L’esperienza musicale religiosa: “Ave Maria”, per coro misto a 4 voci

La questione religiosa, nell’opera di Stravinkij, è forse uno degli aspetti meno esplorati dalla critica musicale. Eppure, questo aspetto è di importanza capitale per comprendere le opere del nostro compositore e il suo pensiero musicale.
Molti pensano che l’essersi occupato anche di musica sacra e religiosa, per Stravinskij sia stato un fatto prevalentemente “intimo” e che lo vivesse tenendolo distaccato dal parlarne con un qualsiasi critico. Oppure, forse il successo ottenuto con le sue opere più “laiche”, in primis L’uccello di fuoco, Petruska, La sagra della primavera, Histoire du soldat, etc., abbia contribuito e mettere più in penombra la sua produzione musicale religiosa.
Nel 1910, Stravinskij attraversò una crisi spirituale, che lo portò ad allontanarsi dai riti ortodossi, per poi ritornarvi nel 1926, dopo un suo lungo travaglio, ma anche profonda meditazione su questa questione. Il primo risultato fu la sua composizione (forse la sua più conosciuta dal mondo corale) del Pater noster, la sua prima opera sacra per coro a cappella. Il ritorno all’Ortodossia, da parte del nostro compositore, fu causato probabilmente da una ammirazione verso una prospettiva universalistica ed ecumenica.
Perfino per il figlio Theodore, volle che gli venisse impartita un’educazione religiosa cattolica in America.

Entrando più direttamente nel repertorio di opere sacre e liturgiche di Stravinskij, possiamo dire come tutto questo possieda caratteristiche peculiari, stile e soprattutto un approccio “devozionale” alla composizione. È lo stesso che troviamo per esempio anche in Rachmaninoff, in particolare con i Vespri della Vigilia di Natale, Op. 37, oppure la Liturgia di San Giovanni Crisostomo, Op. 31 e ancor prima in Cajkovskij, sempre con la sua Liturgia di San Giovanni Crisostomo, Op. 42. Colpisce molto lo stesso approccio così fortemente devozionale tra queste opere musicali religiose dei tre compositori. La composizione di Stravinskij che prendiamo in esame, è: “Ave Maria”, per coro misto a 4 voci del 1934. Scritta e pensata inizialmente, come per il suo Pater noster e il Credo, in slavo ecclesiastico pensati per l’Ufficio Ecclesiastico Ortodosso, vennero poi tradotti nella versione in latino nel 1949. La scrittura compositiva si rifà in rispetto alla prima polifonia indigena russa, in particolare quella georgiana.
Dopo la traduzione e l’adattamento in lingua latina, questi brani furono adottati da molteplici cori, che negli anni successivi vollero eseguirli anche in concerti.
Come naturale destinazione liturgica ortodossa, tutti e tre i brani, sono composti “a cappella”. È lo stesso che fecero anche Rachmaninoff e Cajkovskij, ma anche altri compositori russi tra la fine del’800 e il ‘900 con le loro composizioni musicali sacre, quali sopra citate.

Tornando alla nostra Ave Maria, lo stile del coro esprime, come dicevamo, direttamente le antiche tradizioni russe, forse anche più degli altri due compositori qui ricordati. Il punto di confronto è appunto lo stile compositoio.
Il compositore rumeno Roman Vlad, di Stravinskij disse che: “le opere religiose sono la chiave del vero sé di Stravinsky e della logica del suo intero sviluppo musicale”. In Stravinskij notiamo un approccio straordinariamente rispettoso della modalità recitativa e omoritmica, un richiamo più arcaico che richiama la cantillazione russa, come preghiera appena intonata e cantata, senza mai lasciarsi sedurre da lunghi melismi e abbellimenti, più usati dagli altri due compositori, probabilmente più influenzati dalla musica occidentale. Un’operazione simile la fece anche Kedrov col suo conosciutissimo: “Oche Nash” (Padre Nostro). Mettiamo a confronto le prime battute del Pater noster di Stravinskij e l’Oche Nash di Kedrov, per notare le loro forti similitudini di stile compositivo – omoritmia, note ribattute, spostamenti accordali di grado congiunto, accordi in stato fondamentale, etc. – pur tenendo conto dei diversi valori notazionali utilizzati:

Vediamo ora le battute iniziali dell’Ave Maria di Stravinskij:

Il profilo melodico delle parti è delicatamente più melismatico, ma sempre omoritmico, forse anche perché questo brano è dedicato alla figura femminile di Maria, rispetto al brano più maschile, austero e fermo del Padre nostro. Troviamo, invece, più similitudine con il brano Bogoroditse Devo, raduisya (Vergine Maria, rallegrati) di Rachmaninoff, composto precedentemente a quello di Stravinskij. Vediamo le prime battute di entrambe le composizioni:

Il brano è composto da 35 battute e richiede poco meno di due minuti per essere eseguito. Rispetto alla partitura originaria slava, vi sono pochissime differenze e l’aggiunta dell’Amen finale. Si basa sul modo antico Frigio, Deuterus per i latini, basato sulla nota finalis di Mi, che qui troviamo a quasi tutti i finali di frase con l’accordo Mi-Sol-Si e anche per il continuo utilizzo del Fa bequadro (Fa naturale), suono proprio come nella sua scala antica originale. Veniva chiamato modus Mysticus, per il suo essere misterioso, dal lirismo profondo e religioso.

