È indubbio per qualsiasi lettore interessato al tema, che la musica russa così come la conosciamo, con i balletti di Diaghilev, le messe di Kastalskij e i concerti per pianoforte di Rachmaninov, abbia rimodulato e sviluppato ciò che ha preso in prestito dalla società e cultura occidentale. È essenziale però per comprenderla, e quindi per gustarla al meglio, dedicare un po’ di tempo all’illustrazione del contesto in cui si sviluppa ciò che era la tradizione musicale russa ancora incontaminata dai contatti con l’Europa.

Partiamo dal fatto che la tradizione popolare è definibile “autentica” solo fino al X secolo, punto decisivo della storia russa, in cui avviene la conversione nazionale al cristianesimo. Le più antiche forme di musica popolare russa riguardano le danze popolari, i khorovody, ovvero “cori camminanti”, e qualcosa più simile alle res gestae o alle chanson de geste, ovvero ballate di carattere storico (il loro nome tecnico è bylyna, da “byl’”, “passato”). I protagonisti sono gli eroi tradizionali, di dubbia esistenza storica, ma che furono sempre amati da tutto il popolo, dai suoi strati più umili a quelli più elevati. Uno dei personaggi più famosi, Ilya di Murom, liberò, secondo la leggenda, Kiev dai pagani: pur nella sua dubbia esistenza, egli è un santo della Chiesa Ortodossa, che in tal modo canonizzò in un certo senso per la prima volta un simbolo, un’ idea incarnata. La matrice storica risultò sempre di essere di grande vanto e grande fonte d’ispirazione per i musicisti russi, e lo fu anche parecchi secoli dopo: ad esempio, una ballata tratta delle imprese di Igor Svyatoslavič fornisce il soggetto all’omonima opera di Alexandr Borodin rappresentata nel 1890, e le avventure di Sadko, un musicista che incantò il re di una palude, sono immortalate nell’ opera, di Rimskiy-Korsakov a lui intitolata.

Veniamo però alla parte più importante per gli sviluppi della musica corale negli anni a venire: la conversione del principe Vladimir.

Bisanzio e la cristianizzazione delle terre.

Nel IX secolo Bisanzio, la potenza cristiana per eccellenza dell’epoca, tentò di “esportare” la propria religione agli stati confinanti, non solo ad majorem Dei gloriam, ma anche per solidificare alleanze, rafforzate da una comune religione, minimizzare i conflitti ai confini e ampliare la propria influenza politica. Il primo, o meglio, la prima reggente ufficialmente battezzata nel cristianesimo fu la regina Olga, secondo le datazioni più precise, nel 957. Tuttavia, la decisione più importante fu quella del principe Vladimir, che, nel 986 , dopo una consultazione con i boiari, Vladimir inviò dei mandati nelle nazioni confinanti, i cui rappresentanti lo avevano invitato ad abbracciare le rispettive fedi, al fine di valutare quale fosse la religione migliore per il proprio regno. Nella Cronaca degli anni passati del monaco annalista Nestore (XI-XII sec.) la scelta delle religioni ha un evidente impronta agiografica, senza mancare di buona ironia. Quando Vladimir sente da un gruppo di religiosi islamici che il Corano vieta l’ assunzione di alcol, risponde con la leggendaria frase “веселие есть на руси пити», оvvero “il divertimento in Russia sta nel bere”. Ascoltando gli ebrei Cazari Vladimir rinfaccia a loro il fatto che la loro terra è perduta, segno evidente che il loro Dio li ha abbandonati. Per ultime vengono coinvolte le due chiese cristiane: i messi sono impressionanti dalla bellezza del canto e della celebrazione a Santa Sofia, dicendo che non sapevano se si trovassero in terra o nel cielo. La scelta dunque, è fatta.

Non è certo se Vladimir sia stato battezzato a Kiev o nella città di Cherson, che aveva precedentemente assediato ed espugnato. Dopo il battesimo ottiene la mano della principessa Anna Porfirogenita, sorella dell’Imperatore.

