Riflessioni sulla scrittura e l’esecuzione di un nuovo oratorio
a partire dai versi del Purgatorio dantesco


Nani sulle spalle dei giganti

L’idea di Eunoè è nata per un concorso di casualità. La prima, che tutti hanno sotto gli occhi, è la celebrazione del settecentenario della morte di Dante Alighieri. Silvia Biasini, il direttore del Coro Ecce Novum, aveva avanzato l’idea di “fare qualcosa su Dante”. E io avevo da subito pensato che non ero a conoscenza di grandi opere che mettessero in musica le terzine della Commedia: c’è già troppa musica, troppo ritmo, troppa intensità, per poter aggiungere qualcosa cantandole. Forse musicarle è un rischio simile a quello che corre il regista che decide di trasporre sullo schermo Thomas Mann o Dostoevskij (anche se qualcuno ci è pure riuscito, e con entrambi) … Ma il bello è che quel rischio, per l’occasione, lo dovevamo correre noi, non eseguendo una qualche opera su Dante, ma pensandone e scrivendone una nuova di zecca.
Parlavo di casualità: le altre che hanno reso perlomeno possibile pensare a un lavoro tanto ambizioso erano tutte all’interno del Coro Ecce Novum. Innanzitutto, tra i tenori c’ero io, che ho passato qualche anno nelle scuole a leggere e spiegare le parole di Dante ai cosiddetti teenager – oltre a essere un appassionato da lunga data. Ma soprattutto era entrato da poco nel coro Stefano, un basso che viene da Trento e studiava composizione al conservatorio di Cesena (ora è al G. Verdi di Milano). Una persona che conoscesse le parole e una che conoscesse le note: Silvia non ha avuto dubbi. In più c’era il coro stesso, carico di entusiasmo e orgoglio dantesco – soprattutto i coristi ravennati! – alla sola idea di cantare quei famosi endecasillabi.

Fin da subito l’idea è stata quella di “Dante ma non solo”, forse anche per scansare almeno in parte i rischi di cui parlavo prima, derivanti da un confronto frontale. Volevamo riallacciare Dante con altri autori e altri tempi, più vicini a noi. La prima cosa che abbiamo definito è stato un momento particolare della Divina Commedia: l’arrivo di Dante nel Paradiso Terrestre, che si trova sulla cima del Purgatorio, quindi nei canti finali della seconda cantica. È un momento ricco di avvenimenti, dialoghi, ricordi. Virgilio svanisce e compare Beatrice (ricordo che è uno spirito, e Dante, che invece è vivo e vegeto, non la vede da dieci anni) che dovrà preparare il poeta a salire al Paradiso, compiendo una sorta di rito di passaggio.
In questi canti c’è tanto altro: grifoni, alberi squarciati da aquile in caduta libera, vecchietti con la barba candida, un gigante e una puttana (parole di Dante, beninteso). È una grande processione allegorica che delinea la storia e il futuro della Chiesa. Mi sembrava decisamente troppo, quindi ho deciso di concentrarmi solo sulla storia personale di Dante e su tre personaggi: Dante, Virgilio, Beatrice. In questo modo, come se stessi lavorando a una riduzione teatrale, ho privilegiato i tanti versi in cui i personaggi dialogano; ho ridotto e tagliato le descrizioni che Dante fa dall’esterno.
La “trama” e le parole, così, sono prese tutte dal sacco di Dante. Su questa struttura si sono poi innestate altre voci, antiche e moderne: le parole di Dante richiamavano altre parole. Talvolta il richiamo era ovvio, perché Dante stesso parla dei canti degli angeli e ne scrive le parole in latino, che derivano spesso dai Salmi, o dalla Liturgia. Le parole sono solo accennate però, perché i lettori medievali potevano più facilmente di noi ricordarsi delle parole seguenti e immaginarsi un canto sacro, come quelli che si sentivano nelle chiese. In questo caso ho semplicemente ricostruito il testo a partire dalla Vulgata (la Bibbia in latino), immaginando che quegli angeli erano già un coro.
Altre volte invece i richiami erano più personali e più stridenti: Dante rievocava parole di libri che andavo leggendo in quel periodo, perlopiù romanzi, ma anche alcuni versi di poeti più vicini a noi che resistevano nella mia memoria. Mi sono venute in mente le parole di Philip Roth che parla di un’ossessione erotica di cui non ci si può liberare; mi è venuto in mente Jake che guarda il viso di Brett, di notte, in un taxi, in un romanzo di Hemingway. Esempi contemporanei di amori che sono tanto grandi da atterrire, come Beatrice atterrisce Dante con domande sul suo passato, sui suoi peccati.
Prima di poter salire al Paradiso Dante deve immergersi in due fiumi, il Letè e l’Eunoè, che cancellano il dolore dei peccati commessi e ravvivano la memoria del bene fatto. Questo valore sacro e magico dell’acqua mi ha invece richiamato altre acque, come quelle minacciose nei romanzi di Conrad; e anche la siccità sterile della Terra desolata di T.S. Eliot (If there were water…). Così spesso le parole del Novecento dicevano cose che si opponevano a quelle di Dante: non c’è acqua, allora la vita non può rinascere.
Anche per questo abbiamo deciso di usare più lingue, in modo da creare un attrito tra diverse sonorità e diversi mondi: il latino, l’italiano del Trecento, l’italiano contemporaneo, l’inglese. Infine, le parole di Dante richiamavano altre parole di Dante: solo pensando alla parola “amor” si riaccendono i ricordi di passi dell’Inferno, del Purgatorio, del Paradiso: l’amore tragico di Paolo e Francesca, l’antico amor per Beatrice, e l’amor che move il sole e l’altre stelle che chiude il poema…
Tutto questo materiale è entrato in relazione con il testo dantesco di partenza in modi diversi. Ci sono interi passi di altre opere che sospendono gli avvenimenti del Paradiso Terrestre; reminiscenze che si nascondono tra le parole di Dante, come quelle bibliche di cui ho parlato, o quelle virgiliane. Infine, nei passi emotivamente più intensi, quelli che ci sembravano cruciali, tutte le parole, le lingue, gli scrittori, si sono per così dire mescolati formando delle nuove poesie, fatte di schegge e frammenti di altre poesie.
Sono anche i passaggi dove Stefano Dalfovo ha deciso di non musicare le parole ma creare una musica per accompagnare le parole, che devono risuonare semplicemente come se fossero lette – o urlate – da tre “voci”. Uso questo termine perché difficilmente coloro che leggono potrebbero essere definiti attori: non interpretano un personaggio definito e non è importante vedere il loro corpo. Effettivamente durante le prime esecuzioni non tutti hanno capito chi fosse a parlare, sebbene nessuna delle voci fossa nascosta. Mi piace pensare che l’ascoltatore possa così trovarsi in una situazione simile a quella di Dante, pellegrino dei tre mondi, che si trova costretto a chiedere a Virgilio: maestro, che è quel ch’i’ odo? E tante volte quei suoni sono voci senza faccia: estranee, misteriose, non identificabili.