Marco Enrico Bossi (Salò, 25 aprile 1861-Oceano Atlantico, 20 febbraio 1925), di cui ricorre quest’anno il centocinquantenario della nascita, riconosciuto come uno dei più celebri organisti italiani, ebbe un rapporto privilegiato con la città di Bologna, che lo ricorda avendogli intitolato la sala dei concerti del suo Conservatorio. Bossi fu nella città felsinea in due momenti fondamentali della sua vita avendovi iniziato la sua formazione musicale presso il Liceo Musicale (pianoforte con Giovanni Poppi) ed essendovi tornato in qualità di direttore ed insegnante di composizione fra il 1902 e il 1911.

Bossi è ricordato principalmente come autore di importanti opere per organo ma, in realtà, il Maestro dedicò parecchi dei suoi sforzi compositivi anche al coro, specialmente quando si trovava a Como in qualità di Maestro di Cappella della Cattedrale (1881-1889). Terminati gli studi presso il Conservatorio di Milano, col pragmatismo che distinse tutta la sua famiglia, cercò immediatamente un posto di lavoro sicuro. Forte dell’esperienza paterna (suo padre, Pietro, era organista presso la Collegiata di San Giovanni in Morbegno e Marco Enrico era nato a Salò dove il padre era organista prima di trasferirsi in Valtellina), aveva concorso a quel posto con in mano i diplomi in Composizione ed in Pianoforte, classificandosi secondo e ottenendo l’incarico per la rinuncia da parte del vincitore, Napoleone Carozzi. Un articolo del capitolato che regolava il rapporto fra il Maestro di cappella e Organista del Duomo, obbligava l’artista a “presentare all’Archivio della Musica di questa Cattedrale i seguenti pezzi nel giro di cinque anni da rimanere di proprietà della fabbriceria; e cioè nel primo anno una Messa intiera, nel secondo un Kyrie e un Gloria in excelsis; nel terzo un Credo ed un Mottetto; nel quarto un Salmo ed un Magnificat pel Vespro, e nel quinto un Sanctus, Litanie della Beata Vergine ed un Tantum Ergo; e terminato questo giro, ogni quinquennio nel caso di continuazione del servizio si tornerà da capo, potendo però la Fabbriceria variare i pezzi onde aumentare l’archivio musicale” [1].

Marco Enrico Bossi

Il compositore Marco Enrico Bossi

Bossi non possedeva una preparazione specifica per quanto riguarda la musica corale (anche perché la Scuola di Direzione di Coro era ancora ben lungi dall’essere istituita presso le scuole musicali italiane) e il coro in chiesa non era ancora quello che sarà dopo il Motu Proprio promulgato da Pio X nel 1903. Nella sua funzione di Maestro di Cappella Bossi doveva dirigere (o, meglio, accompagnare all’organo) 8 Cantori, 4 ordinari e 4 straordinari pagandoli col proprio salario che era di 4.500 lire all’anno e dei quali 1.350 erano destinati ai cantori. Ben 35 sono i brani corali che Bossi lasciò all’Archivio della Cattedrale comasca: si tratta di composizioni liturgiche, fra cui si contano ben 5 Messe intere, svariati Mottetti e brani per la Settimana Santa, per lo più destinati a gruppi di voci miste con accompagnamento d’organo e in qualche caso con la presenza di voci soliste. Di questi brani, nei quali si evince la già solida preparazione nel campo della musica sacra del giovane musicista, si distingue il Mottetto Tu es Petrus per basso e coro a 4 v.m. e organo del 1888. Altri brani sacri vennero pubblicati da edizioni italiane e tedesche (Capra, Bertarelli e Rieter-Biedermann). Fra questi: a) il ponderoso Tota Pulchra op. 96 per coro a 4 v.m. e organo; b) l’Inno di Gloria, conosciuto anche come Cantate Domino, op. 76a (il num. d’op. 76 si riferisce alla versione per organo solo del medesimo brano), lavoro dal carattere vigoroso e solenne di cui esistono svariati adattamenti secondo uno stile proprio del compositore che amava rielaborare i propri pezzi meglio riusciti adeguandoli alle varie esigenze esecutive; la versione per coro a 4 v. m. (con le voci raddoppiate, soprattutto nel finale), con organo concertante a cui in qualche caso viene aggiunto un quartetto di ottoni, è quella più nota; esiste, tuttavia, anche una rielaborazione per coro ad una voce con accompagnamento di grande orchestra che venne eseguita nella Thomas Kirche di Lipsia nel 1895. c) la Missa pro defunctis a 4 v.m. e organo, composta quando il Maestro si trovava a Napoli ad insegnare Organo nel Liceo Musicale ed eseguita al Pantheon di Roma il 9 Gennaio 1893 in occasione della annuale commemorazione del re Vittorio Emanuele II oltre che il 14 Marzo 1906, allorché si celebrarono i funerali del re Umberto I. d) la Mossa d’averno op. 87, su testo di S.S. Leone XIII, composta a Napoli nel 1893 e dedicata alla Schola Cantorum del Seminario Vaticano.

