratias agimus tibi”, Nr. 24 “Dona nobis pacem”

[13] Joh. Seb. Bach, WTK I: Prel. XIII, WTK II: Fuga IV, Prel. XXI; Goldberg-Variationen: Nr.. XI

[14] Georg Friedrich Händel, Suite in re min. HWV 437: Gigue, notata in periodi di quattro battute ciascuno.