Una pagina di altissimo artigianato musicale, un classico natalizio per molti cori

Ogni anno i direttori di coro si arrovellano nella scelta del repertorio, nella progettazione dei concerti e dei programmi secondo la stagione, il periodo liturgico, le occasioni concertistiche. Ogni anno, prima o poi, molti direttori di coro pensano: “Beh, si potrebbe fare l’Oratorio di Natale di Saint-Saëns. Dura mezz’ora, non è difficile, si può fare con un piccolo organico strumentale o addirittura solo con l’organo… i solisti li prendo dal coro…” Ed è così che prendono il via alcuni tra i più clamorosi scivoloni delle compagini amatoriali, ammaliate dalla apparente facilità ed innocenza di un’opera in realtà complessa ed esigente.

I luoghi e la storia

Si legge da molte parti che Saint-Saëns era organista della parrocchia della Madeleine, a Parigi (fig. 1 in copertina).

fig.1

Scritto così, ai più, sembrerà un piccolo incarico, un lavoretto che il giovane Camille tenne per una ventina d’anni prima di poter vivere bene con i proventi delle sue composizioni. In effetti è così, ma su una scala di grandezza invero sproporzionata rispetto agli standard di noi comuni mortali: la chiesa della Madeleine è una delle più importanti della capitale, era la chiesa ufficiale dell’impero francese, l’organo su cui suonava è un gigantesco Cavaillé-Coll a quattro tastiere (suoi successori alla consolle furono nientemeno che Théodore Dubois e Gabriel Fauré), è dotata come le altre grandi chiese anche di un organo “del coro” a due tastiere, sempre firmato dal grande Aristide. (fig. 2)

fig.2

È una chiesa enorme, con una storia che attraversa la turbolenta epopea rivoluzionaria e vi sopravvive, uscendone splendente con il suo sorprendente peristilio neoclassico che la circonda, la collega alle radici della cultura europea e manifesta i significati sociali, storici, oltre che religiosi, di cui è carica. Camille fu organista di questa chiesa ininterrottamente dal 1856 al 1877, cioè dai 21 ai 42 anni, dove fu riconosciuto da Franz Liszt come “il miglior organista del mondo”. Si legge anche che scrisse questo piccolo oratorio, primo di quattro, il più semplice dei quattro, alla giovane età di 23 anni, dopo un anno di servizio in parrocchia, nell’arco di undici giornate. Praticamente in fretta e furia, entro il 15 dicembre 1858 doveva esser pronto per provarlo e cantarlo il giorno di Natale. Questo potrebbe sembrare un peccato di pigrizia, una tendenza a procrastinare gli impegni che oggi guarderemmo di malocchio. In realtà si tratta di un modo di lavorare che era comunissimo tra i compositori ed in particolare i maestri di cappella o gli organisti, abituati a scrivere musica che avrebbero eseguito la settimana successiva: dagli antichi maestri del rinascimento, ai fulgidi esempi di Bach, Haendel (il Messiah in due settimane…), Mozart e Mendelssohn. La consuetudine con l’arte del contrappunto dava a questi personaggi la possibilità di scrivere musiche di altissimo spessore artistico direttamente in bella copia, senza sbavature, sostenuti da una approfondita conoscenza della retorica, della teologia e della grammatica (il latino).

Il testo

È infatti lo stesso compositore a scegliere i testi per l’oratorio, creando con essi una grande riflessione sul tema del Natale. Se l’Oratorio di Saint-Saëns tratta effettivamente della nascita di Gesù Cristo, c’è da dire che ne narra la storia molto brevemente ed esclusivamente nel primo recitativo, dopo il Preludio, con un testo dal Vangelo di Luca. Per il resto i testi sono tratti da vari passi della Sacra Scrittura, e in particolare dai Salmi, dal libro di Isaia, dalle Lamentazioni e dal Vangelo di Giovanni. L’intenzione non è quella, dunque, di una narrazione pedissequa, ma anzi quella di rimandare la memoria del fedele a passi dell’Antico e del Nuovo Testamento che giustificano il riconoscimento di Gesù Cristo come Messia, vero Salvatore dell’umanità. Da un punto di vista narrativo e teologico è un procedimento simile, anche se in scala molto più piccola, a quello seguito nel Messiah di Haendel, in cui la storia di Cristo è narrata attraverso le profezie. Tuttavia, qui la storia si completa in un unico numero, il secondo appunto, mentre i seguenti brani sono riflessioni, rimandi, inni di lode, preghiere.
Per questo la forma della composizione si avvicina di più a quella della Cantata settecentesca, con particolare riferimento a quella bachiana, naturalmente.

