Intervista a Manuela Rossi, presidente del Coro delle Mondine di Novi di Modena

 

Perché la nostra storia?

Perché non abbiamo altro da lasciare, la nostra eredità è l’eredità di donne che hanno combattuto e pianto, faticato e sofferto, riso e cantato, comunque hanno vissuto per ciò che oggi sembra così naturale e scontato.

(dal “Manifesto della Mondina” di Manuela Rossi)

È bello pensare al canto delle Mondine, delle nostre mamme, nonne e bisnonne come un tesoro nostro, un bene immateriale dell’umanità da tutelare, un po’ come ha scelto l’Unesco proteggendo il canto a tenore sardo. Dobbiamo difendere tradizione, repertorio e tecnica di quei canti che, condizionati dai cambiamenti sociali, ecologici e culturali rischiano di scomparire anche se parlano di noi e possono ancora testimoniare energia e resilienza in musica. Il “Coro delle Mondine di Novi di Modena” rappresenta una testimonianza viva e vivace di una tradizione che riprende forma attraverso il canto. Il coro è composto da più di 20 “ragazze”, le eredi delle vere “mondariso” fondatrici del gruppo; sono figlie, nipoti di mondine o semplicemente donne che amano le tradizioni popolari. Il primo nucleo corale risale agli anni ’70 grazie al maestro Torino Gilioli, colpito dalle voci così “pulite e spiegate” di ragazze accomunate dall’esperienza in risaia. Alla scomparsa del Maestro, prende le redini del progetto Maria Giulia Contri, profonda conoscitrice della musica popolare, il cui intento è stato ricercare continuamente nuove espressioni musicali valorizzando gli ideali che un tempo avevano consentito la conquista di diritti umani inalienabili, consegnandoli come testimone alle giovani generazioni. Inizia con lei un altro viaggio fatto di grandi esperienze, portando presenti e toccanti testimonianze nel proprio comune modenese con concerti in centri sociali, scuole, circoli, teatri, piazze e esibendosi all’estero, in Francia, Belgio, Lussemburgo, Slovenia, Bulgaria, Cecoslovacchia, Ungheria, Crimea, Argentina, Irlanda, Stati Uniti, Canada, Scozia, sottolineando ulteriormente l’universalità di un messaggio solidale veicolato dalla musica. Importanti e fruttuosi sono gli scambi culturali (Puglia, Campania) e arricchenti le “contaminazioni musicali” tra generi, generazioni e discipline (Fiamma Fumana, Modena City Ramblers, Tupamaros, Flexus di Carpi in una esperienza innovativa ed esaltante con le canzoni di Fabrizio De André, con Cisco rivisitando in chiave rock le canzoni della tradizione popolare italiana, Ginevra Di Marco, Paolo Fresu, Le chemin des femmes, Ivana Monti, e tanti altri). Tra le partecipazioni a festival: Musicultura Festival di Macerata, Terra madre a Torino, Festival of Colors di Detroit, Celtic Connections “Voci Dal mondo” in Scozia, Ragnatela della Taranta ed una alla “Notte della taranta” in Puglia, Ventennale del “Folk Club” presso Teatro Regio di Torino, Festival dell’Oralità (TO), Festival della Lentezza Veneto. Sono protagoniste del film “Di madre in figlia”, regia di Andrea Zambelli, prodotto da Davide Ferrario, che ha rappresentato l’Italia in festival di tutto il mondo con grandi consensi di pubblico e di critica, testimonianza di un passaggio di testimone da generazione a generazione con interessanti spunti folk-elettronici. Con la prematura scomparsa di Maria Giulia Contri il testimone è passato a Giulia Berni, che per una bellissima maternità ha dovuto cedere la bacchetta a Fulvia Gasparini, già direttrice di cori ed insegnante di musica. Giulia e Fulvia hanno colto lo spirito del progetto che è alla base del Coro, un progetto che vuole sostenere, proteggere, divulgare, con semplicità, umiltà, attraverso musica e racconti, la storia della “mondina”, icona di un femminismo ante litteram, da sempre in prima linea per la conquista dei diritti, con la rinnovata sfida di condurlo a nuove esperienze, delle quali parleremo in questa intervista con la presidente Manuela Rossi.

