A Bárdos Lajos la musica corale del ‘900 deve molto. Eppure in Italia egli è un compositore ancora poco noto.

Bárdos ha costruito – attraverso i suoi approcci pedagogici, teorico-didattici, musicologici dediti alla realtà compositiva e corale,  insieme  a  molti tour con i suoi cori – un importante successo in gran parte d’Europa e principalmente (oltre alla propria Ungheria) in Austria, Germania, Belgio ed ex Jugoslavia.

In Ungheria, a partire dai primi anni del ‘900, si è attivata in modo spiccato e appassionato una forte sensibilità culturale musicale e proprio questo fermento artistico ha stimolato, e talvolta condizionato, il modo di concepire la musica da parte di Bárdos. Il  suo modo unico, creativo e rivoluzionario, affronta un percorso sistematico di studi con risultati che non sempre hanno trovato condivisione, in particolare a livello dell’egemonia politico-ideologica del suo Paese.

Di vitale importanza per il nostro compositore risultò la musica di Palestrina, Liszt, Kodály e l’approfondito e sistematico studio sulle armonie neomodali, che gli permisero di stabilire un nesso tra la musica del Rinascimento e la musica magiara del XX secolo. Bárdos ebbe la convinzione che Liszt, in particolare, fosse stato un artefice fondamentale dell’innovazione musicale a tal punto da impegnarsi, dal 1955, in un programma di ricerca e di analisi sulle sue opere per un intero ventennio. Gli inizi del XX secolo rappresentano, nella vita culturale ungherese, anche un momento cruciale per il sorgere di nuove possibilità spirituali ed artistiche e per l’esprimersi di profonde e vigorose forze creative. Nel 1905 Zoltan Kodály (1882-1967) partiva per il suo primo viaggio di raccolta di canti popolari, seguito, dall’anno successivo, da Béla Bartók (1881-1945). Bartók e Kodály scoprirono le radici più antiche e limpide della musica popolare ungherese e, nell’insospettabile primordiale eredità euroasiatica, il più antico ed universale tesoro del popolo magiaro; riconobbero le basi comuni dello  sviluppo musicale nella cultura popolare, creando di conseguenza un linguaggio musicale nuovo, vario e allo stesso tempo universale, a partire dal materiale del mondo melodico popolare; espressero i suoi contenuti in modi diversi, ma di uguale intensità. Il successore più meritevole della poesia corale a cappella di Kodály fu proprio Lajos Bárdos. I suoi brani di musica sacra, in particolare, rappresentano, in moltissimi casi, l’armonizzazione di canti popolari in forma mottettistica. Nel 1962 portò a termine la prima stesura di ciò che sarebbe poi diventato un saggio, nel quale individuava un nuovo ordine tonale onnipresente nell’opera di Zoltán Kodály, denominato Heptatonia secunda.

lajosbardosSuccessivamente giunse ad individuare un altro nuovo ordine, che coerentemente battezzò Heptatonia tertia. Secondo Bárdos questi nuovi ordini tonali si strutturano a partire da cluster di suoni ricavati dalla colonna o circolo delle quinte. Questo approccio teorico-analitico rivoluzionerà gran parte dell’insegnamento compositivo musicale nell’Accademia di Musica di Budapest. Tra i musicisti che più stimeranno Bárdos e condivideranno questa nuova metodologia, sarà György Ligeti (1923-2006), che è stato anche collega all’Accademia, destinato a diventare uno dei compositori più d’avanguardia e riconosciuti al mondo del XX secolo.

Come Bach, anche Lájos Bárdos componeva musica per le liturgie quotidiane delle chiese e per cori. Come direttore, condusse contemporaneamente anche due battaglie culturali: da una parte combatteva contro il conservatorismo musicale degli anni ‘30, dall’altra contro l’ideologia statalista invadente nella musica degli anni ‘50. Le stesse battaglie proseguirono anche quando lavorò come editore musicale e come compositore.

Lajos Bárdos nasce a Budapest nel 1899 da una famiglia di intellettuali borghesi. Deve le sue prime esperienze musicali alla madre, Anna Kaufmann che, da musicista dilettante, suonava molto spesso al pianoforte. Stimolato da lei, a 10 anni Bárdos inizia a suonare il violino. All’età di 17 anni compie un’esperienza che gli apre il “meraviglioso mondo della musica”: su richiesta del suo insegnante di violino, Nándor Keltscha, sostituisce un secondo violinista ammalato in una compagnia che suona musica da camera. “Quando poi la domenica ci siamo riuniti, e ho cominciato a suonare con l’insieme del quartetto, mi si è aperto il paradiso della musica. Ho presto imparato anche a suonare il violoncello, perché  talvolta è capitato che mancasse il violoncellista”, raccontò più tardi János Mátyás. (Quanti colori ha la vita?, 1996). Si iscrive al liceo di via Attila e dopo la maturità si presenta al servizio militare. “Frequentavo sempre concerti e compagnie che suonavano musica da camera e alla fine dell’anno ho deciso: sarei diventato musicista”, racconta nei suoi ricordi autobiografici.

