Com’era il mondo cinquant’anni fa? Come si viveva in Italia?

Riandando indietro con la memoria, grazie anche ai racconti di chi ha vissuto quei momenti, capiamo come l’incessante trasformazione delle cose ci abbia portati, in cinquant’anni, molto lontani dal punto di partenza. Era un’Italia sospesa tra il vecchio e il nuovo, l’antico e il moderno: meno scolarizzata (la scuola media unica e obbligatoria, aveva meno di dieci anni, nel 1971); industrializzata sì, ma ancora memore di un passato agricolo che molti ricordavano per averlo vissuto; ormai addentrata nell’economia dei consumi, che unifica i gusti e amalgama gli usi, ma con una cultura popolare segnata da forti identità regionali; il consumo culturale è ancora segnato dalla socialità: e cantare in coro è uno dei modi di vivere questa socialità.

Il Coro Leone, che assieme a pochi altri fondò nel 1971 l’associazione regionale, era nato quattro anni prima con queste caratteristiche ‘spontanee’. Gli esordi li racconta, nella prima giornata del Convegno per il 50° dell’AERCO, Lucio Strazziari, che ricorda l’entusiasmo di quei giovani nel primo approccio al canto: un entusiasmo subito indirizzato a strutturarsi più stabilmente grazie ai consigli di Giorgio Vacchi, che suggerì anche un direttore stabile e musicalmente preparato all’entusiasta brigata. Il repertorio è inizialmente quello tradizionale ‘di montagna’, modellato sulla SAT. Pier Luigi Piazzi, che dirige il coro a partire dalla metà degli anni Ottanta, trova appunto questa situazione, come spiega nel suo intervento. Si pone il problema di come mantenere in attività e in buona salute un coro che ha ormai una storia lunga, ma che non deve perdere l’entusiasmo. La strada è quella di trovare nuovi canti, cercandoli in ambiti diversi, viaggiando in tradizioni anche lontane, dando a questi canti forme nuove, sposandoli al suono degli strumenti: dapprima il pianoforte, poi via via l’aggiunta di altri. Non solo un canto ritrovato, ma un canto reiventato, maturando strade e gusti autonomi.

Era in fondo il problema posto da Giorgio Vacchi fin dagli esordi della sua attività, permeando la natura stessa dell’associazione regionale che si andava costituendo. Silvia Vacchi, nella relazione che per prima ha aperto il convegno, ricorda i termini del dibattito di quegli anni, riassunto in un memorabile convegno svoltosi a Cortina nel 1970: quali sono i confini del canto popolare? Quale rapporto c’è tra la melodia originale e il canto elaborato per coro? Armonizzazione o elaborazione? E può ancora dirsi popolare una melodia che abbia percorso questa trafila? C’è solo il canto di montagna nel panorama popolare? Fu, in quegli anni, un dibattito stimolante, nel quale Giorgio Vacchi ebbe un ruolo rilevante, offrendo soluzioni e proposte di cui la stessa Silvia, alla testa del Coro Stelutis, ha dato conto in serata, aprendo il concerto con una serie di elaborazioni di canti emiliano-romagnoli opera del padre.

Questi temi, fortemente sentiti dal fondatore, si trasferiscono alla neonata associazione, l’AERCIP, che riunisce i Cori di Ispirazione Popolare, e la orientano fin da subito alla ricerca etnomusicologica. Al canto alpino di ispirazione satiana si affianca un nuovo repertorio formato da canti regionali, frutto di ricerca sul campo e successiva elaborazione. La coralità emiliano romagnola può così darsi una identità più definita e può rafforzarla costituendosi in associazione regionale: affrancamento da modelli esterni e costituzione di una associazione sono, nel pensiero di Giorgio Vacchi, due soluzioni per lo stesso problema.

Sul solco delle intuizioni di Giorgio Vacchi si collocano gli interventi di Giacomo Monica e di Daniele Venturi che in modi, tempi e luoghi diversi si sono confrontati con la tradizione popolare emiliano romagnola, percorrendo tutte le tappe della filiera. La ricerca sul campo, sviluppata da Monica nell’Appennino Parmense a partire dagli anni ‘70, da Venturi nell’Appennino Emiliano tra 1987 e 2000; la trascrizione di questi materiali, affrontando i mille problemi posti nel passaggio dalla fluidità di una tradizione orale alla fissità di quella scritta; e poi l’elaborazione del materiale così raccolto, tesi fra il rispetto della tradizione, il desiderio di esprimere la propria personalità di compositori e le diverse possibilità offerte da una tipologia corale che negli anni si è ampliata ai cori misti, femminili, giovanili, di voci bianche, scolastici: tutti strumenti diversi da trattare in modo appropriato.