Tornato a Kiev in trionfo, Vladimir ordina a tutto il popolo di radunarsi sulle rive del fiume Dnepr per ricevervi dentro il battesimo.

LA TRADIZIONE CORALE RUSSA: LA FORMAZIONE DELLE CORRENTI RELIGIOSE E PROFANE

Le conseguenze

Sul piano musicale, la conseguenza maggiore fu la diffusione del canto bizantino per fini liturgici, che finì poi per omologarsi alle tradizioni musicali già esistenti. Esso comincia ad essere trascritto con tratti definiti da Marco Croci adiastematici di rammento : “….adiastematici, nel senso che non indicano le altezze reali e le dirate delle note costituendo un semplice promemoria; di rammento, in quanto usati per melodie già conosciute”. Un’altra importante innovazione sempre coeva al metodo adiastematico di rammento è la affermazione dello “znamennyj”, canto esclusivamente per voci maschili solo a cappella. Lo znamennyj presenta una serie di caratteristiche ben riconoscibili: estensione melodica molto limitata (raggiunge raramente la sesta maggiore) e andamento sillabico sulle vocali e con dei primi abbellimenti e melismi chiamati “anenaiki”. Non bisogna confondere lo znamennyj con un modo: è infatti un termine-ombrello per una vasta categoria di modalità di canto,

Il modo chiamato “kondakarnyj” è il tipo in assoluto più antico, e il punto del suo massimo splendore è da collocarsi nei secoli XI-XII. Il suo nome deriva dal nome del canto liturgico “kondakion” e riprende in massima parte le similarità con la musica paleobizantina, persino nella notazione neumatica. Scompare completamente nel XIV secolo dall’uso liturgico, a causa del cambio del tipico liturgico di riferimento da quello del monastero di Studion a quello del Patriarcato di Gerusalemme.

Il canto detto “stolpovoj” nella tradizione liturgica russa è usato per la totalità dei libri liturgici russi (liturgie, vespri, veglie di tutta la notte, Te Deum, requiem…). Il suo nome deriva da “stolp”, che era il nome tecnico del ciclo di otto settimane in cui è organizzato il temporale del rito bizantino. Contiene il manuale di celebrazione per i giorni feriali (vespro, veglia, mattutino e liturgia) e per la domenica (tutti i precedenti più il piccolo vespro ove manchi l’ufficiante parato e l’ufficio di mezzanotte), diviso negli otto toni (modi di lettura salmodica e di accentazione leggermente diversi tra loro), impiegati ciascuno per una settimana, per un totale appunto di otto settimane.

Un altro tipo di znamennyj è il canto “putevoj” e la sua nascita è ancora un mistero per la medievistica. Compare per la prima volta nel primo quarto del XV secolo, e ha sempre avuto un carattere minore rispetto al kondakarnyj. Dalla seconda metà del XVI secolo assume un carattere completamente autonomo e venne impiegato anche nel genere popolare.

Per un lettore occidentale tuttavia potrà apparire più interessante il canto “demstvennyj”- la su particolarità sta nel primo timido uso di polifonia, prima per tre e poi per quattro voci, sempre rigorosamente maschile. La prima testimonianza risale al 1441.

Uno scisma, anche musicale

Per apprendere appieno i meccanismi della contaminazione occidentale, bisogna dare un’occhiata allo scisma religioso che la precedette.