Interessante è pure la Missa pro Sponso et Sponsa, op. 110 per coro a più voci miste a cappella con organo o armonium ad libitum, composta su commissione del Ministro della Pubblica Istruzione, Emanuele Gianturco, ed eseguita in occasione delle nozze dei reali d’Italia (Savoja-Petrovich) avvenute nella Basilica di S. Maria degli Angeli a Roma nel 1896. Per la verità non si tratta di una intera Messa ma di soli tre pezzi tratti dal Proprio: il Graduale “Uxor tua sicut vitis” a 4 voci, l’Offertorio “In te speravi” a 5 voci, ed il Communio “Ecce sic benedicetur omnis” a 6 voci, nel cui ideale compositivo il Maestro, richiamandosi alla grande tradizione polifonica italiana mostra (per la verità in compagnia di altri grandi autori come R.Wagner [autore del ricupero di una nota Salve Regina palestriniana a 8 voci] e persino di G.Verdi!) di aver ben assimilato la lezione del bolognese Alessandro Busi, conosciuto in gioventù, e noto quale antesignano della moderna riscoperta dei classici italiani. Benché di impostazione differente, anche la Messa da requiem op. 90 per 4 voci virili, archi, arpa, organo o armonium, composta a Napoli per i funerali del nobile mecenate Benedetto Maglione, rispecchia la volontà di ricalcare gli stilemi dei grandi polifonisti del passato (secondo Giovanni Tebaldini “Bossi compose questa Messa animato dal proposito di farsi conoscere dai maestri della scuola napoletana d’allora per il contrappuntista che era”) pur tendendo l’occhio verso le nuove frontiere linguistiche che si stavano delineando agli albori del nuovo secolo. Ma l’opera corale bossiana annovera inoltre lavori di ancor più ampio respiro come Il Cieco, op 112, per baritono, coro a sei voci e orchestra, su testo di Giovanni Pascoli, o il Canticum canticorum op. 120, cantata biblica per mezzosoprano, baritono, coro, orchestra e organo composta a Venezia nel 1898-99, ritenuta l’opera bossiana fra le meglio riuscite, che ebbe, fra le altre, importanti rappresentazioni come quella del 14 Marzo 1900 nella Thomas Kirche di Lipsia, con direttore Georg Gehler, e quella del 26 e 27 Aprile 1903 al Teatro Comunale di Bologna sotto la direzione dell’Autore (Maestro del coro Vittore Veneziani).

