COGLIERE DAL PASSATO UNA LEZIONE PER IL FUTURO

“Solo da pochi decenni, scriveva Giorgio Vacchi fondatore del Coro Stelutis nel suo volume “Canti Emiliani e non”, si è cominciato a parlare di cultura popolare e chiedersi che tipo di cultura fosse”. Certamente era facile attenersi al fatto che, sino ad allora, ciò che era definito “cultura” derivasse solo da quanto era giunto sino a noi dalle diversificate scritture, incise o riportate in altri modi su supporti di varia natura, per trasmettere storie, eventi, pensieri, emersi dalle varie civiltà che si sono succedute.

Non si era perciò mai preso coscienza che accanto ad una cultura scritta, poteva esisterne un’altra derivante dalla sola tradizione orale: cose tramandate e raccontate da nonni a nipoti, come racconti di vita, mestieri, metafore di moralità che, pur non avendo la trascrizione del colto, esprimevano enormi valori culturali, che meritavano dignità e dovevano essere salvati da sicuro oblio. Dimenticare definitivamente tutto ciò sarebbe stato come sotterrare biblioteche e perdere la conoscenza di quelle testimonianze che erano alla base della crescita di ogni grande o piccola comunità umana.

Il Maestro Vacchi iniziò da qui il percorso che, attraverso quanto pervenuto a noi dalla tradizione orale, permise di recuperare le identità di una cultura dimenticata, contenuta nei canti della gente. Si, iniziò questo lavoro “ricominciando proprio dal cuore”, intervistando centinaia di anziani e meno anziani che però ancora avevano vivo il ricordo di quel patrimonio che era giusto non dovesse essere obliterato, ricco come era di profonde verità e di grandi insegnamenti morali.

Crediamo fermamente che questo lavoro abbia avuto una valenza assai simile a quanti si dedicano al recupero di antichi manoscritti musicali, dimenticati a volte in vetuste biblioteche o a coloro che, dopo immani catastrofi, quali i terremoti, traggono dalle macerie anche il più piccolo frammento di opere d’arte distrutte, perdute le quali si depauperizzano  i luoghi di una parte rilevante delle loro storia artistica e culturale.

Ma l’etno-musicologo Giorgio Vacchi era anche un ispirato musicista e volle evitare che quelle risorse storico-musicali, frutto delle ricerca, rimanessero così come sono, marginali, poco visibili e socialmente improduttive; dunque destinate a essere freddamente archiviate in nastri o CD. Egli, unitamente a molti altri ricercatori e musicisti, tese a traghettare nel presente quelle musiche che esprimevano l’essenza di un passato povero ma efficiente e che, anche oggi, dopo la sua scomparsa nel 2008, il Coro da lui fondato ed ora diretto da sua figlia Silvia, ripropone nella modernità di una sala di incisione o di un teatro.

E’ un cantare le narrazioni di vita passata, non per nostalgia, ma per trarne insegnamenti, riflessioni che inducano a migliorare lo stato di assuefazione a cui ci vuole avviare il moderno pensiero. E’ come ricostruirsi con i sentimenti ricevuti dalle nostre antiche famiglie, commuoverci per le loro timide manifestazioni di affetto, dolerci delle loro grandi fatiche del lavoro nei campi, piangere le loro perdite da guerre non condivise. Poi stemperare, attraverso la musica, questi moti dell’anima e le immagini sfuocate di queste storie, che forse anche a noi hanno talvolta raccontato; e infine ci consentono di meglio porci nel presente per predisporci a proseguire.

Questo è l’approccio che il Coro Stelutis si è posto, alla soglia dei suoi settanta anni di attività, proseguendo con Silvia Vacchi l’esperienza dei concerti e delle prove serali nella sede, un fienile con annessa stalla, che i Coristi, con l’aiuto di tanti amici, hanno salvato da sicura demolizione e successivamente ristrutturato con attenzione.

Anche in questo atto il Coro è “ripartito dal cuore”, come è stato fatto per i canti che ripropone, cogliendo davvero dal “Passato una lezione per il Futuro”.