Le origini della polifonia, largamente intesa, non sono tracciabili. L’unica cosa che possiamo stabilire con certezza è l’arco temporale in cui la trasmissione manoscritta, o a stampa, di un particolare genere di composizione polifonica ha avuto inizio. Ciò, chiaramente, non ci dà, in ogni caso, nessuna informazione sul periodo antecedente la messa per iscritto; cioè non è ci dato sapere se tale genere, prassi, o particolare composizione fosse già praticata in precedenza, e da quanto tempo. Ciò vale anche per l’inizio della scrittura musicale in Europa: il fatto che le prime fonti manoscritte con notazione musicale cosiddetta ‘neumatica’ risalgano solo al sec. IX ci informa solo che l’utilizzo della notazione all’interno di manoscritti liturgici avvenne in quel periodo; sostenere, poi, che tale momento coincide anche con la fase di ‘invenzione’ della scrittura musicale è metodologicamente incerto e solo dimostrabile con altre prove storiche, la scelta delle quali chiaramente influenzerà l’esito della ricerca. In tal modo, considerare la scoperta di una antifona a due voci sul verso dell’ultima carta del manoscritto British Library, Harley 3019 (fig. 1) la cui scrittura sarebbe databile agli inizi del sec. X, come possibile testimone dell’’inizio’ della polifonia sarebbe errato, anche se altamente d’effetto come titolo giornalistico: Chance discovery casts new light on the origins of polyphonic music (The Guardian), Manuscript showing ‘birth’ of 1.000 years of choral music (The Daily Telegraph), ecc.

Ciò che rende realmente eccezionale l’antifona Sancte Bonifati martyr è che si tratta del più antico esempio scritto di musica polifonica ‘pratica’, diremo – nel senso di effettivamente cantata nella liturgia – mai scoperto. Gli esempi di canto polifonico nei trattati Musica Enchiriadis e Scholia Enchiriadis, scritti a metà del sec. IX, ma tramandati in manoscritti databili alla fine del secolo, sono tecnicamente anteriori, ma si tratta di esempi a scopo teorico di semplici realizzazioni polifoniche improvvisate. Ma tale primato non è l’unico record battuto dall’organum – così era infatti chiamata anticamente la realizzazione polifonica di un brano liturgico – nel manoscritto Harley 3019:
– è uno dei due esempi (e il più antico) di un particolare tipo di notazione specifico per organa;
– la vox principalis, cioè l’antifona (non il suo contrappunto, chiamato invece vox organalis) è trascritta anche in notazione neumatica, quest’ultima di un tipo estremamente raro e unanimemente considerato come portatore di caratteristiche notazionali molto probabilmente tra le più antiche (neumi paleofranchi);
– è, soprattutto, un organum che può inequivocabilmente essere ritenuto una vera e propria composizione invece di una mera realizzazione polifonica ‘semplice’ (es. solo con l’aggiunta di un bordone, o di quarte, quinte, o ottave parallele). Ma vediamo più da vicino di cosa si tratta.

Il manoscritto della British Library, Harley 3019 è un volume composito contenente vari fascicoli provenienti da manoscritti di diversa data e origine. L’ultimo fascicolo fu molto probabilmente scritto attorno all’anno 900 in un’area corrispondente all’odierna Germania. Verosimilmente, la stessa mano che aggiunge la notazione dell’antifona integra la rubrica finale della Vita di San Materniano con l’indicazione qui colitur kalendae decembris, fornendo quindi la specificazione che la festa di San Materniano non fosse celebrata il 30 aprile, come di consueto, ma il 1° dicembre nel centro monastico in cui si trovava il manoscritto originario all’epoca della scrittura dell’antifona Sancte Bonifati martyr. Sappiamo dagli Acta Sanctorum che ciò avveniva certamente nel monastero di Böddeken, nella diocesi di Paderborn, nella Germania settentrionale, nonché nel monastero di Edgmond in Frisia. Storicamente il culto di San Bonifacio è inoltre particolarmente vivo in area germanica. Infine, il tipo di notazione neumatica utilizzato per le antifone Sancte Bonifati martyr e Rex caelestium terrestrium fu diffuso in area germanica. Il luogo di copia del manoscritto originario, quello di utilizzo, e la provenienza (o luogo di attività) della mana.
L’antifona, cantata molto probabilmente ai primi vespri dell’Ufficio di San Bonifacio, riporta il seguente testo: Sancte Bonifati martyr inclyte Christi, te quaesumus, ut nos tuis precibus semper gratiae Dei commendare digneris, ovvero ‘San Bonifacio, martire illustre di Cristo, ti preghiamo affinché tu ci possa affidare sempre alla grazia di Dio con le tue preghiere’. La seconda antifona presente in Harley 3019, inoltre, di grande interesse per la sua rarità, meriterebbe un saggio a sé stante. Ma passiamo ora più nello specifico della composizione polifonica.
L’antifona, cantata in III modo ecclesiastico (modo di Mi autentico), è trascritta dallo scriba utilizzando tratti orizzontali posti su un sistema di sette linee orizzontali parallele tracciate a secco sulla pergamena (fig. 2).

