Non è questa la sede per entrare nei dettagli della tecnica vocale individuale e in tutto ciò che, approfonditamente, riguardi la preparazione vocale; esistono infatti fior di trattati che possono fornire informazioni su come funziona la respirazione utile al canto, sul funzionamento del diaframma, sull’emissione, ecc… E’ comunque da tener presente che ogni attività deve essere studiata su misura sulle persone che compongono il coro: se è vero che viene ricercato un risultato uguale per tutti, altrettanto vero è che non esiste un metodo uguale per tutti; ogni individuo ha sue specificità che lo rendono diverso dagli altri.

La conoscenza di diverse metodologie, tecniche e approcci sarà un’importante risorsa per chi si appresta ad educare una compagine corale. Ci limiteremo quindi ad indicare alcune buone pratiche, generalmente poco osservate, utili a chi canta in coro e a chi dirige un organico corale.

Postura

Lo “strumento voce”, come qualsiasi altro strumento utile a far musica, richiede cure e attenzioni; in altre parole richiede di essere “accordato” prima di essere “suonato”. E prima ancora richiede attenzione la sua “cassa”, così come, nella sua costruzione, la richiede quella di un qualsiasi strumento musicale.

Sarebbe quindi buona cosa se i singoli cantori, oltre che i direttori, controllassero il modo di stare seduti e in piedi durante una prova; spesso questo è un aspetto poco curato e si assiste ad intere sedute di prova in cui i coristi assumono, per pigrizia, per stanchezza o semplicemente per scarsa attenzione, le posture meno funzionali ad un buon utilizzo della voce.

Se la postura non è corretta e cioè la schiena non è bene eretta, il petto ben sostenuto, ecc…, è difficile oltre che pericoloso richiedere una corretta intonazione da parte di chi canta: il corista e/o il cantante che si abituerà a intonare lo strumento su una postura scorretta, difficilmente riuscirà ad ottenere gli stessi risultati quando, per esempio nella fase performativa del concerto, gli si chiederà di “tenersi bene”!

Avere cura del proprio strumento da questo punto di vista, prima di aprire la bocca per produrre suoni, favorirà una corretta funzione diaframmatica utile al canto con ricadute positive su altezza, durata, intensità e timbro; ricordiamoci che l’attività del diaframma allo stato naturale è sufficiente solo per la sopravvivenza respiratoria e “far lavorare il diaframma” significa sollecitarlo in modo che possa sostenere lunghe frasi con un’ emissione regolare e controllata.

Riassumendo: è di rilevante importanza il controllo di una postura corretta durante ogni fase di lavoro propedeutica al concerto; del resto questo tipo di attività viene generalmente denominata “prova”; ci si chiede quindi che cosa si “prova” se durante questa fase di attività la simulazione, per l’appunto la “prova”, non tende il più possibile a configurarsi come realistica.

Respirazione

Spendiamo ora qualche parola sulla funzione respiratoria utile al canto. La respirazione cosiddetta “naturale” è quanto di più lontano da quella utile al canto; o meglio: naturalmente l’inspirazione è fase attiva e l’espirazione passiva; questa è la “respirazione naturale”. Nel canto, così come nel parlato artistico, nello sport, nella danza, anche la fase espiratoria è una fase attiva e quindi va esercitata in funzione di questa sua propria peculiarità. Deve essere ovviamente esercitata su un corpo che si “tiene bene” per evitare storture e cattive abitudini che, a lungo andare, possano comportare inutili tensioni.

Esercitare quindi “attivamente” la funzione respiratoria prima della prova, sempre controllando che avvenga su una corretta postura, è certamente una buona pratica, soprattutto per attivare il corpo e prepararlo alla “faticosa” attività della prova stessa.

Una buona pratica è senza dubbio quella di esercitare lunghe, energiche e regolari emissioni, pensando a una frase musicale che si deve cantare, ed anche emissioni corte e ripetute, sempre collegate al repertorio oggetto di studio. E’ inutile esercitare la respirazione, soprattutto veloce e forte, senza alcuna idea della frase, perché non lascerà alcuna idea utile alla memoria dei coristi ed inoltre può creare giramenti di testa e mancamenti.