La musica

Anche dal punto di vista della struttura musicale ci sono molti punti in comune con la forma cantata: non solo la durata (sembra fatto apposta per essere inserito in una liturgia del tempo), non solo la costruzione armonica basata su un grande giro di Sol maggiore, ma anche la forma, che secondo l’illustre esempio barocco crea un equilibrio tra i numeri, basato sull’alternanza e sulla progressione. Dopo il Preludio “nello stile di Bach”, il recitativo narrativo e il coro degli angeli, inizia una lenta “costruzione” che parte dall’aria di una solista fino al dispiegamento di tutto l’organico a disposizione, in un “crescendo” organico di sapore squisitamente romantico. Al centro dell’architettura musicale sta il furente coro Quare fremuerunt gentes che si interpone con veemenza neo-barocca, per poi trasformarsi in un corale che riprende la lenta ascesa verso il glorioso finale. L’organico prevede cinque solisti (S Ms A T B), coro misto a quattro voci (ma con un brano a quattro voci femminili), orchestra d’archi, arpa e organo. L’organo a cui si riferisce il compositore è quello del coro della cattedrale parigina, ossia un due tastiere con molti fondi (registri di 8 e 16), registri violeggianti, almeno due ance (tromba e oboe) e l’utilizzo della pedaliera.

La struttura

1. Preludio (dans le style de Seb. Bach), per organo e archi
2. Recitativo: Et pastores erant per soprano, contralto, tenore e baritono solisti, organo e archi; coro: Gloria in altissimis per coro misto, organo e archi
3. Aria: Exspectans expectavi per mezzosoprano solista, organo e archi
4. Aria e Coro: Domine, ego credidi per tenore solista, coro femminile, organo e archi
5. Duetto: Benedictus per soprano e baritono solisti, organo e arpa
6. Coro: Quare fremuerunt gentes per coro misto, organo e archi
7. Trio: Tecum principium per soprano, tenore e baritono solisti, organo e arpa
8. Quartetto: Laudate coeli per soprano, mezzosoprano, contralto e baritono solisti, organo e archi
9. Quintetto e Coro: Consurge, filia Sion per cinque solisti, coro misto, organo, archi e arpa
10. Coro: Tollite hostias per coro misto, organo e archi

Una breve analisi

1. Preludio (dans le style de Seb. Bach), per organo e archi

Il preludio è un tributo dichiarato al sommo tedesco, ispirato probabilmente alla sinfonia iniziale della seconda cantata dell’Oratorio di Natale BWV 248. Ma anche se vogliamo alla Pifa del Messiah di Haendel, e a molte altre musiche pastorali del periodo barocco.
È interessante notare come il brano inizi su un pedale di re, creando grande instabilità per via della presenza del do naturale, mentre la tonalità di Sol maggiore sia svelata solo all’ingresso del tema principale a b. 6 (fig.3).

fig. 3

È una melodia dolcissima, cullante, accompagnata da un pedale questa volta di tonica e da controcanti altrettanto soavi. Naturalmente la costante presenza di queste note tenute lungo tutto il brano richiama le sonorità delle cornamuse, contribuendo a creare la giusta ambientazione e il richiamo simbolico al Cristo Buon Pastore.
A b. 23 inizia la breve parte centrale del brano, in cui il tema affidato all’organo oscilla tra Fa#- e Re, per poi risolvere con una bella cadenza plagale che ci conduce alla ripresa nella tonalità d’impianto, stavolta su pedale di dominante.
Chiude una coda breve ma deliziosa, dove dopo una scala per moto contrario si presenta il finale con il pedale sovracuto dei violini e il tema all’ottava alta, in pianissimo (fig. 4).

fig. 4

2a. Recitativo: Et pastores erant per soprano, contralto, tenore e baritono solisti, organo e archi

Il recitativo accompagnato (fig. 5) è il momento narrativo dell’oratorio, tratto dal Vangelo secondo Luca, capitolo 2, 8-14. La nascita di Gesù è raccontata attraverso l’annuncio dell’angelo ai pastori, i quali sembrano una sorta di pubblico che assiste a un evento straordinario, chiamati a gioirne e a partecipare con l’acclamazione, esattamente come l’assemblea dei fedeli.


fig. 5

Nel breve racconto si avvicendano quattro cantanti: tenore, contralto, soprano (che impersona naturalmente l’angelo) e baritono.
I loro interventi sono sostenuti da un’armonia che svolge un percorso ben preciso, discendente per terze (numero divino), che simboleggia la discesa di Cristo sulla terra: Sol Mi Do#- La Fa#- Re Si-.
Gli stili di recitativo sono diversi: mentre il tenore (sostenuto solo dall’organo) e il contralto (per la quale si aggiunge il contrabbasso) cantano in uno stile declamatorio su corda di recita, che richiama il canto piano della liturgia, l’angelo Soprano canta il suo annuncio come un arioso (fig. 6), e così pure il baritono, per cui si aggiunge l’orchestra d’archi.