Ma l’evoluzione del mondo corale va al di là dell’ambito popolare. Nell’Emilia Romagna esisteva già una ricca tradizione di cori orfeonici, come ricorda Pier Paolo Scattolin nel suo intervento: uno di questi il Coro Rossini, è tra i fondatori dell’AERCIP e in serata, partecipando al concerto, ha eseguito non solo cori d’opera, ma si è affacciato anche alle composizioni sacre degli operisti, come nel caso del Requiem di Puccini. Il repertorio è soprattutto quello lirico, con qualche escursione nel liederistico o in composizioni sinfonico-corali. Alcuni, dal lirico, passano al polifonico, con le difficoltà che ci potevano essere all’epoca, in cui scarseggiavano le fonti e ci si poteva rifare al massimo ai lavori di Pratella. Nel concerto serale, l’Accademia Corale Vittore Veneziani ha presentato non solo brani della liturgia romana, ma ha ampliato lo sguardo su altre tradizioni religiose, con un interessante silloge di canti spirituali ebraici. Il Coro Euridice, invece, dopo aver spaziato dal barocco bachiano al Novecento passando per il romanticismo di Mendelsshon, si è cimentato con i versi di Emily Dickinson e Giuseppe Ungaretti, nelle composizioni del suo stesso direttore. Comunque sia, il panorama corale si allarga, nell’associazione entrano nuovi soggetti e si amplia il repertorio. Il nuovo nome, Associazione Emiliano Romagnola Cori (AERCO) è la presa d’atto di questa nuova realtà.

Scattolin elenca molte ragioni che lo attrassero verso un’associazione dove ancora non si trovavano cori come il suo Euridice: il radicamento sul territorio, la trasversalità, la solidarietà fra cori e direttori (il ‘soccorso corale’ di Giorgio Vaccchi). Ma l’aspetto che prevalse fu l’idea di formazione che permeava già l’AERCIP: formazione a tutti i livelli, da quello base all’eccellenza e che è rimasto un tratto caratteristico dell’associazione regionale fino ad oggi. Un tratto che ha consentito non solo molte attività di formazione interna, ma anche una vasta collaborazione col mondo della scuola, testimoniato anche dalla presenza di Annalisa Spadolini, coordinatrice del Nucleo Operativo del Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della musica presso il Ministero dell’Istruzione: presenza significativa, che ha sottolineato il buono stato di salute della coralità nella scuola: 2.800 i cori scolastici, in una statistica redatta una decina d’anni fa, e circa i 40% delle attività musicali nelle scuole sono ad indirizzo corale. Sono dati pre-Covid, e si dovrà vedere come la pandemia avrà inciso, quando tutto riprenderà; e anche la diversa qualità delle singole esperienze richiede un continuo lavoro formativo: ma anche in questo si misura il valore del lavoro compiuto dall’associazionismo corale, dove l’AERCO esercito un ruolo importante e attivo. Un ruolo che si gioca guardando oltre i confini regionali, incanalando questo enorme lavoro a favore della coralità all’interno del movimento corale italiano. La presenza di Ettore Galvani, presidente di FENIARCO, e il suo intervento in apertura del convegno, sono serviti a sottolineare questo aspetto non secondario della vocazione di AERCO: il suo far parte di un movimento corale che riunisce tutte le regioni italiane in un’unica grande federazione.

Questa prima giornata – l’aveva premesso Elide Melchioni, che ha guidato il comitato organizzatore del convegno – è stata dedicata alla parte storica, rivivendo gli entusiasmi e gli ideali degli anni iniziali, ripercorrendo le tappe attraverso la voce dei testimoni, verificando come si è giunti all’AERCO di oggi attraverso il contributo di tante persone. Spetterà poi alla seconda analizzare la situazione odierna, le aperture a nuove realtà musicali e a nuove esperienze formative.
La realtà della coralità è una continua evoluzione e oggi si pongono problemi diversi da quelli che furono affrontati dai fondatori. Andrea Angelini, nel trarre le conclusioni di questa prima giornata, delinea una coralità diversa da quella sociale di cinquant’anni fa: oggi cantare è più una scelta culturale, o più strettamente musicale. Cantare non è patrimonio comune di ogni individuo, ma frutto di un apprendimento, come avviene per lo strumento musicale. E anche la complessità del mondo in cui viviamo si riflette nella complessità della vita dei cori e della loro associazione. Lo sforzo dell’AERCO è stato rispondere adeguatamente a questa complessità, dotandosi di risorse adeguate e strutture solide, compreso uno staff professionale che possa intervenire laddove il volontariato non basta più, che di fronte a un’urgenza non debba rispondere ‘oggi non posso’ a causa di altri impegni, perché quello è il suo impegno di lavoro.

Quello che emerge da questa prima giornata è un’AERCO che si muove in sintonia col proprio passato con un progetto per il proprio futuro. Agostino, nell’XI libro delle Confessioni, si interroga sul tempo: posto che il presente, semplice linea di separazione tra passato e futuro non ha dimensione e quindi non esiste, che il passato non c’è più e il futuro non c’è ancora, come può esistere, il tempo? E la risposta è che il tempo passato esiste nella nostra memoria, il futuro nei nostri desideri. Forte della sua memoria, animata dal desiderio di mille progetti, AERCO vive un presente carico di speranza e di promesse per il futuro.