dkRequiem, op. 9

Il Requiem (Messa per i defunti) è una delle più importanti parti della Liturgia della Chiesa cattolica a partire dal XI secolo. Nella Messa da Requiem vengono omesse alcuni parti dell’Ordinarium (Gloria e Credo) e vengono inserite parti specifiche come l’Introito (Introduzione), Dies irae (Giorno dell’ira), Lux Aeterna (Luce Eterna), Libera me, Domine (Liberami, Signore). La parola Requiem viene tratta dalla recita della prima preghiera dell’Introito: «Requiem aeternam dona eis, Domine” (Eterno riposo dona a loro, Signore). Nel corso della storia, molti compositori si sono cimentati nello scrivere un Requiem basandosi, come fonte tematica, sulle melodie originarie gregoriane; per esempio Dufay, Ockeghem, La Rue, Vittoria, Mozart, Berlioz, Verdi, Liszt, Brahms, Pizzetti, Britten, Ligheti. Anche Duruflé si rifà “fedelmente” alla melodia gregoriana nel VI Modo Ipolidio adottata dai monaci benedettini di Solesmes:

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Sulla scia dello stile compositivo musicale di Gabriel Fauré, che ruppe la tradizione di scrivere un Requiem di carattere prevalentemente “drammatico”:
Compose il suo Requiem in Re minore, Op. 48 tra il 1870 e il 1890, offrendo un aspetto confortante della morte, come per voler trasmettere una via d’uscita verso un luogo di pace e di riposo, invece che un terribile luogo di arrivo. Su quello che gli fu detto, Fauré rispose: «È stato detto che il mio Requiem non è riuscito a trasmettere la condizione terribile della morte… ma questo è come io la immagino: oltre una resa piena di pace e un desiderio di felicità nell’aldilà».

Anche Duruflé, come omaggio vero e proprio al grande Maestro, proseguirà con questo stile estetico, che confermerà una nuova tradizione tipicamente francese. Non a caso entrambi non musicheranno il Dies irae, movimento considerato tipicamente il più “drammatico” di tutti i testi e i brani della Messa per i defunti.

Il suo Requiem, Op. 9 (dedicato alla memoria di suo padre), in tre versioni: per coro, organo e orchestra, coro e organo, coro e quintetto d’archi e organo (con opzione delle trombe, arpa e timpani), è sicuramen­te il più lungo e complesso lavoro che realizzò nella sua vita professionale musicale. Sembra che Duruflé stesse già lavorando su una suite di brani dedicata ai de­funti, quando gli fu chiesto di scrivere un vero e proprio Requiem dal suo editore fran­cese Durand.

Duruflé accettò, mettendo subito in atto la sua coerente idea nel voler mettere insie­me il mondo antico, con le sue melodie gregoriane – perfettamente in sintonia anche con le indicazioni del Motu Proprio del 1903 di Pio X (come farà poi anche per i suoi Quatre Mo­tets sur des thèmes grégorien pour choeur a cappella, Op. 10) – con un ambiente armonico e un’orchestrazione moderni e tipicamente del XX secolo. Le sue infles­sioni neomodali si rifanno in particolare alla musica di Debussy e Ravel. Lui stesso dichiarò che l’opera orchestrale di Debussy Prélude a l’Après-midi d’un faune è un capolavoro che “adora”.

Da una dichiarazione fatta direttamente dal nostro compositore, sul suo Requiem affermò: «Il mio Requiem è costruito interamente su temi grego­riani della Messa per i defunti. Il testo è a volte il prota­gonista assoluto, e quindi l’orchestra interviene solo per sostenere o per commentare il significato delle parole. Altre volte un tessuto musicale originale ispirato dal te­sto, prende completamente il sopravvento.»

Canto gregoriano, modalità, stile compositivo ric­chissimo di contrappunto e armonie moderne, origi­nalità, forza e bellezza estetica ed espressiva, offrono agli esecutori un’occasione per un’interpretazione musicale e una libertà ritmica sensibilissima, che si traduce con un flusso naturale e profondamente scorrevole del testo e della musica.

