Il reciproco ascolto della musica sacra

 

A distanza esatta di un anno dalla prima edizione, Bologna è stata ancora una volta teatro di Spiritus, il festival corale interreligioso organizzato dall’Associazione Emiliano-Romagnola Cori sotto la direzione artistica di Silvia Biasini: un’edizione, questa, che, forte della lusinghiera affluenza di pubblico, ha confermato l’esito positivo dell’anno precedente candidandosi al contempo a divenire una delle manifestazioni corali regionali più attese degli anni a venire. Al pari del 2021, lo spirito che ha animato l’organizzazione è stato improntato a ergere il dialogo interreligioso al centro di una riflessione che, a partire dalla natura eminentemente spirituale della manifestazione, divenisse vera e propria pratica sociale di confronto reciproco e coesione, un’esigenza resa necessaria dal sempre più complesso contesto multiculturale in cui l’Europa, e in essa l’Italia, è chiamata a vivere, e in cui le tensioni culturali e religiose trovano malauguratamente fertile terreno di crescita. Infatti il processo di globalizzazione degli ultimi decenni, lungi dall’armonizzare le istanze provenienti dalle diverse culture e confessioni, ha talvolta paradossalmente acuito le divergenze e i motivi di attrito. Per tale motivo AERCO ha ritenuto che, al fine di favorire l’armonizzazione di così tante istanze, non esistesse contesto di dialogo migliore di una manifestazione corale, poiché la musica, linguaggio asemantico per eccellenza, si pone all’ascoltatore quale esperienza diretta priva di mediazioni. Come ha scritto Silvia Biasini all’interno della brochure di presentazione del festival, l’intento è stato quello di «conoscere attraverso i canti, gli inni, le antifone, ma anche l’armonia, i timbri e le sonorità, questi mondi così lontani». In tale prospettiva va anche visto l’inserimento, inedito rispetto alla precedente edizione, di gruppi strumentali e di un’interprete di danza sacra, al fine di dimostrare come il canto, per quanto centrale, sia solo uno degli strumenti possibili per esprimere fede e spiritualità. L’obiettivo del progetto, senz’altro ambizioso, non poteva limitarsi alla dimensione concertistica e, come avvenuto lo scorso anno, i concerti sono stati affiancati da differenti iniziative, due convegni e, altra novità della presente edizione, una masterclass.

