Due contributi a cura di allievi della Scuola di Canto Gregoriano – AERCO

A proposito di Inni

Il presente contributo si configura come una sintesi delle lezioni dedicate all’innodia tenute dal prof. Angelo Corno per la Scuola di Canto Gregoriano – AERCO. I testi dell’Ufficio si basano sul Corpus Antiphonalium Officii contenente i testi dagli Antifonali medievali destinati al canto. Solo uno dei manoscritti dell’Ufficio risale all’epoca antica dei sei antifonari della messa: Compiègne (seconda metà del secolo IX) che include sia il testo della messa che quello dell’Ufficio senza notazione musicale. I volumi contengono: i codici di cursus romano; i codici di cursus monastico; i testi; le fonti e il loro riordino.

L’antica tradizione ebraica comprendeva due momenti di preghiera giornaliera. La preghiera degli apostoli, corrispondeva alle ore degli olocausti mattutini e serali. Le tradizioni corrispondono nei due momenti di preghiera comunitaria quotidiana.

Clemente Alessandrino parla di tre momenti di preghiera da aggiungere a quelli tradizionali. Corrispondono alla divisione della giornata di lavoro del mondo greco-romano: terza, sesta, nona; un’allusione alla Trinità. Stabilisce un rapporto tra la rinascita del giorno e una celebrazione di preghiera. Tertulliano sostituisce gli olocausti con l’orazione come sacrificio spirituale. La Traditio Apostolica giustifica le tre ore diurne in riferimento ai tre momenti della Passione di Cristo. L’ora mattutina assume un significato risurrezionale rendendo il Mistero Pasquale un’unità inscindibile. Origene parla di un’orazione continua e aggiunge alle tre ore diurne una veglia notturna.

Cipriano aggiunge che l’orazione deve essere protratta anche di notte. Per anticipare la beatitudine eterna bisogna sempre rimanere nella luce di Cristo.

Agostino stabilisce una stretta connessione tra sacrificium vespertinum e munus matutinum del salmo 140 con la morte e la risurrezione di Cristo.

A partire dalla Traditio Apostolica si pone il valore di uno schema per ogni celebrazione per guidare i fedeli ad una piena partecipazione.

Le Constitutiones Apostolorum offrono uno schema ben definito per le due ore principali:  Vespro e Ufficio Mattutino, perfettamente simmetrici. Iniziano con un salmo, seguono orazioni, monizioni, preghiera dei fedeli, benedizione e congedo. Le ore più antiche e importanti sono il Vespro e l’Ufficio Mattutino.

Dalle fonti non si conoscono bene gli schemi dell’Ufficio romano antico.

Il Vespro era costituito da cinque salmi, Magnificat, oratio. L’Ufficio Mattutino è costituito da Miserere, Psalmus matutinus (variabilis), Psalmus matutinus 62 e 66, Canticum V.T., salmi Laudate, Benedictus, oratio. Il Magnificat ha valore purificatorio. I tre salmi Laudate daranno il nome alle Laudes diventando la triade inseparabile dell’Ufficio Mattutino. La salmodia dei Vespri rispondeva al criterio del currente psalterio. Il tema vespertino è rappresentato dal salmo 140,2 per l’offerta dell’incenso che si compiva al tempio di sera. Il tema lucernario è preso dal salmo 109.

Il Benedictus trova la propria collocazione alle Lodi, il Magnificat al Vespro, il Nunc dimittis a Compieta. San Benedetto segue il rito romano, ma la Regola non parla del Nunc dimittis.

Benedetto prevede che si preghi sette volte al giorno e una volta nella notte. Introduce l’inno Deus in adiutorium che apre la preghiera delle ore, mentre sceglie il versetto Domine labia mea aperies per aprire le vigilie.

Si ha l’impiego del versus, preso dal salmo del giorno, esaltandone il tema dominante, collocato dopo gli inni del Vespro e dell’Ufficio Mattutino, come conclusione del primo e secondo notturno e dopo la lettura breve delle ore minori e della Compieta. Ai versus seguono i responsoriola.

Distribuisce i 150 salmi lungo l’arco di una settimana in quanto nucleo centrale della Liturgia delle Ore.

Il Vespro all’epoca di Benedetto è sostanzialmente quello dell’attuale Vespro nel rito romano.

Se si sostituisce il Magnificat con il Benedictus si ha lo schema delle Lodi.

All’origine il versus era cantato esclusivamente dal solista con il coro che rispondeva. Più diventerà importante, più sarà ornato. Il responsorio assume il carattere di canto meditativo: la risposta viene generata dall’ascolto della Parola.

Entrambe le forme richiedono una risposta, ma, se il versus ne ha bisogno per completare il senso di ciò che viene enunciato, il responsorio, non aggiunge significato, esprimendo consenso ed adesione del popolo, che si unisce al coro per cantare il responsum a latere.

La cantillazione è la più antica forma melodica in cui la parola ha la preponderanza sulla musica.

Il testo viene suddiviso in unità logiche e sintattiche attraverso la scrittura ecfonetica, per ricordare al cantore formule già note. Rivela la propria struttura, organizzata in incisi verbali ben definiti, assumendo una scansione ritmica adeguata e diventando “vivo”.