“Riscaldamento” e vocalizzi

Ci corre l’obbligo di spendere alcune righe sul cosiddetto “riscaldamento”. Sul fatto che la voce non abbia alcuna necessità di essere “riscaldata” ormai non c’è alcun dubbio: la voce è di per sé calda e pronta all’uso dalla mattina alla sera, visto che, fatti salvi i casi di momentanea indisposizione, la si usa regolarmente per comunicare. Ciò che non è “caldo” semmai è il cervello; quando il cervello è messo in funzione, attiva regolarmente il corpo, e la muscolatura utile al canto artistico.

È regolarmente accettata la pratica di fare alcuni “vocalizzi” prima della prova “andando su è giù” nella tessitura vocale senza verificare che ciò abbia attinenza colle necessità del repertorio da studiare. Quindi: è buona cosa osservare con cura le necessità che il repertorio richiede e, su quelle, fare i cosiddetti “vocalizzi”. Il direttore e/o il responsabile del cosiddetto “riscaldamento” avrà cura di scegliere il tipo di esercizio utile a ciò che sarà oggetto di studio durante la prova: staccato, legato, caratteristiche di incisi, frasi corte o lunghe, intervalli problematici, ambiti vocali particolarmente faticosi e/o stancanti. Naturalmente sempre tenendo conto dello stato dei coristi e delle loro necessità.

Ricordiamo che la parola “vocalizzo” ha la sua radice nel termine voce e vocale. Un’attenzione particolare dovrà quindi essere posta sulla assoluta qualità delle vocali che i cantanti/coristi utilizzano per fare questi esercizi. La posizione naturale della laringe e della gola corrisponde al suono “ ə ” (vocale neutra) che non fa parte, per esempio, della lingua latina e italiana. Ciò significa che tutto ciò che riguarda il campo vocalico della lingua latina ed italiana è il risultato di un preciso atto creativo che nulla ha a che vedere con una “gola rilassata”.

È particolarmente produttivo esercitare la pronuncia delle vocali parlate senza intonazione in modo da acquisire una stessa modalità di dizione ed averne poi cura durante la vocalità intonata: spesso un’intonazione collettiva approssimativa dipende da posizioni differenti delle vocali.

Si abbia cura del modo di trattare la propria gola perché la muscolatura deve sempre essere tonica ed elastica e non deve provocare alcuna rigidità. Si tratta di un lavoro lungo e faticoso che richiede molta attenzione e pazienza soprattutto perché, generalmente, ogni corista di madre lingua italiana pensa di non aver nessun problema di dizione e di pronuncia e di essere “pronto all’uso”. Come già detto, l’omogeneità della pronuncia vocalica richiede molta cura e, soprattutto, la disponibilità a modificare ciò che possa ostare al risultato collettivo. Inutile dire che questo lavoro va fatto con altrettanta cura anche quando il testo da cantare sia in lingue straniere. Siccome la forma delle vocali abita nel cervello, grande importanza avrà l’ascolto di esempi corretti da imitare senza concentrarsi su strani movimenti della bocca e delle labbra che spesso inficiano la qualità del risultato.

Concetto di “naturale”

È comunemente raccomandata la più grande naturalezza in tutte le fasi della performance artistica, ma non dimentichiamoci che la naturalezza risultante da un’attività artistica, non è mai coincidente solo con ciò che la “natura” ci ha offerto alla nascita. Quello che noi osserviamo e definiamo genericamente come “molto naturale” è il risultato di un lungo tempo di studio e di attività per niente “naturale”. Questo è verificabile in qualsiasi campo di attività e, in ambito musicale, in qualsiasi genere, sia esso “classico”, pop, jazz, ecc…

Ecco perché esiste una grande confusione sull’uso del termine “naturale”. Il fatto che “naturale”, in questo contesto, non significhi “così come sei” e/o “così come ti viene” è dimostrato dal fatto che tutti i migliori esecutori vocali, siano essi professionisti o dilettanti/amatori, spendono tempo ed energie nello studio del canto. Risulta quindi in questa sede importante chiarire che, soprattutto in un coro, non è affatto naturale la ricerca di un suono comune semplicemente attraverso una passiva risultanza dei limiti di ciascuno: il suono omogeneo è l’obiettivo finale di una ricerca tecnico-musicale atta, se necessario, a modificare la “naturalezza” di ciascuno in funzione dell’obiettivo stesso.