Come già detto, Duruflé sceglie di procedere attra­verso un’estetica avviata da Fauré, con un’orchestra­zione intima e riservata. Perfino nei momenti in forte o fortissimo, continua a sentirsi un ambito musicale, polifonicamente e armonicamente profondamente delicato e raffinato. Il Requiem è strutturato da nove movimenti, ciascu­no con una struttura tripartita: Introito, Kyrie, Do­mine Jesu Christe, Sanctus, Pie Jesu, Agnus Dei, Lux Aeterna, Libera me e In Paradisum. Come per Fauré, anche Duruflé fa eseguire da un Baritono solista il Domine Jesu Christe e il Libera me e da un Mezzosoprano il Pie JesuPur componendo entrambi il Requiem in Re minore, per Duruflé la tonalità si muove molto anche in am­biti più aperti, ma anche più modali e sicuramente più moderni.

La prima versione per coro, organo e orchestra fu scrit­ta nel 1947 e si dice che fu la versione preferita dal no­stro compositore. Nel 1948 scrisse la seconda versio­ne per coro e organo, con l’intento di far usufruire quest’opera anche ai cori nelle chiese. Nello stesso anno si dedicò anche alla terza versione per coro, archi, organo e parti opzio­nali per un arpa, trombe e timpani.

Analisi Musicale

(a titolo esemplificativo ci si è dedicati alla versione per coro e organo – Introito e Kyrie – ritenendola an­che più adatta per i nostri cori iscritti all’AERCO e alle associazioni corali dei nostri territori)

Introito

La struttura di questo movimento è nella tipica for­ma ABA ternaria.

Il primo accordo è un Re minore con la settima (I7). L’ambito armonico risulta già ambiguo fin dall’ini­zio. Possiamo certamente interpretare questo inizio in un ambito di carattere “modale”. L’accompagna­mento si libera in un arabesco che scoglie proprio l’accordo di settima di primo grado, con note di vol­ta e di passaggio sui suoni di Sib e Sol.

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L’ambiguità tonale che riscontriamo da subito, è dovuta anche dal fatto che l’entrata delle sezioni maschili rispetta fedelmente la melodia gregoriana nel tono di Fa (Modo VI modo ipolidio). Si crea così all’ascolto un procedimento melodico armonico che ruota tra il tono di Re e di Fa. Lo dimostra anche che il lungo finale di questo movimento che si conclude proprio in Fa Maggiore, e rispetta fedelmente anche la Finalis della melodia gregoriana. Battute 56-fine movimento:

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L’assetto armonico, nel suo complesso si muove verso il modo dorico (Re), eolio (La), frigio (Mi) e misolidio (Sol), per poi finire appunto in ipolidio (Fa).  
Dal punto di visto metrico e ritmico, Duruflé rispetta fedelmente il flusso scorrevole della declamazione del testo, alternando liberamente battute binarie e ternarie, tempi semplici e tempi composti, forme irregolari. Occorre quindi tener ben presente un’esecuzione che segua gli accenti naturali del testo liturgico, così da continuare ad esprimere e a richiamare il gusto declamatorio e gregorianeggiante di questo brano. Attenzione quindi per analisi esempio, già dalla battuta 2, dove le sezioni maschili iniziano a cantare sul secondo quarto con la parola Requiem. Questa partenza non è da interpretare come se fosse un attacco in acefalo. Cadremmo inevitabilmente nell’errore di accentare l’ultima sillaba della parola Requiem (èm), che ci falserebbe tutto il fraseggio melodico e prosodico. Il corretto accento della parola Requiem, è infatti sulla prima sillaba (Rè). La seconda Sezione (dalla battuta 24) inizia sul tono di La minore e sul gusto del modo Eolio. Lo conferma la cadenza
Vm-I a fine frase, senza l’utilizzo della sensibile Sol#.