Stravinskij, qui lo interpreta inserendo un gioco di semplici armonie, ma che producono efficacemente l’effetto lirico religioso e devozionale desiderato. Indugia tra l’accordo di Do maggiore, Mi minore e La minore, con note di passaggio dissonanti – guardiamo per esempio gli accordi al secondo tempo di bat. 2 Re, Si, Fa, La o ancora a batt. 6, 8 e 11 con le note Do, Si, Mi, La, etc. – che però non creano urti, anzi al contrario risultano all’ascolto piacevoli e “moderni”. Questo è il tratto distintivo del compositore, riconosciuto da tutto il mondo musicale: antico e moderno al tempo stesso.
A differenza del Pater noster che abbiamo osservato prima, qui nell’Ave Maria, Stravinskij inserisce dei melismi sulle parole chiave:
Ave – gratia – benedictus – Sancta – mater.
Queste ornamentazioni, date a tutte le voci del coro e ben spalmate su note che raggiungono sempre due battute intere, caricano di espressività le parole scelte e creano un elemento di discontinuità e dialogo tra il procedere sillabico e questo più melismatico.

Un’altra caratteristica interessante alla nostra analisi è la continua micro variazione intonativa e di valori notazionali che Stravinskij dà al profilo melodico di tutte le frasi.

In questo modo, da una parte mantiene fede al richiamo recitativo, se pur dolcemente melismatico in alcuni punti, tipico, come già dicevamo, della cantillazione russa; dall’altra parte offre sempre uno spunto nuovo e variato, per evitare il rischio di un canto monotono e ripetitivo. Continuando ancora su questo aspetto, il procedere del coro trasmette all’ascolto quello che possiamo definire un effetto/affetto, cioè: “cullante”.
Osserviamolo prendendo la seconda parte del brano, con il testo: Sancta Maria, mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae.

Usando dei termini più poetici e affettivi, possiamo dire che questo effetto cullante, sembra trasmetterci il gesto di una madre: Maria, che ci abbraccia e ci protegge. Sappiamo, infatti, che molti russi sono così devoti nei confronti della figura della Madonna. L’effetto melismatico, usato da una parte, e l’affetto devozionale, usato dall’altra, sono messi insieme con sensibile semplicità ed estrema efficacia da parte di Stravinskij. A tal punto da comporre tutto l’intero brano in questo modo. Ci soffermiamo, infine, sull’accordo conclusivo del brano sulla parola Amen. L’accordo usato è il La maggiore, senza la quinta: La, Do#. Possiamo pensare che Stravinskij abbia voluto indugiare, come abbiamo precedentemente detto, per tutto il brano sul modo Frigio e sull’accordo di Mi minore (Mi, Sol, Si), per poi sorprenderci con un finale inaspettato su questo La maggiore. Ascoltando il brano, si sente come un effetto dedicato anche a una sorta di lunga cadenza neomodale V minore – I (Mi, Sol, Si – La, Do#).

CONSIGLI PER L’ESECUZIONE


Il primo suggerimento utile per l’esecuzione di questo brano, è il porre un’attenzione al modo di cantare. Essendoci frasi musicali, così simili fra loro, con determinate armonie continuamente ripetute, ma allo stesso tempo colme di micro variazioni di valori notazionali e di stato degli accordi (fondamentale e rivolti), è bene evitare di rischiare di cantare in modo “monotono”. Ne risulterebbe particolarmente pesante e noioso all’ascolto. Questo brano dell’Ave Maria, come anche il Pater noster e il Credo, erano destinati per l’uso liturgico religioso e sicuramente cantati da cantori, monaci, etc., ecclesiastici o comunque da cori dedicati al servizio religioso delle chiese. Sappiamo tutti bene, con quanta sensibilità e passione si dedicano queste persone alla preghiera e al canto, trasmettendo quindi anche emozioni e stati d’animo così particolarmente sentiti, che vengono espressi e poi anche ascoltati e recepiti dagli ascoltatori.
Un secondo suggerimento riguarda l’attenzione alla scorrevolezza dell’esecuzione canora. Come dicevamo nella nostra analisi, tutta la composizione è stata scritta da Stravinskij, dedicandosi a una modalità che produce un effetto/affetto “cullante”. I profili melodici di tutte le sezioni vocali sono in relazione tra un modo recitativo e un modo delicatamente melismatico di intonare il testo della preghiera. Questo, se eseguito attentamente, produce anche un ulterioreeffetto,chepossiamodefinirea“fisarmonica”, molto piacevole ed efficace all’ascolto. Per fare questo, occorre prestare molta attenzione al fraseggio, facendo in modo che si intonino, con le giuste respirazioni e i giusti accenti alle parole, tutte le frasi del testo in corrispondenza alle frasi musicali.
Un ultimo suggerimento è in merito al modus operandi del Modo: il Deuterus. Il Mysticus, come esposto durante l’analisi, e allo stesso tempo tener conto della neo modalità e quindi al rapporto: antico/moderno.

Come eseguire questo rapporto?

I latini, attraverso l’attenzione all’Ethos, cioè il carattere del brano e il modo di comportarsi, dicevano che il Deuterus era il modo più misterioso da affrontare. Andava eseguito con: prudenza e cautela, lirismo profondo e vitalità, spirituale, dolce e patetico. Quanto alla neo modalità, il lasciarsi sedurre dalla disposizione delle armonie e dal loro modo di contribuire a trasmettere l’espressività del brano, come anche dalle loro cadenze, in particolare quella finale, con l’accordo così lieto e pieno di pace, può essere la via maestra da seguire.