Articolo tratto dalla tesi di laurea “So dove nasce la voglia di cantare. Analisi dell’evoluzione del linguaggio musicale nel canto corale ad ispirazione popolare” di Manuel Rigamonti

Gianni Malatesta è impegnato nel mondo musicale e corale da sempre. Nato nel 1926 a Badia Polesine (RO), nel 1949 ha assunto la funzione di istruttore del Coro C.A.I. di Padova, fino al momento in cui, nel 1958, crea il “suo” coro: il “Tre Pini” di Padova. Ed è con questo coro che Malatesta esprime tutto il suo potenziale musicale di armonizzatore ed elaboratore (di melodie popolari e di canzoni di musica leggera) oltre che compositore originale. Siamo dunque in presenza di una figura poliedrica. Arturo Benedetti Michelangeli, Armando Corso e Paolo Bon sono degli eccellenti armonizzatori di melodie appartenenti al patrimonio popolare e hanno svolto un’attività contrapposta o complementare a quella di De Marzi, Maiero e Buggiani in qualità di compositori. Malatesta si pone nel mezzo: la sua immensa produzione conta diverse centinaia di brani suddivisi in armonizzazioni e composizioni originali. Può essere utile citare il pensiero di Bregani: Nel lavoro di Malatesta possiamo distinguere quattro periodi ben distinti e riconoscibili. Il primo, quello legato alle serene armonie impareggiabili di “A planc cale il soreli” o alle preziosità di “Les plaisirs sont doux”, che hanno fatto testo. Il secondo, con una ricerca più attenta del completamento del discorso armonico-stilistico al di là della spesso contratta frase originale musicale che il tema gli concede. È il caso, ad esempio, di “E à sunât” o di “Il cacciator del bosco”, o della possente, eccezionale “Bella ciao”. C’è la terza maniera di Malatesta, con la composizione di molti brani nuovi, suoi, personalissimi, per i quali il testo che egli stesso confeziona, altro non è che un pretesto, una indicazione un suggerimento per comprendere, se ce n’è bisogno, il “perché” della composizione. […]. Il tutto è legato, pensato, voluto per coro, per quello strumento duttile e perfetto che è il Coro. Da “Sulla cima”, ad “Elegia per Toni” a “Vedo tant’acqua” e così via dicono dell’assunto musicale che Malatesta fa di queste5 composizioni, non certamente tese a ricalcare (come il De Marzi, ad esempio) il cosiddetto gusto popolaresco, […] nascondere, cioè, sotto una pretesa “connessione” con l’animo popolare il desiderio di legare il proprio nome a composizioni ricche di fantasia, di estro, di notevole elaborazione, solo per la paura che, svincolandole dal contesto “popolare”, esse possano essere criticate e considerate poca cosa. Malatesta non opera in questo senso, ma affronta decisamente il giudizio spesso poco benevolo di che non lo ha assolutamente compreso (o non vuole comprenderlo, riconoscendone però involontariamente la grandezza). Una descrizione molto interessante e dettagliata che ci permette di capire come Malatesta rappresenti una figura diversa. Cerchiamo dunque di seguire la traccia lasciata da Bregani per scoprire, attraverso l’analisi di alcuni brani, quali sono i tratti distintivi del linguaggio di Malatesta: l’uso ricercato delle armonie, l’ampliamento della tavolozza sonora del coro maschile attraverso l’uso di effetti che imitano gli strumenti, l’allargamento dell’estensione delle voci. Serene armonie Cosa intende esattamente Bregani con il termine “serene armonie”? Analizzando “A planc cale il soreli” la cui melodia originale è originaria del Friuli, scopriamo una struttura strofica semplice basata su due quartine di settenari, mentre la terza strofa è richiesta dall’autore “a bocca chiusa”. Ecco il testo con la relativa traduzione: I. A planc cale il soreli daur d’un alte monti, ne grande pâs a regne che par un sun profont II. e lis piorutis mangin jerbutis che son là. I. Lentamente cala il sole dietro un alto monte : regna una grande pace che sembra un sonno profondo II. e le pecore brucano l’erba che sta là. Il to pinsir, o biele, Il tuo pensiero, o bella, Cui sa là c’al sarà. Chissà mai dove sarà ! Ecco come Malatesta rende l’atmosfera dolce e molto “serale” del brano.