Nel 1919 sostiene l’esame d’ammissione all’Accademia di Musica per il corso di violoncello ma, non partendo successivamente questa specializzazione, non viene ammesso. Si prepara, in seguito, per l’esame d’ammissione dell’anno successivo. Questa volta mira alla specializzazione in composizione, poiché vuole diventare direttore d’orchestra. Nel 1920 viene ammesso alla classe di composizione di Albert Siklós. Nel 1921, dopo che Kodály torna all’Accademia, continua i suoi studi col grande Maestro, diventando membro di  quella famosa classe che sconvolse l’opinione pubblica musicale con il concerto di diploma nel 1925. “Frutti bacati, marci, putridi del giardino di Kodály che si sentono quasi puzzare” scrive, con tono molto offensivo, il critico di un giornale tedesco dell’alta borghesia di Budapest (Neues Pester Journal, 18 maggio 1925). L’attività di Kodály viene qualificata come “intenzionale influenza anarchista”. La musica del quartetto di Bárdos è apostrofata come “cacofonia falsa”. Kodály difende i suoi allievi, affermando la validità e la novità di questo approccio; li difende sia in quel momento sia più tardi, formulando nello stesso tempo per il pubblico l’essenza e il metodo della sua concezione didattica, con cui desiderava far arrivare la sua classe a livello d’avanguardia dei compositori europei.

Bárdos inizia la sua carriera di insegnante e pedagogo di musica nel 1925. Insegna per un quarantennio (1925-66) varie specializzazioni all’Accademia di Musica. È docente e responsabile della specializzazione in “Musica sacra” e “Direzione di coro” dal 1928 fino al 1949; è “Professore di liceo di musica” dal 1929; ha la cattedra di “Composizione” dal 1949 al 1951; su proposta di Kodály, è responsabile della specializzazione in “Musicologia”. Insegna musica sacra, teoria della musica, pratica di coro e prosodia. Crea lui stesso gran parte delle materie insegnate.

Fabian Imre, un allievo affezionato di Bárdos, lascia questa significativa testimonianza: “Sono grato di aver imparato a conoscere ed apprezzare la musica da Bárdos Lajos presso la Liszt Ferenc Zenemővészeti Egyetem di Budapest (Accademia di Musica Liszt Ferenc). Con Bárdos abbiamo appreso come avvicinarsi ai segreti di tanti capolavori musicali. Bárdos è sempre stato molto organizzato, preciso e chiaro, senza mai essere eccessivamente scrupoloso. Elaborò in modo creativo gli insegnamenti del suo maestro Kodály. Aveva un socievole rapporto con i musicisti ed in particolare con i coristi, con cui ha lavorato prevalentemente. Gli insegnamenti di Bárdos erano chiari e concisi, anche quando l’argomento era estremamente complesso e teorico. Ha compiuto grandi sforzi per rendere interessanti e anche divertenti gli argomenti musicali. A differenza di altri studiosi, Bárdos è stato un maestro nel portare la teoria alla pratica concreta. Essere originale è stata sempre una caratteristica del suo metodo di ricerca. La sua teoria è stata sempre suffragata dal suonare concretamente la musica, ma la musica non sarebbe stata possibile senza la sua teoria.

Molti articoli di Bárdos divennero noti per merito di pubblicazioni dell’Accademia di Musica e della rivista da lui fondata: Magyar Kórus (ad esempio, Modális harmóniák Liszt műveiben – Armonie modali nelle opere di Liszt; Heptatonia secunda, il miglior studio su Kodály nella letteratura musicale). Quando è stato pubblicato il primo saggio del volume Népi ritmusok Bartók mőzenéjében (Ritmi popolari nella musica di Bartók), ha ispirato una intera giovane generazione alla ricerca musicale su Bartók. Tutto il lavoro di Bárdos sarà sempre per la musica un punto di riferimento e di ispirazione. Bárdos un giorno disse: Mi auguro che i miei nipoti siano grati per ciò che ho esposto nei miei studi e, inoltre, che essi possano apprezzare consapevolmente ciò che ho lasciato in modo che possano andare avanti e inventare cose per se stessi”.