Viene indicato il profilo melodico sul quale si regge la proclamazione del testo ed assegnate le inflessioni della voce per le cadenze. Le interpunzioni melodiche (pausationes) erano per lo più: flexa, metrum, punctum interrogationis, punctum versus. Talvolta viene associato un lungo melisma posto sulla sillaba finale della penultima distinzione logica della frase: un’antica forma di iubilus che sarà assunta dal solista nel Tractus, nei versetti del Graduale e sulla sillaba finale dell’Alleluia.

La salmodia si avvale delle strutture tipiche della cantillazione codificandole in forme e stili diversi e più articolati. Nella salmodia diretta il cantore proclama il salmo dall’inizio alla fine. In alcuni manoscritti viene avvertito del passaggio dalla lettura al canto tramite hic mutas sonum. Nel repertorio della Messa vi sono forme più ornate di salmodia direttanea, senza alcun intercalare: i tractus nelle domeniche di Quaresima e i cantica che seguono le letture della Veglia Pasquale.

La salmodia responsoriale segna un’altra tappa importante dello sviluppo della musica  cristiana, a partire da Atanasio (metà IV secolo); prevede l’intervento attivo del popolo nella salmodia. Benedetto usa il termine antiphona per indicare la salmodia responsoriale.

La salmodia antifonica all’origine riguardava l’alternanza di timbri vocali. Le comunità monastiche alternavano i versetti dei salmi dividendosi in due cori in posizione frontale. Quando il testo del ritornello sarà ampliato e assumerà un più ricco rivestimento melodico, verrà cantato da tutto il coro soltanto all’inizio e alla fine del salmo diventando l’antifona, inizialmente composta a servizio esclusivo del salmo.

La forma antifonica, nella sua forma più elaborata, si trova nei canti della Messa; il contesto celebrativo solenne impone che l’antifona prenda il sopravvento sulla salmodia, mentre nell’Ufficio è relegata ad aprire e chiudere la salmodia, parte sostanziale della celebrazione delle Ore.

Il cursus planus porta un caso particolare di cadenza della salmodia. Il cursus è una successione armoniosa di parole e sillabe che i prosatori greci e latini impiegavano alla fine delle frasi per colpire gli ascoltatori. La quantità e l’accento determinano il ritmo. Tra il III e il IV secolo si abbandona progressivamente la quantità della prosodia classica per accogliere l’accento della parola. In questa fase si ha la coesistenza dei due tipi di cursus: metrico e ritmico (tonico). Gli inni ambrosiani (fine IV secolo) sono un esempio dell’innovazione compositiva e musicale introdotta dal Padre della Chiesa di Milano. Ambrogio scelse il dimetro giambico imponendosi in tutto l’occidente come una forma poetica e musicale semplice nella forma, profonda nel contenuto, maggiormente rispettosa del ritmo naturale della parola. L’accento prende il sopravvento sulla quantità. Si contano le sillabe, non le si misura più.

Il ritmo riconosce due piedi: spondeo, formato da una sillaba accentata e una atona; dattilo, composto da una sillaba forte e due deboli. Ogni parola di due sillabe è considerata spondeo. Le parole che hanno l’accento sulla penultima sillaba sono parossitone. Ogni parola di tre sillabe, di cui la penultima è breve, è chiamata dattilo al quale si assimilano tre piedi con sillabe lunghe e brevi diversamente ripartite. I cursus in uso nel V-VI secolo sono: planus, tardus, trispondaicus, velox. Nell’XI e XII secolo furono ridotti a tre rimuovendo il trispondaicus. L’accento tonico ha influenzato la formazione melodica degli inni, dei recitativi liturgici, delle orazioni, dei prefazi, delle cadenze mediane e finali della salmodia semplice a uno o due accenti.

Un gran numero di cadenze fu modellato sul cursus planus per la sua armoniosità e gradevolezza, fatto di due curve melodico-ritmiche distinte da una cesura, fu scelto dai compositori gregoriani per adattarlo anche alle cadenze della salmodia dell’introito e del communio. Questa cadenza viene chiamata pentasillabica. Nella salmodia prevale l’integrità del ritmo musicale, ritenuto un principio superiore alla concordanza tra testo e melodia. Ambrogio introdusse un’innovazione significativa dal punto di vista letterario, musicale e teologico per: la scelta metrica del dimetro giambico; lo stile sillabico della melodia; il costante riferimento alla Sacra Scrittura. Il dimetro giambico, ha successioni sillabiche regolari e favorisce la coincidenza dell’accento tonico con l’accento prosodico. La ritmica, dalla quantità, passa all’accento tonico. Ambrogio elabora anche uno schema poetico fisso: 8 sillabe per ogni verso, 4 versi per ogni strofa, 8 strofe per formare un inno: rimanda al giorno senza fine!

Gli inni sono isostrofici, isosillabici, isoritmici. La tradizione tramanda che gli inni composti da Ambrogio siano tredici, ma solo quattro sono certamente suoi. Il contenuto è teologico, ma unito a osservazioni tratte dalla bellezza della natura e dalla concretezza della vita quotidiana. La forma innica è un elemento dell’Ufficio Divino che per sua natura esige il canto. Ambrogio fu anche autore della musica dei suoi inni e li insegnò al popolo a cui attribuiva una spirituale potenza contro le passioni. Nell’innodia l’integrità del ritmo musicale legata agli otto gruppi neumatici scelti per ogni verso è ritenuta un principio superiore all’integrità fonetica del testo e della sua legittima accentuazione.