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Le prime quattro battute iniziano con una triade di dominante in posizione di primo rivolto che conferisce una certa leggerezza al suono che viene gradualmente abbandonata grazie alla discesa di una decima del basso e il conseguente allargamento dell’armonia e della sonorità. Il conseguente (batt. 5 – 15) non conclude subito il discorso ma trova uno sviluppo un po’ più ampio e, passando attraverso la fermata sul II e sul V grado (tonicizzato), torna alla tonica proponendo una sonorità corale ancora più ampia. Nel contempo possiamo osservare anche l’andamento melodico dei tenori I, a cui è affidata la melodia originale, si sviluppa, nell’ambito di un’estensione di un’ottava creando due brevi arcate melodiche (batt. 5-8 e batt. 9-15) caratterizzate, in entrambe le occasioni, da un’anabasi e una catabasi. Se analizziamo gli accordi derivati dall’armonizzazione, possiamo notare che le dissonanze presenti sono di passaggio (batt. 3, 10), oppure preparate (nel caso dei ritardi di batt. 7, 11 e delle settime secondarie di batt. 13 e 14). L’unico accordo che non presenta i canoni dell’armonia “accademica” è quello sull’ultimo quarto di battuta 5 che può, in realtà, essere vista come il risultato della conduzione delle singole voci. Una melodia popolare estremamente semplice, quasi disarmante, è resa viva dalla ricerca puntigliosa delle possibilità armoniche offerte. La scelta, infine, dell’effetto “a bocca chiusa” conferisce ancora maggiore potenza espressiva all’atmosfera creata dal testo letterario. Restando in territorio friulano, andiamo ora a vedere un’altra melodia popolare armonizzata da Malatesta: “Al cjante il gial”. Anche in questa composizione è presente l’indicazione di eseguire a bocca chiusa le prime otto battute della seconda strofa. La ricorrenza di questo elemento è indice di un modus componendi di Gianni Malatesta che va ricercare “l’effetto” di una sonoritàparticolare, peraltro spesso utilizzata nella musica ad spirazione popolare. Ricordiamo anche che il Tre Pini è un coro piuttosto numeroso e quindi l’effetto “a bocca chiusa”, se ben gestito dal maestro, diventa davvero una delle sfumature più interessanti all’interno della tavolozza sonora del coro maschile. Se nel brano precedente questo effetto creava “l’atmosfera serale”, in questa armonizzazione assume un altro significato: il testo racconta, nella prima strofa, che il protagonista, allo spuntare del giorno e al canto del gallo, dovrà partire. In una delle versioni della melodia popolare si può trovare anche una seconda strofa: ”Ciao amore mio, non piangere. Ciao cara, devo partire”. La parte più triste potrebbe essere stata dunque “nascosta” da Malatesta con l’indicazione “bocca chiusa”: una scelta compositiva interessante – probabilmente Malatesta è a conoscenza di questa seconda strofa – che va a modificare in qualche modo la storia raccontata dal canto. Non è infatti consueto trovare il taglio netto di un’intera strofa, soprattutto quando un canto è costituito da due sole strofe. È interessante notare, ancora una volta, come Malatesta costruisca la sua forma in maniera molto oculata. Dapprima cerca le varie possibilità di armonizzare l’inciso che caratterizza il brano (batt. 1-2). La prima proposta è dunque di mantenere fermo il basso, interzare ten. I e II e far scendere i baritoni. La seconda, a ridosso della prima (batt. 3-4), si presenta quasi identica. Sottoliniamo il “quasi” perché i baritoni, sull’ultima nota risalgono conferendo così un colore leggermente differente. Varietà nell’unità, potremmo affermare. Ma proseguiamo. Alla misura 9 l’inciso ritorna con una sonorità ancora diversa creata dall’unisono, sul si bemolle ribattuto, di bassi (spostati quindi all’ottava superiore) e baritoni . Nella quarta proposta (batt. 11-12) Malatesta, per la prima volta, armonizza le quattro note della melodia muovendo il basso che passa attraverso il I, il VI e il IV grado. Nella penultima battuta troviamo un piccolo esempio di un’ armonizzazione interessante basata su accordi perfetti maggiori o minori: su un pedale di dominante del basso, i ten. I e II interzano (come hanno fatto per tutto il brano) mentre i baritoni procedono per moto retto con i tenori creando una successione di accordi di 6. Attraverso mezzi molto semplici si raggiunge un risultato non privo di fascino.