Nel corso della sua vita molto produttiva, Bárdos Lajos ha composto un gran  numero di opere religiose. Da un lato è stato considerato il successore della poesia corale a cappella di Kodály (di cui fu allievo dal 1921 al 1925) nell’armonizzazione di canti popolari; dall’altra ha ampiamente composto brani per la liturgia, sposando appieno le indicazioni del Motu Proprio di Pio X (1903) e basandosi sulle idee del movimento ceciliano.

Promulgato nel 1903 il “Motu Proprio” sulla musica sacra stabilisce nei suoi principi generali che: “La musica sacra, come parte integrante della solenne liturgia ne partecipa il fine generale; […] suo ufficio proprio principale è di rivestire con acconcia melodia il testo liturgico, […] così il suo proprio fine è di aggiungere maggiore efficacia al testo medesimo. […] La musica sacra deve possedere nel grado migliore […] la santità e la bontà delle forme […]. Deve essere santa […]. Deve essere vera […]. Ma dovrà insieme essere universale […].” (cfr. Papa Pio X, Motu Proprio, Istruzioni sulla musica sacra: I – Principi generali, punti 1 e 2; II – Generi di musica sacra, punto 3, 22 novembre 1903).

Dall’osservazione del materiale edito recuperato – delle case editrici Editio Musica Budapest e Magyar Kórus – si evince che Bárdos ha composto brani per le principali festività: Natale, Pasqua, Pentecoste, per altre occasioni e  commemorazioni liturgiche, oltre ad oratori, salmi e cantici. Accanto a quest’ampia produzione vi sono le sue quattro messe (denominate con le quattro numerazioni romane), opere sacre di più ampio respiro. Dal  punto di vista dell’organico, Bárdos si dedica a tutte le combinazioni possibili: brani per bambini o voci femminili, voci maschili, cori a voci miste, cori uniti. Nelle edizioni originali di alcuni dei suoi brani, le parti sono indicate con numeri romani che sono stati lasciati anche nell’edizione EMB, per affidare al maestro del coro la responsabilità di scegliere il genere di formazione vocale. I brani che iniziano con una breve introduzione d’organo possono essere interamente eseguiti con l’accompagnamento strumentale che raddoppia le parti cantate.

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Missa Quarta (Kyrie) – Bárdos Lajos (batt. 1-8)

Le sue composizioni corali sono state molto apprezzate in Ungheria e all’estero per il pregio delle linee melodiche, per la loro limpida prosodia – di cui Bárdos è stato insigne maestro – oltre che per il profondo senso della vocalità e delle polifonie. L’indissolubilità della correlazione fra la musica e il testo sacro è uno degli aspetti peculiari della sua sensibilità artistica e fa acquisire una fortissima valenza simbolica ai suoni e alle parole.

Esistono numerose varianti delle sue composizioni sacre, poiché Bárdos le affinava e adattava alle diverse formazioni corali che le interpretavano. Si possono perfino trovare versioni che portano le correzioni manoscritte del compositore stesso.

Innanzi tutto egli rispetta fedelmente le esigenze musicali peculiari del momento liturgico al quale è destinato il brano. È evidente in molti brani osservati, il riferimento al canto gregoriano e al recupero e rielaborazione dell’impronta modale, in sintonia con le linee espresse nel Motu Proprio.

Per quanto riguarda i generi di musica sacra si stabilisce che: “Queste modalità si riscontrano in grado sommo nel Canto Gregoriano […]. Per tali motivi il Canto Gregoriano fu sempre considerato come il modello della musica sacra” (cfr. Papa Pio X, Motu Proprio, Istruzioni sulla musica sacra: I – Principi generali, punti 1 e 2; II – Generi di musica sacra, punto 3, 22 novembre 1903).

Ulteriori caratteristiche fondamentali riguardano l’utilizzo delle tecniche compositive fortemente al servizio della “parola”, per esempio: l’uso dell’unisono e del “raddoppio”, come rinforzo melodico di una frase iniziale o significativa all’interno del testo;

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Missa Tertia (Kyrie) – Bárdos Lajos (batt. 1-6)

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Missa Tertia (Agnus Dei) – Bárdos Lajos (batt. 7-8)

il raggiungimento del culmine musicale del brano con l’attenzione sempre rivolta alle parole chiave del  testo;

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(Psallite Domino – Cantate salmi al Signore)

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Sperent in Te – Bárdos Lajos (batt. anacr. 16-17)

l’alternanza tra l’unisono e la risposta del coro, che ricorda la struttura della salmodia in cui vi è il dialogo tra la voce guida e l’assemblea;

le brevi introduzioni d’organo (presenti nella Missa Tertia, Quarta e in molti altri brani), che hanno la funzione d’intonazione del coro, a somiglianza della modalità che si usa nella liturgia per l’assemblea.