Innanzitutto cosa rappresenta il canto per una mondina: un mezzo, uno sfogo, una testimonianza?

Innanzi tutto è una eredità, l’eredità delle nostre madri, zie, nonne che attraverso le loro storie di fatica, di miseria, di sacrificio e di lotta hanno conquistato spazi in tempi in cui la donna era solo la madre di …, la moglie di…, la sorella di… La musica poi è stata ed è tutt’ora un potente lenitivo della fatica, della sofferenza. La musica scende dolcemente nella mente, nelle membra e scioglie ansie e dolori e porta pace.

Mi ha colpito la frase presente sul vostro sito: cantiamo come una volta, “con i piedi nell’acqua”. Come vi preparate vocalmente, quale è la vostra tecnica e i vostri consigli per avere una voce così squillante e pulita come la vostra?

“Con i piedi nell’acqua” è il titolo di un mio libro in cui sono raccolti i testi dei primi dieci anni di spettacoli, perché nei nostri concerti ogni canzone è preceduta dalla lettura di una pagina in cui si racconta non solo la vita in risaia, ma si parla di resistenza, di  vita contadina, soprattutto si parla molto di donne, donne il più delle volte anonime, a sottolineare l’umiltà, la semplicità con cui in fila, unite dalla medesima condizione, scendevano in acqua a mondare il riso e da quelle schiene chine, per non sentire il dolore e la fatica, dal profondo dell’animo, scaturivano voci inimmaginabili, aperte, spiegate, rivoluzionarie. Sotto la guida della nostra direttrice, ogni mercoledì sera ci troviamo per rivedere il nostro repertorio, affrontare nuovi pezzi, preparare spettacoli. Non ci sono tecniche particolari, c’è una grande passione e la voce esce naturalmente. Quelle di noi che hanno avuto la fortuna di crescere vocalmente con le nostre anziane cercano di trasferire questo patrimonio alle più giovani, ma il nostro rimane un canto spontaneo fatto di amore e di solidarietà.

Vi ho ascoltato più volte in concerto, il vostro canto mi ha coinvolto empaticamente. Potere della musica o del vissuto?

L’una e l’altro. Credo che il pubblico recepisca tutta la carica, la grinta che mettiamo nel canto, nei racconti di un passato che faceva della miseria, delle sopraffazioni il fondamento di valori quali solidarietà, comunità, dignità. Tutti motivi che portarono a lotte, a ribellioni ed a conquiste di cui ancora oggi beneficiamo.

Come avviene la scelta del repertorio: c’è una ricerca di testimonianze dirette? Una scelta prettamente musicale?

Il nostro repertorio è molto ampio. Raccontare la storia attraverso i concerti, lasciare alle sole canzoni popolari il compito di tramandare una tradizione, una cultura che nel tempo rischiava di perdersi, ci ha dato un senso di incompletezza. Così dal 2001 è nata l’esigenza di rinnovare lo stile del racconto, di andare in profondità, di sperimentare nuovi modelli di comunicazione, di cercare un linguaggio più vicino ai giovani per farsi capire, per continuare a raccontare e cantare di piazza in piazza, di villaggio in villaggio, di dialetto in dialetto, la storia della mondariso. Nascono così diversi momenti di narrazione che, in sintonia con le canzoni, sono diventati un vero e proprio “spettacolo teatrale” fatto di racconti, storie, ispirati dalle testimonianze delle più anziane, che sottolineano quanto già le canzoni popolari evidenziano, che danno vita a voci di donne, a generazioni diverse che hanno condiviso le stesse esperienze.

Come si strutturano le vostre prove?