fig. 6

2b. Coro: Gloria in altissimis per coro misto, organo e archi

Il Coro degli angeli, in La maggiore, è un piccolo mottetto all’antica, bipartito, per organico “a cappella”: gli strumenti raddoppiano pari pari le parti vocali.
Alla prima frase gioiosa, ritmica, rivolta verso il cielo, risponde la preghiera di pace a valori larghi, in legato.

fig. 7

Nella ripetizione (fig. 7) il Gloria viene riproposto in un fugato strettissimo (le sincopi mettono a dura prova la precisione dell’insieme ritmico), mentre Et in terra pax viene espanso e variato (fig. 8).

fig. 8

Da questo brano inizia un’altra discesa “armonica” dai cieli, questa volta costruita come un grande arpeggio di La minore sulle tonalità d’impianto dei prossimi numeri (La Mi Do La-).

3. Aria: Exspectans expectavi per mezzosoprano solista, organo e archi

Questa è l’unica vera aria dell’oratorio, in Mi maggiore, in cui debutta il mezzosoprano su un testo tratto dal Salmo 39 (40).
Saint-Saëns fa qui largo uso degli strumenti della retorica musicale, creando un brano di grande espressività in cui l’attesa si fa viva attraverso il dialogo tra i malinconici expectans e le risposte degli archi, che non sono semplici sestine di crome ma dolci carezze rassicuranti (fig. 9).

fig. 9

La parola-motivo Dominus viene ripetuta ed innalzata dall’organo nel breve intermezzo, come un’eco della preghiera che si allontana verso il cielo. Da lì parte una scala discendente di viole e violoncelli che simboleggia chiaramente la discesa del Signore, e ci porta sereni alla seconda parte del brano.
Qui ci sorprende l’accompagnamento dolcissimo delle sestine (le carezze) moltiplicate e distribuite tra le sezioni degli archi, su un pedale di Mi maggiore che crea di nuovo l’atmosfera pastorale prettamente natalizia: “il Signore si è rivolto a me”, è venuto sulla terra.

4. Aria e Coro: Domine, ego credidi per tenore solista, coro femminile, organo e archi

Il tenore è qui impegnato in un’aria innodica in Do maggiore, sillabica e solenne, a tempo “Moderato commodo”, cui risponde ieratico il coro di donne che richiama la partecipazione delle schiere degli angeli celesti (fig. 10).

fig. 10

È da notare tuttavia che il testo è tratto dall’episodio della resurrezione di Lazzaro (Giovanni, 11 v. 27) e riporta il testo in cui Pietro, messo alla prova da Gesù prima del miracolo, conferma la sua fede. È dunque possibile pensare che il coro di donne si riferisca alle sorelle di Lazzaro, Maria e Marta, e per estensione al popolo credente.
Nella drammaticità della seconda parte, con l’ascesa del “Christus”, le sincopi e i cromatismi dell’accompagnamento, è descritta molto chiaramente una anticipazione musicale della salita al monte Calvario e del sacrificio del “Figlio del Dio vivente” (fig. 11).

fig. 11

5. Duetto: Benedictus per soprano e baritono solisti, organo e arpa

Il testo, tratto dal Salmo 117 (118) e usato naturalmente anche nella liturgia, è l’occasione per il compositore di inserire l’arpa, strumento di davidica memoria, ad accompagnare con l’organo un duetto dal sapore antico (fig. 12).


fig. 12

Il brano destina ai due cantanti melodie meravigliose che si intersecano in un contrappunto a due voci molto equibrato e scorrevolissimo, con un semplice ma meraviglioso vocalizzo sulla parola “Dominus”. La tonalità di La minore, presaga del sacrificio a cui il Cristo va incontro, stende un velo di malinconia che tuttavia non inficia la serenità del canto.
Dopo la sezione centrale, che è ancora una professione di fede sillabica e solenne, ritorna un contrappunto serrato che porta all’esaltazione finale, in cui il soprano si spinge fino al Do acuto (fig. 13).
Termina l’organo, con una sfilata di sedicesimi all’unisono e cadenza piccarda di memoria barocca. Questo finale così improvviso e veemente serve a introdurre il brano successivo, apice drammatico dell’oratorio.


fig. 13

6. Coro: Quare fremuerunt gentes per coro misto, organo e archi

La prima parte del coro centrale è un tremendo atto di accusa nei confronti di chi non ha compreso il senso della nascita di Gesù. Il testo del Salmo n. 2 viene reinterpretato alla luce dei nuovi accadimenti, e la musica riflette la violenza del giudizio: è un terribile Re minore, in 4/4, accompagnato da un disegno articolatissimo degli archi all’unisono, con una furente strappata sul quarto movimento di ogni battuta (fig. 14).