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Missa Quarta (Benedictus) – Bárdos Lajos (batt. 1-8)

Bárdos scrive a vari livelli di complessità artistico musicale, sempre con raffinatissimo gusto polifonico. Molti brani sono ad uso liturgico eseguibili da cori parrocchiali (egli stesso dirigeva il Cecilia Korus di Budapest, coro liturgico, anche se altamente preparato a tal punto da permettersi di andare in tournée); molti altri sono scritti per essere eseguiti in concerti, o in eventi religiosi speciali, da cori altamente professionali.

Per il suo approccio alla musica corale, insegnamento, studio e ricerca approfonditi ricevette insigni premi, come il “Premio Erkel”(1953) e il “Premio Kossuth” (1955). Nel 1970 gli sarà conferita la “Medaglia d’oro dell’Ordine del Lavoro” e sarà considerato “Artista eccellente” di tutta l’Ungheria. Nel 1985 riceverà il prestigioso “Premio dei bambini” per i suoi brani e insegnamenti pedagico-musicali dedicati all’età dell’infanzia e alle scuole superiori.

A conclusione di questo scritto riteniamo suggestivo riportare la testimonianza di un corista di Bárdos, che ricorda il modo di concertare il coro da parte del maestro e quanta passione mettesse in ogni prova musicale.

[…] Quando avevamo il maestro Bárdos di fronte al coro, osservavamo le sue espressioni che riflettevano tutto il dolore e la gioia della musica. Sapeva sempre tradurre i suoi sentimenti con adeguate modalità di espressione e comunicazione per il pubblico. La consapevolezza di una strategia come conduttore veniva dalla sua empatica esperienza interiore. C’è sempre stata una particolare energia tra lui, noi e gli ascoltatori. […] Il primo passo da seguire, nell’apprendimento empatico del brano, è quello di comprendere bene il testo, indipendentemente dalla lingua in cui è stato scritto. Bárdos sottolineava una chiara enunciazione del testo, anche in brani molto difficili. All’inizio della prova faceva cantare l’intero brano senza interruzioni, per poi lavorare sui dettagli. Tutto il coro rimaneva nella stessa sala in modo che le diverse sezioni si potessero ascoltare l’un l’altra. Per imparare la musica del brano occorreva partire col finale. E’ sempre stata sua convinzione che la parte più difficile e che consuma più energia è proprio il finale. Voleva che noi fossimo sempre freschi ed energici, mentre ripetevamo il finale. Questo metodo è sempre riuscito. Non abbiamo mai cantato più volte, di nuovo, lo stesso canto, poiché sarebbe diventato monotono. Bárdos era ben consapevole dei pericoli di praticare in eccesso la stessa parte musicale: avrebbe ucciso la passione e reso monotone le nostre prestazioni. Ha sempre dimostrato, eseguendo personalmente, ciò che voleva raggiungere. La sua voce era espressiva e ricca di sfumature. […] L’uniformità del nostro canto è stata realizzata, per la maggior parte, cantando insieme come una sola sezione. Voci maschili e femminili, sono diventate un tutt’uno cantando canzoni popolari e canti gregoriani eseguiti all’unisono. L’unica pratica di riscaldamento vocale, che abbiamo sempre avuto, è stato proprio cantare all’unisono. Bárdos sentiva che questo era l’unico modo, per il coro, di entrare fortemente in sintonia. […] Noi non siamo mai stati accompagnati al pianoforte, durante le prove, tranne che per la preparazione di un oratorio. La teoria di Bárdos era che i cantori potevano essere formati, nel rimanere in tono e nel ricercare una naturale chiarezza delle loro voci, solo se non accompagnati da strumenti.

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Coro…..familiare per Lajos Bárdos

Da questa testimonianza riscontriamo come egli stesso si sia sempre posto come “modello” appassionato, attivo ed esecutivo nei confronti dei cantori. Questo approccio dimostra e trasmette come il “Direttore di coro” debba coinvolgersi personalmente e concretamente (e non soltanto a livello teorico) nei confronti dei propri cantori. Il suo modo è sempre sensibilmente attento soprattutto alle relazioni umane, oltre che alla direzione dei cori e alla concertazione dei repertori.

L’insegnamento che ne traiamo è che il “Direttore di coro” non deve mai dimenticarsi che il coro che ha di fronte, prima di essere “strumento” è fatto di “persone” che richiedono rispetto e dignità.