Sotto la guida della direttrice si rivisita il repertorio che più frequentemente viene richiesto o ci si cimenta in nuove canzoni cercando da noi stesse, in base alla nostra voce, le giuste tonalità, perché non dimentichiamo che le “mondine” la musica non la conoscono. Ascoltiamo e ci ascoltiamo, la direttrice ci aiuta a rafforzare le varie voci in modo più organizzato ed armonico rispetto a quel canto spontaneo che scaturiva quando le mondine lavoravano chine in risaia, ma comunque sempre in sintonia con quella tipologia di voci che si alzavano squillanti, quasi selvagge ed anarchiche, eppure così “pulite e spiegate”.

Quale è il brano che più vi rappresenta e perché?

Penso “Bella ciao della mondina”. Racchiude tutta la sofferenza, tutta la fatica ma anche la voglia di riscatto. Noi poi abbiniamo questo pezzo al “Bella ciao del partigiano” che nasce posteriormente.

Come testimonianza diretta delle vostre donne: come il canto è stato resilienza e come il coro ha armonizzato i dolori e le fatiche?

Il canto per le nostre mondariso era sfogo, ribellione, un urlo contro la miseria, la fatica, i padroni che le sorvegliavano dall’argine, era sorellanza perché, unite da una stessa sorte, riuscivano ad amalgamare le voci, e tutto questo ha portato alla nascita del coro, ed ancora oggi aleggia questo spirito perché unite siamo veramente invincibili e questo il pubblico lo percepisce.

Molti brani hanno un potente e trascinante aspetto ritmico, che mi ricorda alcuni degli intenti di work song internazionali, per alleviare le fatiche e accompagnare gesti lavorativi ripetuti. Cosa vi hanno raccontato di specifico le vostre mondine? C’erano dei canti favoriti che aiutavano le mansioni delle donne? Come venivano scelti i canti?

Ho scoperto nel parlare con le più anziane che a loro interessava cantare, cantare, cantare. Le canzoni dell’epoca, quelle trasmesse dalla radio, quelle imparate dalle mamme o dalle nonne, quelle per capirci che hanno decenni di storia e di cui non si conoscono gli autori, anche quelle politiche, insomma dare voce alla propria anima. Ma gli stornelli erano una vera passione. Si trattava di gare canore tra le varie squadre di risaiole. Rime completamente inventate che prendevano in giro ora l’una ora l’altra squadra e alcune di queste strofe le abbiamo conservate e fanno parte del nostro repertorio.

La vostra storia è molto ricca, poiché inizia prima del coro e continua tutt’oggi, sia nella riscoperta di fonti storiche attendibili riguardante il campo del lavoro delle mondariso sia nell’interpretazione creativa del repertorio con collaborazioni internazionali. Quali sono alcuni episodi e aneddoti formativi della vostra esperienza come coro?

Un ricordo particolarmente emozionante risale a quando abbiamo cantato a Torino, ospiti di Terra Madre, davanti ad una platea di 6000 contadini di tutto il mondo, avvolti nei loro costumi tradizionali, molto più belli e variopinti del nostro costume di scena. Ascoltavano in cuffia la traduzione delle nostre canzoni ed a fine concerto abbiamo attraversato un lungo corridoio in mezzo a loro ed è stato un momento estremamente emozionante perché ci hanno circondato, abbracciato, e insieme abbiamo pianto e noi eravamo loro e loro erano noi. Ma di storie come questa ne abbiamo tantissime.

Avete fatto molte esperienze all’estero: d’altronde cantate e raccontate di diritti universali, diritti delle donne, del lavoro, della solidarietà. Come hanno recepito il messaggio i paesi che vi hanno ospitato? Come vi hanno interpretato?

Ci riconoscono nelle storie comuni, non importano le parole delle canzoni, sono i gesti, le mosse. D’altra parte il lavoro, la fatica, l’arroganza dei potenti sono la storia dell’umanità e tutti si identificano, un po’ come il “bella ciao” riconosciuto e cantato in tutto il mondo.

Per molti anni siete stati seguiti dalla instancabile ed ispirata Giulia Contri: quale è stato il suo apporto, come vi ha accompagnato in questo viaggio, che testimone vi ha passato?