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Torniamo ora alla citazione dalla quale siamo partiti e prendiamo in esame “Les plaisirs sont doux”. Bregani parla di “preziosità”. Vediamo dunque che cosa intende con questo termine. Il brano è costituito da tre strofe. La prima e la seconda descrivono la situazione in cui si trova l’innamorato di fronte alla bella (“… io sospiro in ginocchio, brucio d’amore per voi, …). La prima strofa finisce con “Les plaisirs sont doux, demoiselle, d’être près de vous!”, frase che andrà a concludere anche la terza strofa. Si tratta di una sorta di ritornello che fa da cornice all’intero brano e che funge tanto da elemento strutturante quanto da punto di riferimento per l’ascoltatore. Il lavoro compositivo, che ricerca un linguaggio musicale raffinato e molto espressivo, è evidente. Nelle prime quattro battute i bassi “fanno gioco a sé”: mentre tenori I, II e baritoni si muovono omoritmicamente, i bassi, entrano alla seconda battuta creano un contrappunto all’incipit delle altre tre voci con un arpeggio di settima in cui la nota la imprime uno slancio espressivo e romantico a tutta la frase che segue. I bassi, pur uniformandosi a livello di testo alle altre voci, proseguono con un andamento melodico, più mosso rispetto alle altre voci, mantenendo viva la frase e alto l’interesse espressivo. Malatesta prosegue con un appena più mosso sospendendo il coro in una sonorità quasi eterea (batt. 6-7) in cui tutte le voci si trovano nel loro registro medio-acuto (in pp) e sono sorrette dal pedale di tonica dei bassi, grazie ai quali si vengono a formare risultati armonici suggestivi e paragonabili a quelli che possiamo incontrare, ad esempio, nei Volkslieder di compositori romantici come Mendelssohn e Brahms. Il resto della strofa si caratterizza per un maggior movimento generale delle voci. Possiamo, a questo punto, asserire che Malatesta è un fine ricercatore di armonie, serene, e raffinate. Proseguiamo l’indagine sempre prendendo spunto da Bregani e passiamo alla seconda fase creativa di Malatesta, quella che trova la manifestazione più interessante in brani come “E à sunât”, “Il cacciator del bosco” o anche “Bella ciao”. Apriamo però, prima di proseguire, una breve parentesi sul concetto di armonizzazione ed elaborazione. Malatesta ci dà infatti la possibilità di riflettere sul valore musicale che possono avere l’uno e l’altro modo di procedere partendo da una melodia popolare. Con Arturo Benedetti Michelangeli e Malatesta abbiamo avuto la possibilità di “gustare” la ricerca delle possibilità armoniche, contrappuntistiche e musicali offerte dalle melodie popolari lasciate, però, intatte nella loro struttura, molto spesso strofica. Non abbiamo ancora incontrato delle vere e proprie elaborazioni, composizioni, cioè, che prendono spunto da un “oggetto” musicale popolare che si trasforma, grazie al genio del compositore, in un brano strutturalmente diverso in cui i procedimenti compositivi vanno oltre e fanno nascere, in buona sostanza, una composizione originale. Prendiamo, dunque, in esame il canto popolare di origine friulana, il cui testo recita: E à sunât une di géspui, al à dât il ultim bot. Jo su doi la buine sere, jo su doi la buine gnot. Ho suonato la prima di vespero, e si è udito l’ultimo tocco. Io ti do la buona sera, Io ti do la buona notte. Ad un primo sguardo della partitura di “E à sunât” cogliamo subito la presenza di un lavoro diverso da quelli finora esaminati, nei quali non abbiamo trovato né un ampliamento o un’elaborazione maggiore della struttura né una ricerca armonica che possa portare anche alla modifica della melodia. All’inizio di questa elaborazione Malatesta crea l’atmosfera facendo imitare al coro il suono delle campane. Il procedimento, che potrebbe risultare anche banale e stucchevole se mal condotto, è basato su una quinta giusta che lascia trasparire un “sapore” modale lasciando qualche dubbio sulla tonalità d’impianto. L’incertezza del modo viene fugata solo a battuta 6 con l’introduzione della melodia originale innestata sull’eco delle campane. Alla fine delle quattro battute di esposizione si sente l’ultimo rintocco (tenuto più lungo dalla