festival primavera

Da due anni sono invitato al Festival di Primavera quale docente. La Feniarco propone un’esperienza impegnativa, per tutti i partecipanti, ma che ripaga per quello che trasmette prima (la preparazione), durante (elettrizzante mix dove si fa musica con la voce, si impara, ci si diverte e si sta bene con gli altri), dopo (repertorio, contatti, ricordo). È un’iniezione di fiducia, di positività, la voglia di cantare è nell’aria, nel volto dei ragazzi e insegnanti, di chi lavora per preparare il tutto. Alunni che si spostano per le vie, docenti, colleghi, staff organizzativo: incontri, saluti, contatti, scambio di idee e repertorio. Ogni classe partecipa ad un atelier composto da altre tre o quattro scolaresche per un totale di un centinaio di cantori; c’è un tema specifico per ogni atelier, con un fascicolo apposito che viene dato ad ogni corista. uaLa fase preparatoria e l’attesa a scuola caricano i giovani cantori di aspettative e di curiosità: aspettative e curiosità che si moltiplicano quando le energie si fondono nel grande coro dell’atelier. I concerti serali concludono l’intensa giornata e qui la singola scuola ha modo di presentarsi. Viene a galla l’esperienza (chiamiamola anche preparazione, personalità, carattere) dell’insegnante/ direttore. Alcuni puntano sulla difficoltà dei brani, altri sul movimento del body percussion.Chi rigorosamente a cappella, chi solo con accompagnamento. Ci sono anche ottimi insegnanti che, calcolando il potenziale vocale, propongono con oculatezza il giusubto repertorio, mettendo insieme didattica ed effetto, strumenti e voce. Il Festival non è solo per i giovani cantori, ma è utile anche ai preparatori. I direttori iscritti al corso del Coro LAB hanno la possibilità di spostarsi da un atelier all’altro per assistere alle lezioni: ottima idea, per respirare il “dietro le quinte” che dà spunti utilissimi sulla tecnica della prova e la capacità del docente di tener viva la concentrazione di ragazzi che non sono abituati alle due o tre ore consecutive di attività corale. L’anno scorso il mio atelier era Tapum, guerra e pace, dovevo avvicinare i giovani cantori e strumentisti della Scuola Media alla Grande Guerra con famose pagine Festival di Primavera(Tapum, Monte Canino e Monte Pasubio di De Marzi)proposte nella melodia originale, ma riviste nell’accompagnamento pianistico (vedi FarCoro n. 3 sett/dic 2015). Non nascondo la mia iniziale preoccupazione data la drammaticità dell’argomento: portare in scena il dolore in un’occasione così sfavillante come il Festival di Primavera significava chiedere ai ragazzi una buona dose di serietà e determinazione. Loro hanno risposto con grande impegno intonando con voce piena e convinta canti tanto lontani dalla loro anagrafe. Ho presentato il repertorio iniziando dalla lettura del testo, identificando tra i versi la parola chiave per meglio interpretare il brano. Ho spiegato ucloro il significato di alcuni termini, ho descritto i luoghi della guerra. Viene poi la drammatizzazione: una voce declama sopra il sordo rumore dei passi,si marcia sul posto, ma… senza accelerare, per favore! Proviamo anche il glissato per l’effetto del vento: passi, sussurro, glissato, dolore, fatica, incubo, tutto è palpabile. Dopo arriverà la melodia e l’accompagnamento, dopo. “Ma gli alpini non hanno paura” è liberatorio! Emozionante, obiettivo raggiunto! Significativo il commento di alcuni presenti al concerto finale: è bello vedere i nostri giovani cantori così interessati; è bello tornare alla cantabilità della nostra lingua italiana per una volta libera dalla componente ritmica, oggi troppo presente nei repertori dei cori scolastici e giovanili. Uno dei vigili del fuoco (presenti al Palatenda per la sicurezza) viene a ringraziarmi un po’ commosso, udperché “erano tanti anni…” Alle riletture dei canti della guerra ho unito una mia rivisitazione del nostro Inno Nazionale, farcito con sette citazioni – brevi temi facilmente riconoscibili – che hanno reso grande la musica italiana nel mondo. Un Inno va oltre il testo e al tempo in cui è stato scritto, non è solo parola, ma melodia, armonia, controcanto, ricordi e nuove idee, che fanno slalom tra Mameli e Novaro ai quali non è stata cambiata una virgola. Viene qui presentato nella versione per pianoforte, flauto e voce nella giusta tonalità dell’esecuzione scolastica (o di coro estemporaneo). Esiste anche una veste per solo canto e piano ed un’altra per canto ed orchestra. Dietro la presenza di uno dei tanti alunni al Festival di Primavera c’è una famiglia che sostiene economicamente la partecipazione del proprio figlio: non sono tempi facili ed è quindi un aspetto che va sottolineato e molto apprezzato. La scuola di provenienza iscrive la classe, ma non può sostenere le spese di viaggio, vitto e alloggio. Me lo conferma una collega insegnante che ha partecipato al mio atelier. Conosciamo molto bene le difficoltà della