Giulia è stata l’incarnazione della mondina, della sua forza, della sua rabbia, della sua ribellione. È stata l’erede di un femminismo delle origini, ha cercato di ricreare lo spirito della risaia nel suo coro, ha coccolato le sue “vecchie” per carpirne i più profondi segreti, l’essenza delle donne del secolo scorso, è stata l’interprete che non si è fermata a “Sciur padrun” ed ha rotto barriere musicali cercando contaminazioni, accostando altri dialetti, insomma ci ha portato ad essere ciò che siamo, senza contare che era un vero e proprio animale da palcoscenico.  Noi abbiamo il dovere di continuare questa narrazione e, forti della sua forza, guardiamo avanti consapevoli che ci saranno anche cambiamenti, ma che il cuore continuerà a battere per mantenere viva la sua eredità. La mondariso è ormai un’icona della libertà, della sorellanza, dell’unione e della lotta, questo i giovani lo recepiscono, questo li entusiasma e anche per questo proprio ultimamente il coro si è arricchito di giovanissime.

Quali brani moderni possono incontrare il vostro gusto musicale e la vostra mission?

Non abbiamo limiti. Abbiamo cantato De André, Gaber…. Poi in dialetti e altre lingue: in pugliese, russo, napoletano, bulgaro… Siamo incuriosite da tutta la musica, stiamo sperimentando anche un connubio musica classica musica popolare con l’orchestra “Oro del Reno” diretta da Michela Tintoni, un esperimento entusiasmante, che presto riproporremo al pubblico. Siamo consapevoli di quanto abbiamo da imparare e conoscere ma, pur cercando di rinnovarci, non dimentichiamo quelle che sono le nostre radici.

Molto importante è il festival “AIA FOLK FESTIVAL”, che nel 2022 riportava la dicitura: “50 anni in sella”. Parlateci di questo bellissimo viaggio e quali saranno le nuove tappe!

Questo è il nostro orgoglio, un progetto che con Maria Giulia Contri abbiamo iniziato 15 anni fa, con l’intento di valorizzare, attraverso la musica e gli eventi collaterali in programma, il paesaggio, i luoghi, gli spazi e l’uomo che li ha abitati e vissuti in passato e che li vive oggi. Il sottotitolo del festival, coniato proprio da Maria Giulia, racchiude in una frase il senso dell’evento: “Tutto il mondo è un paese” e ben si attesta nell’attuale situazione sociopolitica. In pochi giorni e grazie alla collaborazione di amici e volontari, riempiamo Novi di eventi musicali, mostre, presentazione libri, teatro, danza e buona cucina.

Tutti i proventi del Coro vengono investiti nel festival che quest’anno avrà luogo dal 29 giugno al 2 luglio in location quali la Corte Frassona, gentilmente offerta dalla famiglia Moretti, il Parco della Resistenza per i concerti ed il Parcobaleno dove sono previsti spazi per i più piccoli.

Un tema che sta a cuore a molti direttori di coro è come avvicinare le generazioni odierne e future al repertorio popolare. La vostra esperienza è preziosa: qualche suggerimento?

Passione, apertura, storia. Noi raccontiamo, ci raccontiamo, non insegniamo, semplicemente cantiamo un mondo che non esiste più ma grazie al quale godiamo di certi diritti.

Le storie anonime che raccontiamo e che cantiamo parlano di ideali, di piccole rivoluzioni compiute da figure anonime, ma protagoniste di eventi che in qualche modo cambiarono il corso della storia. I giovani queste storie le amano, non si stancano di chiedercele perché hanno bisogno di conoscere le loro radici, le loro origini.   Siamo un mondo al femminile con tante età a confronto ed io, che ormai sono giovane da tantissimo tempo, guardo le nuove ragazze che hanno chiesto di entrare nel coro e mi sembra che un futuro sia veramente possibile. Siamo una piccola comunità di donne, con tutti i pregi e difetti che ha una comunità, ma quando saliamo sul palco siamo una entità sola e siamo un tutto unico senza età e questo dà forza, coraggio e speranza.