Ogni linea corrisponde ad una altezza, una nota, che lo scriba designa utilizzando la notazione alfabetica (a b c d e f g). (Da ricordare che 1 – a poteva al tempo anche corrispondere a do (ut), non solo a la, come venne poi a essere fino ai nostri giorni, e che 2 – l’attribuzione delle altezze sonore aveva valore relativo: l’organum può essere eseguito a qualsiasi altezza a seconda delle esigenze del coro). La vox organalis, il contrappunto, è invece trascritto con piccoli cerchi, o secondo l’autore della scoperta e dello studio (nonché di questo saggio), una serie di lettere ‘o’ corrispondenti appunto a [vox] organalis, o organum. Nel caso di unisono, il tratto orizzontale della vox principalis prevale sul ‘o’ della vox organalis, rispecchiando così la gerarchia tra le voci. Per specificare al meglio la corrispondenza verticale tra l’antifona e il suo contrappunto, lo scriba aggiunse linee verticali di collegamento, le quali hanno anche la funzione di rispecchiare il movimento delle voci e guidare l’occhio attraverso la notazione. Infine, alcuni segni derivati dalla notazione neumatica, le ‘liquescenze’, sono stati aggiunti in entrambe le voci per rendere più musicale la pronuncia di due consonanti consecutive (es. sancte, inclite) attraverso l’aggiunta di una leggera nota di passaggio. L’indicazione di ulteriori nuances interpretative si può trovare nella versione dell’antifona notata in notazione neumatica ‘paleofranca’ (fig. 3): i neumi, infatti, forniscono una serie di indicazioni di articolazione melodica e ritmica che la notazione dell’organum non avrebbe potuto offrire. Le due notazioni della stessa antifona, quindi, non sono ridondanti, ma assolutamente e necessariamente complementari per i cantori.
Il contrappunto è basato sull’intervallo di quarta, ma è sapientemente costruito ai fini di essere da supporto armonico all’antifona e amplificarne quindi il contenuto testuale (fig. 4). Vi sono alcuni criteri che il compositore seguì nella scrittura della vox organalis e che possono essere ricavati dall’analisi del contrappunto. Il primo è che la linea melodica non può scendere sotto il do, ma solo salire: ciò obbliga la vox organalis a rimanere stazionaria sul do nei casi in cui la melodia dell’antifona scende sotto il sol. L’incipit Sancte è esemplificativo a riguardo: l’antifona si apre con mi fa sol re, mentre la vox organalis rimane su do fino al sol, raggiungendo quindi l’intervallo di quarta re-sol. Una volta raggiunto, la vox organalis, sceglie di rimanere sul re per permettere l’unisono cadenzale con la vox principalis alla fine della parola Sancte. La cadenza provoca un effetto di stasi che permette una articolazione del testo a favore di una maggiore enfasi della parola Sancte.


In altri casi, un effetto di stasi a modo di bordone è sapientemente utilizzato per ridurre la presenza melodica, per così dire, della vox organalis, e permettere una maggiore esposizione della melodia e messaggio testuale della antifona. Un esempio è il caso del passaggio testuale te quesumus (‘ti preghiamo’), dove su te la vox organalis si limita ad un bordone su re invece di seguire la vox principalis nel melisma mi fa sol fa mi con do do re do do. La scelta, inoltre, di evitare un bordone su do è certamente data dal fatto che avrebbe ecceduto l’intervallo di quarta in corrispondenza del sol della vox principali. Da qui la stasi sul re che crea anche una interessante tensione prima di te quesumus, dove per ragioni questa volta di contrappunto, non rimane altra alternativa che una stasi sul do. Ascoltando entrambe le parole, te quesumus, quindi, l’effetto è quello di due bordoni re e do per ogni parola; due supporti armonici alla declamazione di un momento chiave nel messaggio dell’antifona.


Per concludere, l’organum Sancte Bonifati martyr è il più antico esempio conosciuto di contrappunto ‘composto’ (non ‘semplice’), dove la seconda voce svolge un ruolo particolare e gode di una indipendenza che le fu attribuita ‘ad arte’ dal suo compositore. Una composizione, quindi, che dovrebbe essere inserita in ogni programma corale che si occupi della storia della polifonia e della musica sacra. Un ultimo commento: oltre alla già menzionata flessibilità tonale (l’organum può essere trasposto se necessario), un raddoppio all’ottava di entrambe le voci per una esecuzione a quattro, non solo è assolutamente ammissibile stando alle indicazioni dei trattati musicali del sec. IX, ma crea effetti estremamente suggestivi, soprattutto se eseguito in architetture che amplificano il sottile gioco di dissonanze e intervalli dell’organum del manoscritto londinese.

https://www.youtube.com/watch?v=EAdtlR1eTZs
Livio Ticli Vox principalis, Marcello Mazzetti Vox organalis (Palma Choralis · Research Group & Early Music Ensemble)
consulenza musicologica e trascrizione della fonte di Giovanni Varelli
Sancte Bonifati martyr · Antifona e Organum – London, British Library, Harley 3019, f. 56v – Registrazione live · 26 maggio 2011 · Cremona, Chiesa di S. Bassano