corona). Il conseguente della frase (batt. 9 – 12) propone una sonorità sospesa e sorretta da un pedale di tonica (per due battute e mezza) affidato ai bassi che proseguono “disegnando” una linea per grado congiunto sostanzialmente discendente. Le battute successive a questa prima frase presentano un breve procedimento di carattere imitativo in cui ai tenori rispondono le voci più gravi generando un effetto di eco. Alla misura 18, dopo un momento di sonorità corale piena che riporta tenori II, baritoni e bassi sulle note iniziali, avviene il primo cambio di scena, un’elaborazione del materiale musicale che presenta aspetti molto interessanti. Da una parte, sul pedale di tonica (si bemolle) la melodia viene ripresa una terza minore sopra con il cambio di modo (confermato anche dal cambio di armatura in chiave). La tonalità di si bemolle minore, in realtà, sembra non confermarsi mai dato che la prima frase finisce in re bemolle maggiore batt.21), la seconda termina (batt. 25) su una cadenza d’inganno e l’ultima si conclude senza la terza (batt. 29) sul bicordo iniziale (occorre tuttavia notare la presenza di un re bemolle nella battuta precedente). La successiva elaborazione del materiale risulta molto interessante grazie alla creazione di un rapporto tensiodistensionale costruito sull’anabasi e sulla conseguente catabasi della sonorità corale, spinta verso l’estremo (batt. 25-26) e riportata alla

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distensione vocale (batt. 29) grazie alla continua “spinta in avanti” del discorso armonico che trova il suo punto di arrivo dopo dodici battute. Malatesta termina la sua elaborazione con una sorta di ripresa creando così una forma speculare in cui inserisce la prima frase del canto popolare (batt. 30-36) finendo con la sonorità delle campane nelle ultime cinque battute sopra un’armonia ben più elaborata dell’inizio: armonie basate sull’utilizzo di quarte che ricreano una sonorità sospesa adatta ad esprimere la buona notte augurata nel testo. La partitura, come abbiamo visto, esplicita molto bene il concetto di elaborazione. Inizialmente l’autore imita il suono delle campane creando una sonorità particolare e nello stesso tempo aggiunge una sezione assente nella melodia originale. La parte in minore – altra scelta compositiva di Malatesta – sarebbe stata impensabile nell’ambito di una “semplice” armonizzazione. Composizioni originali Malatesta non è però solo armonizzatore o elaboratore di melodie popolari. Nel suo vasto repertorio troviamo, infatti, anche una quantità importante di composizioni originali di cui è autore di testo e di musica. Il linguaggio musicale del compositore padovano, come abbiamo visto analizzando le sue elaborazioni, pur restando – per usare le parole di Bregani – in un ambito di “armonie serene”, presenta qualità di raffinatezza e ricercatezza armonica non indifferenti. Pur non essendo né temporalmente né geograficamente lontano dal coro della S.A.T e da De Marzi, Malatesta propone nelle sue armonizzazioni e composizioni originali combinazioni di accordi che appartengono ad un linguaggio colto di fine Ottocento. Si discosta, dunque, in maniera più o meno marcata, da un linguaggio che potremmo definire semplicemente “popolare”. Possiamo incontrare, infatti, nelle composizioni originali brani che presentano passaggi dissonanti, la – già vista – estremizzazione dell’estensione vocale, contrasti sonori e di “sound color”, passaggi vocalizzati di non facile esecuzione. Vediamo alcuni esempi. Il canto “Oh montagne”, che ha funto da sigla del Tre Pini per diverso tempo, presenta una struttura tripartita A-B-A e ripropone alcune delle caratteristiche compositive già esaminate. Il primo periodo è composto su un modello simile a quello dei corali bachiani: una melodia molto semplice sapientemente armonizzata a quattro voci. La seconda parte (più mosso) è caratterizzata da una sonorità quasi orchestrale: il pedale di tonica dei bassi rimanda alla sonorità di contrabbassi e violoncelli, la parte dei baritoni imita il pizzicato delle viole mentre le parti superiori evocano una distesa melodia suonata con l’arco da violini I e II. La contrapposizione