In altre parole: nel coro, l’omogeneità e la qualità dell’insieme, sarà raggiunta attraverso una vocalità studiata e artificialmente costruita attraverso una stessa modalità di formazione delle vocali e della emissione delle stesse. “Naturale” è una ricerca di studio costante e a volte stancante e faticosa che serve per comunicare a chi ascolta il messaggio vocale nella maniera più apparentemente semplice che ci possa essere.

Tecnica vocale per il coro: chi la fa?

Non importa chi sia ad occuparsi della tecnica vocale del coro: l’importante è che abbia le competenze per farlo. I cori amatoriali sono organici da costruire tecnicamente sia da un punto di vista individuale che collettivo; questo richiede un’ottima preparazione tecnico-vocale da parte di chi si occupa di questo aspetto. Se il direttore ha studiato canto sarà in grado di curare in prima persona la preparazione dei propri coristi. Se deciderà di affidarsi ad altra persona dovrà aver cura di riprendere durante la prova gli stessi elementi che il preparatore vocale sta insegnando al coro.

Naturalmente non è sufficiente che il preparatore vocale, chiunque egli sia, abbia studiato canto “individuale” e/o canto lirico: deve avere competenze anche sul canto collettivo, acquisite o attraverso una personale pratica di canto in gruppi vocali e/o cori o attraverso una costante collaborazione col direttore del coro per cui presta la propria opera.

Coro Giovanile Italiano

L a Prova

La gestione della prova è uno degli aspetti più importanti dell’attività del direttore per le ricadute che evidentemente ha sulla preparazione del coro. Si abbia cura di decidere non solo la qualità dei vocalizzi e del cosiddetto riscaldamento, ma anche la quantità: se la prova, in funzione per esempio di un concerto imminente, dovrà essere particolarmente impegnativa dal punto di vista della concentrazione e del “consumo di energie”, si presti attenzione a non eccedere con la fase preparatoria. In altri momenti, in cui non ci sia carattere di urgenza, si potrà programmare una fase più lunga di tecnica pre-esecuzione.

Non si conceda “relax” in termini sia mentali che fisici ai coristi se non nelle fasi di pausa tra un’attività e l’altra: meglio mezz’ora di lavoro collettivo realizzato al meglio seguito da un breve intervallo, che due ore di prova realizzate male con poca concentrazione e poca energia. Naturalmente questo prevede che il direttore sappia esattamente cosa vuole realizzare e in quanto tempo; in altre parole: il direttore deve prepararsi al meglio per la prova tenendo presente sempre che l’obiettivo principale è sviluppare l’autonomia offrendo strumenti di autocorrezione ai coristi e stimolando una crescita di competenze.

Alla fine di ogni prova i coristi devono essere consapevoli dell’utilità del lavoro svolto: più il livello di competenza sarà alto e più risulterà produttiva la prova. A questo proposito riteniamo molto utile insegnare a leggere la musica al coro.

Scelta del repertorio

Ciò che prima è stato detto sul “riscaldamento” e i vocalizzi vale naturalmente anche per la scelta del repertorio che deve essere fatta tenendo presente al massimo grado i limiti e le potenzialità dell’organico che deve cantare, senza cedere a facili lusinghe determinate solamente dai gusti e dalle ambizioni del direttore. O si seleziona un organico in funzione del repertorio da eseguire (ciò avviene normalmente in ambito professionale) o si seleziona il repertorio adatto a quel tipo di organico corale; in entrambi i casi questa attività richiede un alto livello di competenza e di conoscenza del repertorio da parte del direttore.