Torre Civica, Broletto e Cattedrale di Como in una stampa d’epoca

Torre Civica, Broletto e Cattedrale di Como in una stampa d’epoca

Pur tralasciando la magniloquente enfasi tipica del tempo con cui il critico Luigi Torchi recensisce il brano sulla Rivista Musicale Italiana, non possiamo esimerci dal condividere che lo stile di Marco Enrico Bossi sia “elevato e il suo sentire profondo” e che nel brano si possono riscontrare “la potenza di effusione personale del compositore, comune a tutte le scene, più sensibile in quelle di amore e di dolore, esempi di delicatezza e di eccitabilità musicali squisite. Alla efficacia pronta della sua musica molto hanno giovato la libertà e l’arditezza della forma; la più ingenua, come la più elaborata polifonia e la monodia più toccante, sono animate da questo alito di libertà” [2]. È però Alessandro Picchi a fare, a nostro avviso, una più esaustiva analisi del brano: “l’opera è la conferma della capacità di Bossi nel trattare le voci, nell’impostare il dialogo fra coro, solisti e massa orchestrale. Si aggiunga la sapienza nel guidare i temi, che si riassumono nella dialettica continua della frase melodica “Ecce Panis Angelorum”, tolta dalla sequenza gregoriana Lauda Sion, e da una melodia ebraica derivatagli dal XV Salmo di Benedetto Marcello” [3]. Certo del grande valore del prodotto, e sicuro che avrebbe apportato dei vantaggi anche alla sua immagine, Bossi inviò la partitura del Canticum Canticorum ad alcuni fra i più celebri compositori europei del tempo. Camille Saint-Saëns gli rispose con una lettera da Vienna il 23 Aprile 1092: “Cher Monsieur et Illustrissimo Maestro! C’est une vraie fête, que vous avez voulu me procurer: la connaissance avec votre Canticum Canticorum. Voilà un’ouvre magistrale et sublime sans une page superflue, intéressant de la première jusq’à la dernière note. J’y trouve reuni forme (contrepoint naturel et admirable) et couleur d’une manière étonnante. Toute mon admiration et mes remerciements de coeur pour la grande joie que vous avez donné à votre bien devoué”. Giudizio altrettanto ammirato, e neppure troppo di circostanza, gli giunse da Parigi il 21 Maggio 1902, insieme con gli auguri e i complimenti per il nuovo incarico assunto quale direttore del Liceo Musicale di Bologna, da un altro celebre organista francese, Théodore Dubois, il quale, soffermandosi sul Canticum Canticorum, afferma: “La pensée en est très élevée, le developpement très logique et très complet, le parti que vous avez tiré di thème de “Ecce panis” très ingegneux et à effet, les harmonies très substantielles et serré sans être oscure, l’absence de tout banalité (…) Bravo donc, chèr Monsieur Bossi, et merci de m’avoir donné la joie de lire un’oeuvre d’un bon style, claire et distinguée comme la votre”. Altro lavoro di grande levatura è l’Oratorio Il Paradiso perduto op. 125, per soli, coro, orchestra e organo il cui testo è tratto dall’omonimo poema di John Milton nella versione italiana di Luigi Alberto Villanis. Composto a Venezia ed eseguito ad Augsburg il 5 Dicembre 1903 con la direzione di Wilhelm Weber, l’Oratorio venne recensito dalla Neue Zeitschrift für Musik in modo esaltante soprattutto per la capacità di Bossi di “trattare la massa corale saldando sapientemente le esigenze contrappuntistiche con la ricerca espressiva”. Riguardo a questi due ultimi lavori si segnala una affettuosa corrispondenza di Arrigo Boito che, in data 8 Novembre 1901, scrive a Bossi: “Intanto mi rallegro con vivo e forte compiacimento per la conquista che Ella ha fatto della Germania con quella splendidissima opera d’arte che è il suo Canticum. Dopo la Germania sarà la volta degli Stati Uniti e dell’Inghilterra e del Belgio e d’ogni altra nazione musicalmente civile. Non dubito che il Paradiso Perduto arrivi a pari altezza e gloria; dico pari perché maggiore non mi sembra possibile, benché tutto sia possibile ai grandi intelletti che hanno raggiunto la completa maturità della loro potenza e del loro sapere; e questo è il caso suo”. Composta fra il 1911 e il 1913 a Breccia, un sobborgo di Como, dove Bossi possedeva una casa che non aveva mai abbandonato anche durante le sue peregrinazioni in quel di Napoli, Venezia, Bologna , Genova e Roma dove aveva abitato per motivi di lavoro, la Cantata Giovanna d’Arco op. 135, è in forma di poema sinfonico-vocale, stile per altro già riscontrabile in simili lavori del grande Perosi, quali il Mosè e Il Giudizio Universale.

Marco Enrico Bossi ebbe modo di passare molto tempo insieme al futuro Maestro della Cappella Sistina quando i due musicisti si incontrarono nella città lagunare, uno in qualità di Maestro della Cappella Marciana e l’altro in qualità di docente di Composizione al Liceo Musicale Benedetto Marcello (anzi, documenti alla mano, sappiamo che fu Perosi stesso a raccomandare Bossi affinché potesse ottenere quel posto!). Possiamo dunque dedurre che oltre all’ammirazione vi fosse pure fra i due amici una sorta di positiva emulazione reciproca. Secondo Roberto Zanetti “Giovanna d’Arco nacque da quel momento d’approfondimento linguistico e tecnico che l’arte del Bossi conobbe intorno al 1910, come risposta personale a quanto andava avvenendo anche da noi e così impegnando il musicista nel trattamento quasi impressionistico della materia sonora, conseguendo soluzioni linguistiche, tecniche e espressive più avanzate e più varie che non quelle ottenute nel Canticum Canticorum e nel Paradiso perduto, ma anche una concezione architettonica globale più libera e meglio articolata”[4]. Il Mompellio vi rileva inoltre “idee più decisamente personali, sviluppo sempre basato sul principio tematico ma meno rigido e nelle simmetrie meno sillogistico. Maggiore curiosità nella continuazione delle melodie, maggiore libertà d’atteggiamenti, a cui molto contribuisce la rinnovata concezione armonico-tonale del compositore” [5].