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Duruflé non cambia le alterazioni in chiave, forse come per lasciare e ricordarci che l’impianto tonale complessivo è sempre in Re (minore) e Fa (Maggiore). Ma sia dalla scrittura sia all’ascolto, il recitativo, affidato stavolta alla sezione dei Soprani, ruota sistematicamente attraverso le corde madri di La e Do, mantenendo il profilo melodico originale gregoriano, ma trasportato una terza sopra e spostandosi dall’ipolidio (Fa) all’eolio (La).
deUn elemento sottile di novità, Duruflé lo inserisce con le terzine. Insieme alla variazione metrica, si viene a creare

così un fraseggio molto dinamico e interessante, nonostante la melodia sia concentrata tutta sui due suoni di La e Do, con la sola nota di passaggio Si (bequadro). Alla fine di questa Sezione, si torna al tema iniziale, ma Duruflé ci propone un modo nuovo di esporre la ripresa. È una variazione semplice, che fa ascoltare l’elemento nuovo, ma allo stesso tempo fedelmente ripreso dalla prima parte. Affida all’Organo il tema gregoriano (accompagnato sempre dall’arabesco e dai pedali in sintonia con la prima Sezione) e fa eseguire il testo Requiem aeternam dona eis Domine alle sezioni maschili e femminili all’unisono su nota ribattuta di Do, Re, nuovamente Do e La. In questo modo l’Organo entra pienamente a dialogare col coro, come se fosse esso stesso un secondo “coro”. È anche la dimostrazione di ciò che Duruflé stesso dichiarava, e cioè che «l’orchestra (nel nostro caso l’Organo) interviene solo per sostenere o per commentare il significato delle parole». Con questo intervento, da una parte l’ascoltatore è portato a ricordare il testo e la melodia originale gregoriana attraverso lo strumento, e dall’altra ascolta il coro (che porta ancora avanti il recitativo appena lasciato dalla seconda Sezione), in un perfetto e coerente meccanismo di collegamento polifonico e testurale. La struttura di questo secondo movimento è praticamente identica a quella precedente: ABA ternaria. Duruflé concatena il primo movimento direttamente col secondo attraverso la locuzione Enchaînez (Concatenamento), accentuando la sensazione di continuità tra i due brani. Il secondo movimento, infatti, va attaccato subito. Kyrie Questa volta, ritmo e tonalità rimangono fissi e chiari dall’inizio alla fine: 3/4 e Fa Maggiore. La ragione può essere motivata dal fatto che l’assetto polifonico, così intenso e complesso, è affidato esclusivamente allo sviluppo interno del coro e all’organo, che interagisce direttamente e continuamente con le voci. Coro e Organo diventano un tutt’uno. Duruflé avvia i Bassi, rispettando l’Incipit originale della melodia gregoriana sulla parola Kyrie, per poi sviluppare tutto il suo contrappunto complesso.

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Dopo l’esposizione del soggetto da parte dei Contralti e dei Soprani, compare una quinta voce all’Organo. È nuovamente l’Incipit della melodia gregoriana (con raddoppio all’ottava) sulla parola Kyrie, questa volta inserita sotto forma di Cantus firmus. Assume certamente lo scopo di potenziare la melodia originaria gregoriana. Battute 10-16:

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Duruflé qui trova un modo molto intelligente per dar spazio alla sua creatività polifonico contrappuntistica e allo stesso tempo per stare fedelmente ancorato alla sua fonte originaria che ha scelto. L’insieme delle armonie che si vengono a creare dall’intenso movimento delle voci, crea liberamente numerose “dissonanze”, sempre comunque “naturali” e adatte alla testura polifonica utilizzata. Nella seconda Sezione, sulle parole Christe eleison, Duruflé opta stavolta per la composizione di una nuova melodia. Prende spunto dalla linea melodica della parola eleison, per poi svilupparla creativamente e liberamente.