di due sonorità così diverse ci rimanda a quanto affermato precedentemente a proposito dei contrasti e anche in questo caso non avviene mai un vero e proprio distacco dalla tonalità d’impianto. Nel brano “Perché tu vai cantando”, scopriamo un nuovo interessante aspetto della poliedrica personalità di Malatesta: un’armonia quasi jazzistica da cui emerge la chiara volontà di ricerca armonica che, come descritto anche in alcune pagine a lui dedicate all’interno della pubblicazione per i 50 anni del coro, nascono dal “rapporto con l’amato pianoforte”. Questa interessante affermazione ci porta a riflettere sulle modalità utilizzate da Malatesta per comporre musica corale: in che modo l’orchestrazione corale deriva direttamente dalla sonorità del pianoforte? Probabilmente in modo quasi inscindibile. Le sue partiture, prima di tutto, sono facilmente realizzabili sulla tastiera ma quello che colpisce maggiormente è la raffinatezza delle armonie, che se da un lato suonano molto bene al pianoforte, dall’altro rendono altrettanto bene l’effetto con il coro maschile. Malatesta non si limita ad utilizzare accordi perfetti e consonanti ma si spinge oltre: fanno parte del suo “bagaglio compositivo” parecchie settime, none, accordi maggiori e minori con l’aggiunta della sesta o di ritardi semplici e doppi. Il passaggio dunque dal pianoforte al coro maschile risulta essere per Malatesta molto naturale e da questa considerazione possiamo ritenere di aver acquisito un’importante lezione di composizione. Il canto “Era una scintilla” ci fornisce un altro interessante episodio da esaminare. L’immagine del breve istante di luce è ricreata musicalmente con una serie di quattro accordi ripetuti ognuno per quattro battute con ritmo incalzante e concitato sul testo del titolo. La serie si apre con una quinta vuota che lascia presupporre un’armonia di la minore, passa attraverso due accordi di settimana di quarta specie per poi giungere su un accordo di nona: Il passaggio, non sola mostra ancora una volta le caratteristiche tipiche del linguaggio malatestiano, ma ripropone il desiderio di portare all’estremo le voci chiedendo ai tenori I e II di cantare addirittura in f e ff ai limiti dei rispettivi registri vocali.1 11 Da questi seppur pochi spunti analitici, Gianni Malatesta si presenta come un elaboratore e un compositore molto interessante: sa lavorare sui contrasti (di orchestrazione vocale, di dinamica, di tonalità, …), sa gestire molto bene le tensioni create dalle sue armonie, a volte anche molto raffinate e ricercate, ed è in grado di creare strutture formali atte a soddisfare le attese del pubblico e dei cori grazie alla loro semplicità unita alla cura del dettaglio. Tuttavia l’aspetto che più colpisce chi analizza il repertorio del Tre Pini è la modernità delle armonie. Con questo termine non vogliamo indicare un modo di procedere che va aldilà della tonalità e si spinge verso i linguaggi che hanno caratterizzato il Novecento. Sicuramente Malatesta utilizza accordi ben più elaborati rispetto a quelli proposti da De Marzi o da Armando Corso: i frequenti intervalli di sesta, settima e nona “aggiunti” agli accordi, fanno davvero guardare avanti verso un linguaggio della musica corale ad ispirazione popolare che prende spunto dalle armonie di fine Ottocento e inizio Novecento, dal jazz, e che portano l’autore padovano a trascrivere anche parecchie canzoni americane – di cui non ci occupiamo in questo lavoro – che lo hanno portato anche in diverse tournées con il coro in Australia e negli Stati Uniti alla fine degli anni ’70. Per eseguire le partiture di Malatesta bisogna avere a disposizioni un coro molto versatile, in grado di portare le voci nei registri estremi, molto sicuro della propria intonazione e dei propri equilibri sonori. Siamo di fronte ad una delle nuove vie del canto corale ad ispirazione popolare tanto voluta e di cui si è tanto discusso durante il simposio di Cortina? Forse sì. Malatesta è un compositore che ha osato guardare avanti, oltre il linguaggio “immediato” e che ha tentato vie originali con l’intento di portare il coro maschile verso nuovi orizzonti.

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