Ritratto fotografico di Marco Enrico Bossi con dedica “a Giovanni Tebaldini che in un / momento angoscioso di mia vita / artistica si è dimostrato più che / amico fratello; col più caldo affetto / offre M. Enrico Bossi / Napoli 6 / 7 90”.

Ritratto fotografico di Marco Enrico Bossi con dedica
“a Giovanni Tebaldini che in un / momento angoscioso di mia vita /
artistica si è dimostrato più che / amico fratello; col più caldo affetto /
offre M. Enrico Bossi / Napoli 6 / 7 90”.

Ultimo brano corale in ordine cronologico, ritenuto dal Mompellio [6] “pregevole nella sua spontanea scorrevolezza, ma senza un posto di rilievo nella produzione del Bossi”, è la Cantata a Siena, op. 141 per baritono, coro femminile, piccola orchestra e organo. Il brano, su testo del poeta senese Ezio Felici, venne eseguito nel 1923 per il concerto di inaugurazione del salone dei concerti del Palazzo Chigi Saracini (odierna sede della Accademia Chigiana) al quale Bossi partecipò sia in qualità di organista che di compositore. Il catalogo delle musiche corali di Marco Enrico Bossi, tuttavia, non si esaurisce qui. Alcuni lavori su testi profani, ad eccezione dei Tre Cori a due voci femminili con pianoforte (oppure con piccola orchestra) op. 67, pubblicati da Ricordi nel 1883 e da Grey nel 1925, vennero riportati nei cataloghi autografi (sono tre, conservati presso la Biblioteca del Conservatorio di Milano, grazie alla donazione del figlio Renzo, anch’egli affermato musicista) senza un preciso numero d’opera tanto da farci pensare che il Maestro non li ritenesse di primaria importanza al pari delle opere summenzionate. Essi trovarono tuttavia il favore di alcuni editori, non solo italiani, dell’epoca ed evidentemente di gruppi corali disposti ad eseguirli. Qualche titolo: Primavera classica (testo di G.Carducci, ed. Rieter –Biedermann, 1907); Quiete meridiana, a 4 voci virili (testo di A.Fogazzaro, ed. Schirmer, 1914); A Raffaello divino, a 4 v.m. con pianoforte (testo di F.Salvatori, ed. John Church, 1921); Il brivido, a 4 voci virili con pianoforte (testo di G.Pascoli, ed. Pizzi, 1922); Le rondini, a 4 voci virili (testo di Autore Ignoto, ed. Zanibon, 1925). Purtroppo oggi la maggior parte di queste partiture, ormai fuori mercato, non è più reperibile se non in qualche sperduta e polverosa stanza di qualche biblioteca musicale, lungi dall’essere investigata da sensibili e illuminati direttori dei cori di casa nostra. Così la ponderosa opera corale del grande organista italiano attende di essere ricuperata e diffusa, allorché passerà qualche moda e si inneschi quella giusta. Per la verità qualcosa si sta muovendo, soprattutto grazie all’impegno di più di una casa editrice italiana; ci si augura che lo sforzo degli editori trovi l’interesse anche dei nostri Cori e, soprattutto, dei loro direttori.

 

[1]cfr. A.Picchi, “Marco Enrico Bossi a Como” in Rivista Internazionale di Musica Sacra, Anno 5 n.3,4; Milano, 1984.
[2] cfr. L.Torchi, “Il Cantico dei Cantici di Bossi” in Rivista Musicale Italiana, anno VII Fasc. 4°, Fratelli Bocca Editori, Torino, 1900.
[3] cfr. A.Picchi “Marco Enrico Bossi organista e compositore”, Casa Editrice Pietro Cairoli, Como, 1966.
[4] cfr. R. Zanetti, “La musica italiana nel Novecento”, Bramante Editrice; Busto Arsizio, 1985.
[5] cfr. F. Mompellio “Marco Enrico Bossi”, Ulrico Hoepli Editore; Milano, 1952.
[6] ibidem.