fig. 14

La scala cromatica discendente dei tenori, sulla patetica sincope del ripetuto “perché?” (b. 27), è il simbolo perfetto della loro perdizione.
Il testo si ripete infine in atteggiamento penitenziale e l’armonia si fa enigmatica nell’introdurre la seconda parte del brano, di segno totalmente opposto: è il sereno corale degli eletti che cantano Gloria al Signore, composto nella più serena e salvifica tonalità di Sib maggiore (fig. 15).
Un brano nello stile degli antichi corali luterani, con un finale organistico ascendente verso il cielo, segno avvenuta di redenzione.

fig. 15

7. Trio: Tecum principium per soprano, tenore e baritono solisti, organo e arpa

Il testo tratto dal Dixit Dominus, salmo 109 (110), è usato nella liturgia della notte di Natale come Graduale, e grazie a Saint-Saëns qui diventa un mirabile trio di squisito gusto cameristico. Le frasi solistiche, caratterizzate da messe di voce e grandi legati, sono accompagnate dall’organo e dall’arpa. Quest’ultima finalmente è vera protagonista, con un arpeggio continuo che permea tutto il brano di fascino e meraviglia (fig. 16).

fig. 16

Il testo viene enunciato la prima volta in un melanconico Sol minore, per poi trasformarsi nella seconda parte in un più felice ed aperto Sol maggiore.

8. Quartetto: Laudate coeli per soprano, mezzosoprano, contralto e baritono solisti, organo e archi

Il contralto solista, che da un po’ non cantava, ha finalmente il “suo” brano: un inno di lode in Re maggiore (ultima dominante della grande armonia generale dell’oratorio) tratto dal libro di Isaia, e precisamente dal passo in cui il popolo di Israele rende grazie a Dio per la fine dell’esilio in Babilonia (cap. 49, v. 13).
Mentre il canto solistico è sostenuto dagli archi, è l’organo a dar risposta (Fig. 17) con interventi che sembrano proprio ripetere il testo (si veda un esempio evoluto di questa tecnica nella Messa op. 4 dello stesso autore, nel Gloria e nel Sanctus, in cui porzioni mancanti del testo sono da intendersi sottintese, “cantate” dagli strumenti).
Intervengono poi soprano, mezzosoprano e baritono a dialogare con il contralto in un brano che si fa via via più festoso. Si noti tuttavia come l’affetto cambi improvvisamente ogni qualvolta si canta de “i suoi poveri”, il suo popolo, con un dolce legato discendente e pieno di compassione.

fig. 17

9. Quintetto e Coro: Consurge, filia Sion per cinque solisti, coro misto, organo, archi e arpa

Come in una ideale cornice musicale, ritorna il tema musicale del Preludio in stile bachiano, sul quale ora viene innestato il canto dei cinque solisti e del coro (fig. 18). Il testo è tratto dalle Lamentazioni di Geremia (cap. 2, v. 19), cui si accosta uno splendente e sereno alleluia.

fig. 18

La seconda parte del brano (fig. 19) ha un carattere eminentemente liturgico: le voci maschili declamano su una corda di recita comune il testo di Isaia che invita il Salvatore (cap. 62, v. 1).

fig. 19

La coda ricorda ancora il canto pastorale, ora sospeso, che apre la strada al corale conclusivo.

10. Coro: Tollite hostias per coro misto, organo e archi

Questo maestoso corale dal carattere processionale è il brano più celebre dell’oratorio, molto eseguito dai cori di tutto il mondo per la sua bellezza e apparente facilità (fig. 20).

fig. 20

Il suo testo è formato da versetti tratti dal Salmo 95 (96), la musica alterna il carattere pomposo (si arriva al fortissimo finale) a una cantabilità straordinaria, soprattutto nella sezione imitativa centrale.
L’orchestra e l’organo partecipano al tutti generale per concludere in grande stile un oratorio breve ma intriso di bellezza.

Conclusione

Come abbiamo visto, l’esecuzione di quest’opera richiede uno studio approfondito e una onesta presa di coscienza della profondità dei suoi significati, che stanno alla base di ogni scelta del compositore.
La scelta dei testi, ogni tema musicale, ogni modulazione, ogni cambio di strumentazione, ha il suo perché ed è da ricercare nel profondo significato del mistero del Natale: un momento di grande gioia per la nascita di Gesù, ma anche l’inizio del suo lungo cammino verso la croce e, attraverso questo, promessa della redenzione finale.
Buon Natale in musica!