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Come nel primo movimento, anche in questa seconda Sezione ci spostiamo sul tono di La minore (che ricorda il modo eolio) con l’esecuzione da parte soltanto delle sezioni femminili, che procedono continuamente in imitazione fra loro. La ripresa si inserisce, attraverso un effetto di dissolvenza, con i Bassi brillanti in ff sulla parola Kyrie nell’ultima battuta dei Soprani e Contralti che stanno cantando la parola Christe. Si da il via all’ultima Sezione in imitazione alla quarta (Tenori), alla quinta (Contralti) e nuovamente alla quarta (Soprani) in un crescendo testurale che porterà al “culmine” del movimento alla battuta 58, con i Soprani che arriveranno fino al Lab acuto. In questa parte le armonie di Fa Maggiore sono occasionalmente colorate anche dalla presenza del Mib, che sembra suggerire un approccio alla tonalità di Sib Maggiore, senza mai modulare in modo vero e proprio a quel tono. Spesso i compositori usano il settimo grado della scala abbassato, anche per evitare o ridurre il più possibile l’utilizzo della Sensibile, che produrrebbe all’ascolto un andamento musicale più tradizionalmente classico. Raggiunto il climax, come nel primo movimento, vi è man mano una distensione di tutta la testura sia vocale sia strumentale, per terminare nuovamente con un lungo pedale di Tonica – Il coro conclude sull’accordo perfetto di Fa Maggiore, da intendersi ancora una volta (come nel primo movimento) come Finalis in riferimento alla nota conclusiva della melodia originale gregoriana – che è raggiunto intelligentemente con un movimento melodico ascendente del basso, evitando così la formula funzionale di cadenze classiche, come il V-I. Anche nelle ultime due battute finali nella cadenza V-I, Duruflé si esime dall’utilizzare la Sensibile, facendo sentire nella scelta dei suoni inseriti, un gusto più modaleggiante, che tonale.

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Suggerimenti per l’esecuzione

Pur essendo stata scritta tutta l’opera del Requiem con dinamiche che vanno dal ppp al fff, occorre sta­re molto attenti ad un esecuzione e interpretazione particolarmente delicata e raffinata. La scrittura con­trappuntistica, ci suggerisce un modo di cantare (con voci sempre ben appoggiate e fluide, meglio non di impostazione troppo lirica) e di suonare “sciolto e scorrevole”.

Un canto spinto, sui suoni con dinamiche in forte, e troppo falsettato, suoi suoni con dinamiche in pia­no e pianissimo, ne risulterebbe sicuramente molto pesante, statico e non consentirebbe di eseguire cor­rettamente e adeguatamente tutta la complessa rete polifonica e testurale che Duruflé ci propone.

Dal punto di vista prosodico, Duruflé, prendendo a modello il canto gregoriano e il metodo dei monaci benedettini di Solesmes, ci suggerisce lui stesso che occorre cantare seguendo gli accenti naturali del te­sto.

Questo approccio, consente sicuramente una miglio­re scorrevolezza del testo, del fraseggio e consente an­che di esprimere meglio il significato espressivo delle parole che enunciamo.

Ad aiutarci è anche l’accompagnamento strumen­tale, spesso realizzato attraverso arpeggi e arabeschi, che ci invitano ad un canto in sintonia con la fluidità di questi gesti musicali.

DuruflePer quanto riguarda l’attenzione alle voci, è impor­tante cercare di eseguire perfettamente all’unisono le proprie parti di sezione, cercando il più possibile un timbro vocalico comune, evitando timbri personali troppo diversi l’un l’altro, che potrebbero creare mol­ti “battimenti” (cioè oscillazioni di frequenze, pur sulla stessa intonazione, diverse), e non consentire a una più precisa e riuscita dell’intonazione generale del coro. Questo, ancor più sui passaggi polifonici e armonici dove troviamo molte dissonanze.

Concludiamo questo articolo dedicato al Requiem Op. 9, con una interessante testimonianza di Duru­flé stesso, che scrive una lettera al Direttore George Guest, organista gallese e maestro di cappella al St. John’s College, che fece molte incisioni di dischi ne­gli ani ’70, tra cui anche di quest’opera:

Parigi, 3 Aprile 1978

Caro Signore,
La gestione della Decca Records è stata così gentile da darmi il suo indirizzo. È per me un grande piacere in­viarle i miei ringraziamenti e le mie congratulazioni sincere per l’eccellente registrazione che avete avuto la bontà di fare del mio Requiem.
Apprezzo molto le qualità di esecuzione, di interpreta­zione e il suono stesso.
Se avete occasione di dirigere di nuovo il mio Requiem in futuro, posso dirvi che io preferisco che gli assoli di baritono siano cantati da tutti i bassi e i secondi tenori.
Si tratta di errore da parte mia di aver affidato queste poche battute a un solista.
Ancora, con tutti i miei ringraziamenti, ecc., ecc.

Duruflé
6 Place du Panthéon
75005 Paris