scuola dell’obbligo nel proporre viaggi di istruzione o eventi extrascolastici. Essere presenti al Festival significa quindi coinvolgere altri (i familiari), confermare la portata pedagogica del canto corale; è educazione che si allarga e che va oltre ai tre giorni canterini. La classe porta a casa i brani studiati ed eseguiti durante il Festival che diventano un arricchimento del repertorio da cantare a scuola. Gli insegnanti possono disporre di nuove proposte, (anche quelle degli altri atelier), idee, stimoli; osservano la reazione dei loro ragazzi in una situazione di contagio elettrizzante, davanti ad un nuovo docente. Quest’anno il mio tema era Un’Italia di suoni; volevo presentare un nuovo brano che menzionasse tutte le regioni italiane, per non correre il rischio di escludere e mortificare qualche coro scolastico inserito nel mio atelier. Marco Ongaro, autore di testi teatrali e cantautore veronese, c’è riuscito e mi ha consegnato in pochi giorni un affresco davvero brillante. Si va dall’Alpe all’Appennino, dalla pianura al mare, penisola fatidica, repubblica a stivale. Ci sono le venti regioni, ma anche i fiumi più lunghi. Ne è uscito un “Hip hop… quasi” (questa è la mia indicazione di all’inizio) per quattro rapper, coro a due voci e pianoforte (la percussione è benvenuta, ma con il giusto dosaggio). Mi sono lasciato anch’io prendere dal tumtumcià, senza rinunciare però alla cantabilità e il ritornello ha una chiara matrice melodica. Il brano (qui allegato) presenta qualche difficoltà e i rapper devono misurarsi con scioglilingua davvero serrati: Veneto Piemonte Val d’Aosta Lombardia Bloccate dalle Alpi che non scappino via… e più avanti e tutt’a un tratto il dado è tratto al Rubicone ma in quale regione per quale ragione? dove il cambio di vocale re/ra è più chiaro se mimato con l’alfabeto delle mani. Souvenir d’Italie ha rappresentato l’altro terreno di lavoro, alla riscoperta dei motivi nostrani e del senso melodico. È un adattamento per solista, coro ad una voce, seconda voce ad lib. pianoforte e flauto traverso, anche questo appositamente composto per il Festival. Già nel 1985 avevo raccolto in un pot-pourri (oggi medley) per coro misto una serie di temi per un ideale viaggio tra le nostre regioni. L’esecuzione suscitava simpatia ed erano compiaciute le parole di commento, ma diventavano dispiaciute quando la regione in cui eseguivo non era rappresentata da nessun inserimento. Questo spiega la specifica richiesta a Marco Ongaro di cui sopra. Si parte con Funiculì funiculà, si passa per un breve Arrivederci Roma, una puntatina a Venezia con La biondina in gondoleta, un appassionato Non potho reposare; completano Ciuri ciuri, Vola vola vola, La Montanara, O sole mio. Piccoli assaggi, appena il tempo di iniziare che già attacca il tassello seguente. Le ore di lezione (tre al mattino e tre al pomeriggio) sono lunghe da passare, considerando che per i giovani cantori un’esposizione così prolungata al canto corale è un’esperienza del tutto nuova: vocalizzi, ascolto e ripetizione della propria parte, memorizzazione, assieme, accompagnamento, la nuova disposizione da fissare dato che non è la sola classe, ma cento e più ragazzi. Non è ancora il momento dell’intervallo, ma c’è bisogno di una pausa, senza lasciare la sala prove: chiedo allora di recitare una poesia, un motto, una filastrocca nel dialetto dei nonni. La parentesi si trasforma in un momento davvero suggestivo: la singola voce che declama, il suono e il ritmo delle strane sillabe: che vorranno dire? La diversità dell’accento, della pronuncia, parole che raccontano. Si torna allo studio con la declamazione del Souvenir in fase di preparazione: La biondina in gondoleta l’altra sera go menà… e noto la mano alzata di un’alunna di una scuola romana; la domanda arriva subito: perché l’ha menata? se le voleva bene perché l’ha picchiata? Lezione nella lezione, spiego il doppio senso e si ride volentieri. Il concerto finale è l’ultima fatica nel corso di una lunga mattina. All’aperto si fanno gli esercizi per la respirazione, i vocalizzi, le ultime raccomandazioni. La prova di palcoscenico è breve, si ha appena il tempo per un’esecuzione. Serve capacità di sintesi, concentrazione e tutta l’essenzialità di cui si dispone. Anche questo fa parte del bagaglio tecnico del direttore. Bisogna portare a compimento tutto il lavoro preparatorio, ma deve rimanere una festa e quindi il dosaggio tra “carota e bastone” va ben calcolato. Si va in scena, siamo concentrati e tutti mi guardano. Respiro, attacco… ed è già finito. Sorrisi, foto, ringraziamenti reciproci e i saluti prima della partenza. Nelle settimane successive seguono varie mail: abbiamo eseguito al saggio finale i pezzi, sono piaciuti. Grazie! Sono io a ringraziare: grazie alle colleghe e colleghi insegnanti, a chi ha ideato il Festival e lavora perché tutto ciò avvenga.

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