Proprio alla masterclass, una lezione aperta sulla Direzione di Coro, è stata affidata l’apertura del festival nel mattino del 5 novembre. Tenuta nella Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio da don Michele Loda, esperto conoscitore del canto gregoriano e Maestro di Cappella del Pantheon di Roma, anch’esso presente all’iniziativa, ha avuto come oggetto di studio due pezzi di grande grande notorietà, ben conosciuti dai frequentatori del canto corale poiché presenti nel repertorio di molte compagini: Sicut cervus di Palestrina e il più recente Ave Maria di Franz Biebl. L’intenzione che ha animato gli organizzatori è stata quella di far affrontare ai partecipanti pezzi già noti al fine indirizzare l’attenzione immediatamente verso un approccio interpretativo approfondito e consapevole. Il Maestro ha fatto lavorare i partecipanti sul testo, di cui sono stati indagati corretta prosodia, pronuncia e collocazione liturgica, per poi raccomandare l’uso, di fronte al repertorio rinascimentale, di edizioni in cui le stanghette siano poste al di fuori del rigo, in modo che la veste grafica sia di ausilio nell’evitare indebite accentazioni sulle sillabe atone. Infine sono stati affrontate questioni inerenti alla concertazione con l’ausilio della Cappella musicale del Pantheon, cui erano stati preventivamente assegnati errori volontari finalizzati a far emergere le principali insidie poste al direttore di coro.
Michele Loda e la Cappella musicale del Pantheon sono stati inoltre protagonisti del primo concerto del festival, tenutosi alle ore 18:00 nella medesima Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio. Il raffinato programma, frutto di sapienti connessioni tra repertori appartenente a secoli e temperie culturali differenti e interamente padroneggiato dagli interpreti con sapienza tecnica e profonda espressività di lettura, vedeva la compresenza di preghiere di pace e di invocazioni inneggianti alla grandezza di Dio. Non a caso il programma è stato aperto e chiuso simmetricamente dall’antifona gregoriana Da pacem. All’interno di tale cornice, altri brani gregoriani come il canto di comunione Vovete sono stati incastonati, talvolta in alternatim, con esempi di repertorio antico e moderno. Basta una rapida scorsa agli autori in programma per avere contezza della ricchezza di relazioni e dialoghi interni al programma: si è andati dai maestri della polifonia del Cinquecento e del Seicento come Marenzio, Ammon, Asola – il cui bel Veni creator è stato eseguito, con scelta assai felice, alternatim con il gregoriano – e Monteverdi fino ad autori più recenti ma ormai classici della moderna musica liturgica come monsignor Domenico Bartolucci (O sacrum convivium), Alberto Donini o Valentino Miserachs Grau, il cui Da pacem ha concluso il concerto prima dell’antifona di congedo.
A seguire, nella medesima cornice, il Trio per Sonare ha condotto l’uditorio in territori geografici e culturali assai differenti ma di altrettanto intensa spiritualità. I membri del trio, l’arpista Farah Le Signor, il clarinettista ‘Abd al-Rahman Gastou e il violinista Abu Bakr Moretta, pur provenendo da solida preparazione nell’ambito della tradizione musicale europea, il cui repertorio continuano a praticare in orchestre e conservatori, si sono con pari continuità dedicati ad un’intensa attività di esecutori e divulgatori di musiche tradizionali dell’intero bacino del Mediterraneo. Ne ha fatto fede il ricchissimo programma, che ha alternato con successo canti tradizionali islamici, ortodossi, romeni ebraici e persino il noto Lamento di Tristano dando testimonianza di voci lontane nel tempo e nello spazio.
Ancora a Palazzo d’Accursio, alle ore 21:00, si è svolto il secondo concerto della rassegna, con cui si è concluso il primo giorno del festival. Tre le realtà protagoniste: la danzatrice Svamini Atmananda Ghiri, che ha presentato al pubblico alcuni affascinanti esempi di Kuchipudi, ossia la danza sacra classica indiana; il coro ecclesiastico della comunità greco-orientale di Trieste diretto da Ioanna Papaioannou e accompagnato al pianoforte da Reana De Luca in una serie di canti ortodossi e infine il Progetto DAVKA, gruppo dedito alla diffusione della musica ebraica attraverso un repertorio vivace e contaminato con altre espressioni musicali, che travolto il pubblico con la sua energia e ha coronato una prima giornata del festival indubitabilmente riuscita.

La seconda giornata, domenica 6 novembre, si è aperta con due convegni. Il primo, in verità di tono assai particolare, era afferente al progetto Voci dal mondo, frutto della sinergia tra AERCO e l’Istituto Comprensivo Granarolo dell’Emilia (BO) e fondata sull’esperienza diretta dei bambini con strumenti appartenenti a differenti tradizioni. Coerentemente con il progetto, ciascuno dei relatori – gli stessi del secondo convegno su cui ci si soffermerà a breve – hanno proposto differenti attività musicali ai bambini delle classi quinte, invitandoli a cimentarsi con i repertori delle più diverse confessioni.