Verso la seconda metà del XVII appare in Russia un gruppo di entusiasti religiosi detta degli Zelatori di pietà, animati dal desiderio di riformare Chiesa e società russa, rendendoli più vicini a un ideale di vita cristiana. Per realizzare questo scopo si dedicarono al miglioramento dell’apparato liturgico russo, cercando di uniformare i testi contrastanti che circolavano sul territorio russo, arrivando a un compromesso laddove vi fossero contrasti evidenti. I due esponenti più in vista di questa società (nonché due acerrimi nemici nel futuro prossimo) furono il carismatico arciprete Avvakum e il metropolita Nikon, futuro patriarca di Mosca, e all’epoca arcivescovo di Novgorod. Presto Nikon guadagnò il rispetto e la fiducia dello Zar Aleksej, e con esse guadagnò anche il soglio patriarcale di Mosca. Con il potere conferitogli cominciò a proporre riforme liturgiche, o meglio, delle modifiche dei riti e dei modi di celebrazione, col pretesto avvicinare di più i libri e i testi sacri, e quindi la liturgia, al tipico costantinopolitano, che era visto come modello nonostante le corruzioni che aveva subito dopo la restaurazione del culto delle icone e soprattutto dopo l’inizio della turcocrazia, ma con lo scopo non dichiarato dell’avvio di un processo di occidentalizzazione. L’opposizione che tuttavia incontrò nel clero e nel popolo, legati alla loro antichissima tradizione che in taluni punti (come il segno di croce) si era mantenuta fedele alla pratica dei primi cristiani, modificata invece tanto dai greci quanto dai latini, fu straordinaria, ma nondimeno, con anche violente repressioni, la riforma nikoniana fu attuata d’imperio.

Lo scisma che ne derivò tuttavia (che il lettore occidentale può trovare in parte simile alle azioni dell’arcivescovo Lefevre dopo il Vaticano II) varò due tradizioni della musica liturgica differenti. Furono proprio i cosiddetti vecchi credenti, i fedeli che presero la parte dell’antico rito, ad opporsi al nuovo tipo di canto liturgico, allo stesso tempo conservando intatte alcune tradizioni del canto a loro coevo, come la notazione neumatica, considerata già obsoleta, e un tipo di accentazione differente.

La grande novità introdotta subito da Nikon appena salito al soglio fu il tipo di canto chiamato “partesnyj”.La sua denominazione deriva dal termine latino “partes”, perché i brani musicali propri di questo genere dovevano essere letti e scritti per parti separate. Agli inizi fu semplicemente uno “znamennyj polifonico” con un tenore o una voce maschile più acuta e un basso profondo che facesse le veci del bordone. Il periodo intermedio del partesnyj è legato all’identificazione con i modelli occidentali, ad esempio il kant, composizione devozionale solitamente in tre strofe molto diffuso in Polonia e in Ucraina, paesi in cui l’ influenza occidentale era sempre presente. Lo stile musicale dei kanty, sia per quelli sacri che per quelli profani, era fondato sulla tripartizione delle voci, con il movimento parallelo delle due più acute. L’armonia era quindi prevalentemente diatonica, e la maniera di esecuzione sillabica, con molte ripetizioni di parole singole soprattutto nelle composizioni chiamati “vivatnie”, (da “vivat!”) eseguiti durante i banchetti e i ricevimenti ufficiali, molto in voga durante il regno di Pietro il Grande. Le ridondanze di queste parole, assieme al loro senso, era evidenziato da melismi e dalle imitazioni del dialogo tra le varie voci. Alla diffusione delle melodie è da collegarsi il fenomeno della controfattura, ovvero dell’esistenza di un’ unica melodia per più testi diversi. Nelle notazioni dell’epoca si possono notare tra le indicazioni per l’esecuzione la frase “eseguire a modo di”, largamente utilizzata anche nei cori delle chiese.

La massima fioritura del partesnyj, che segna, in un certo senso la sua “legittimità” anche in uso ecclesiastico, è però lo stile “kontsertnyj”, “da concerto”, altrimenti chiamato “partesnyj kontsert”. Mantenendo tutte le caratteristiche del partesnyj, il kontsertnyj fu ideato per l’esecuzione in chiesa, in momenti cerimonialmente poco significativi, come la comunione del clero o come breve stacco musicale prima della comunione dei fedeli.