Il secondo convegno del festival è stato in un certo qual modo il fulcro simbolico di Spiritus, dal momento che, in continuità con la prima edizione, si è fondato sul confronto tra esponenti di confessioni differenti su medesimi argomenti. La moderazione del convegno, il cui tema era ben delineato dal titolo, Canti di guerra canti di pace, è stata affidata a don Claudio Campesato, presbitero della diocesi di Padova, oltre che esperto di canto gregoriano e di liturgia, già lo scorso anno ospite tra i relatori. In apertura don Campesato, dopo aver sottolineato l’importanza della musica quale luogo privilegiato di dialogo, ha tuttavia manifestato l’auspicio che il convegno mirasse a un saldo messaggio di pace, quella stessa pace variamente cantata in tutte le tradizioni. La prima parte è avvenuta all’insegna della musica: don Campesato ha sottolineato l’importanza della preghiera di pace nella Messa del rito cattolico romano, facendo ascoltare e commentando l’antifona Da pacem e, a seguire, ha chiesto a ciascuno dei relatori di commentare un canto di pace appartenente alla propria confessione. Il primo a prendere parola è stato il teologo russo Kivelev Maksim Nikolaevic, esperto di liturgia bizantina, che ha fatto ascoltare un breve estratto dalla preghiera culto della celebrazione eucaristica della tradizione ortodossa. Nel commento ha sottolineato come la pace sia un concetto complesso, ricordando al tempo stesso quanto l’intera liturgia bizantina sia impregnata di musica, presenza di Dio stesso nel mondo. La samnyasini – monaca indù – di Roma Svamini Shuddananda Ghiri, da anni dedita, tra le altre attività, ad iniziative di dialogo interreligioso, ricorda come il significato stesso di Veda, il testo sacro dell’Induismo, sia “ciò che è stato ascoltato”, a dimostrazione del profondo legame tra induismo, oralità e musica. In rappresentanza dell’Islam ha preso parola il violinista Abu Bakr Moretta, che ha introdotto e fatto ascoltare un canto di lode ad Allah. Esponente della confessione protestante, Ilenya Goss ha esordito ponendo attenzione al fatto che il protestantesimo storico manchi una ritualità che contempli rigorosamente una preghiera di pace; non mancano tuttavia inni e preghiere sul tema, tra le quali ha presentato un inno scritto da Lutero. Infine Maurizio Di Veroli, esperto di musica tradizionale ebraica tanto antica quanto contemporanea, ha esordito ricordando che il termine ebraico corrispondente a pace, shalom, sia molto presente nella Torah, ammonendo tuttavia a ricordare come conviva pluralità di significati: dopo aver edotto l’uditorio su tale polisemia, ha cantato personalmente un’invocazione appartenente allo shabbat del venerdì sera. La seconda parte è stata incentrata sul rapporto tra musica ed etica. Campesato, dopo aver notato come la società abbia spesso soffocato la forza etica della musica, ha tuttavia ribadito il profondo legame tra musica e spirito, come poi dimostrato in vario modo dai relatori: Di Veroli ricorda come nel mondo ebraico il canto sia lo strumento privilegiato di espressione della gioia divina, mentre Goss racconta l’importanza del legame nel protestantesimo fin da Lutero, che riteneva la musica strumento per promuovere senza mediazioni concetti teologicamente complessi. Dopo gli ultimi interventi, in conclusione, con apparente paradosso, don Campesato ha chiuso il convegno rifiutandosi di pronunciare delle conclusioni, dal momento che il confronto verbale deve essere soltanto lo spunto iniziale a praticare concretamente la pace attraverso la musica e le azioni quotidiane.

 

A conclusione e sugello di un così ricco percorso, alle 18:00 la Chiesa di Santa Maria dei Servi è stata teatro del terzo e ultimo dei concerti in programma, Canto gregoriano e organo: incroci di arte e fede nei secoli, evento che fin dal titolo suggerisce la necessità di attuare non solo un dialogo sincronico tra fedi differenti, ma anche una riflessione diacronica tra differenti espressioni di fede sviluppatesi nel corso dei secoli all’interno della medesima confessione. Protagonisti del concerto l’organista Wladimir Matesic, concertista dall’esperienza decennale e titolare della cattedra di Organo “G. Fescobaldi” di Ferrara, e la Schola Gregoriana “Ecce” diretta da Luca Buzzavi. La Schola, di recente formazione, è stata fondata dal Mo Buzzavi con il patrocinio di AERCO al fine di diffondere la cultura del Canto gregoriano facendo riferimento ai più rigorosi principi scientifici di lettura ed esecuzione, seguendo strettamente gli indirizzi interpretativi che, da dom Eugène Cardine in avanti, hanno informato in modo decisivo la prassi esecutiva del repertorio gregoriano. L’inserimento del festival di tale compagine è dunque parsa particolarmente pertinente, tanto più se si considera che proprio al Festival Spiritus del 2021 la Schola aveva esordito ufficialmente. Il programma si è snodato attraverso una selezione di composizioni che permettesse di ripercorrere il cammino cristologico proprio all’anno liturgico che, a partire dall’Avvento, giunge sino alla Pentecoste. I differenti momenti sono stati scanditi, come recita il titolo, intrecciando interventi canori, composizioni organistiche elaborate a partire dal materiale melodico liturgico e in alternatim, sugellate dal Salve regina more monastico conclusivo.

 


In conclusione, Spiritus ha ricordato al suo pubblico come sia intrinseco alla musica il rispetto dell’alterità: solo dall’ascolto reciproco può nascere un mondo di comprensione e pace. L’auspicio è che questo messaggio continui a rinnovarsi in futuro, e che Spiritus continui a condurre il suo pubblico in sempre più vaste regioni di tolleranza e dialogo.