Nella foto: La testimonianza di fede islamica “Non c’è dio se non Iddio e Muhammad è l’Inviato di Dio” iscritta su una delle porte del Palazzo Topkapi a Istanbul

Nelle cinque preghiere giornaliere che il musulmano compie secondo l’alternarsi del giorno e della notte (al tramonto, nella notte, all’alba, al mezzogiorno e nel pomeriggio), seguendo il ritmo del ciclo solare scandito dalle stagioni, la musica è assente così come concepita e intesa in altre tradizioni – come avviene invece, per esempio, nel Cristianesimo, dove ha una funzione specifica all’interno del rito. Tuttavia, sia nella chiamata alla preghiera, adhan, che nella salmodia della recitazione del Sacro Corano, si possono prendere in considerazione alcuni elementi ritmici e sonori che nello svolgersi della preghiera caratterizzano la ritualità secondo una musicalità. Si racconta che il Profeta Muhammad, poco dopo il suo arrivo a Madina, discusse insieme ad alcuni suoi compagni sulla necessità di chiamare i fedeli alla preghiera. Le diverse possibilità proposte non furono soddisfacenti, fino a quando un giorno un compagno del Profeta ‘Abd Allah bin Zaid bin Abi Rabbihi disse: «Stavo dormendo, quando ho visto un uomo che aveva in mano un naqus [una specie di gong] e gli chiesi: “Servo di Dio, me lo vendi?”; quando l’uomo mi chiese cosa ne avrei fatto, io risposi che lo avremmo usato per chiamare i fedeli alla preghiera. Allora l’uomo disse: “Posso suggerirti qualcosa di meglio?” Ed io risposi: “Certo!”, allora egli mi suggerì le formule dell’adhan. Quando raccontai al Profeta, la mattina seguente, ciò che avevo visto in sogno egli disse: “È una visione veridica, se Dio vuole, quindi vai da Bilal e, dopo che gli avrai insegnato ciò che hai udito, fai che ne faccia uso nel chiamare alla preghiera, poiché lui ha una voce più forte della tua”». Da allora sono passati quattordici secoli e ancora oggi in ogni moschea dall’Oriente all’Occidente il mu’addhin (muezzin), chiama con voce chiara e sonora alla preghiera ripetendo le stesse formule:

Allahu Akbar, Allahu Akbar (x2) (Dio è più Grande) Ash-hadu An la ilaha illa-l-lah (x2) (Testimonio che non c’è dio, se non Iddio)
Ash-hadu anna Muhammad r-rasulu-l-lah (x2) (Testimonio che Muhammad è l’Inviato di Dio)
Hayya ‘ala-s-salat (x2) (Venite alla preghiera)
Hayya ‘ala-l-falah (x2) (Venite al successo)
Allahu Akbar, Allahu Akbar (Dio è più Grande)
La ilaha illa-l-lah (Non c’è dio, se non Iddio)

Ascolta la recitazione

Generalmente l’adhan è solo vocale, anche se nel corso dei secoli in alcune aree geografiche vennero utilizzati strumenti della famiglia delle percussioni, idiofoni e talvolta anche aerofoni, formando dei veri e propri ensemble. Un esempio è alla corte ottomana quando, soprattutto durante il mese di Ramadan, dall’alto di una torre dei giardini del Seray all’alba e al tramonto i loro suoni segnalavano alla comunità l’inizio e la rottura del digiuno. Più che intonare o cantare l’adhan secondo i termini dalla pratica vocale così come è intesa nella musica in Occidente, il muezzin vocalizza le formule e può passare dal ripetere un singolo suono a sviluppare diverse e ampie sequenze musicali con linee melodiche caratterizzate da veri e propri maqam, ovvero le scale musicali proprie alla civiltà islamica. L’andamento è lento, e i tratti melodici spesso si muovono tra due suoni fondamentali, a distanza di un intervallo di quarta o di quinta, che in più parti del mondo islamico contraddistinguono la chiamata alla preghiera. Come ricordava ‘Abd al – Haq Isa Croce, un artista musulmano italiano e membro di un ordine contemplativo islamico, «l’incipit di quinta giusta ascendente segna il passaggio da una dimensione orizzontale (tonica) ad una verticale (dominante), richiamando la necessità di elevarsi dal sonno alla veglia al cospetto della Presenza Divina, quale prefigurazione del Giorno della Resurrezione del giorno alla chiamata della tromba angelica». La ripetizione delle formule consente di passare da una linea melodica semplice, senza articolazioni melismatiche, ad un utilizzo di abbellimenti e fioriture che arricchiscono il passaggio da un intervallo all’altro del maqam, nel rispetto rigoroso della priorità dell’invocazione della formula che con chiarezza e forza è quello di richiamare il cuore del credente ad interrompere le attività quotidiane, onde rivolgersi verso Colui che è all’origine della sua natura e creazione. Non a caso il padre deve recitare nell’orecchio del neonato la chiamata alla preghiera, al fine di orientarlo in questa vita e ricordargli la sua origine nell’Altro Mondo, così come viene recitata la testimonianza di fede presente nell’adhan anche all’orecchio di chi è in prossimità della morte o di chi è già defunto. Il Profeta Muhammad, i maestri e santi nell’Islam insegnano come il senso dell’udito sia l’ultimo dei cinque sensi ad abbandonare il corpo.

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La Rivelazione Islamica inizia storicamente nel VI secolo d.C., quando Dio rivela il Suo messaggio di Verità nel Sacro Corano dando voce alla lingua sacra dell’arabo durante un ritiro del Profeta Muhammad in una grotta del monte Hira, nella penisola arabica. Fin dai tempi del Profeta il Corano veniva recitato in maniera da sottolinearne il valore sacro e richiamare la comunità dei credenti al timore e al rispetto della Parola di Dio, Allah, nella Sacra Rivelazione, con una salmodia dettata dalla naturale ritmicità della lingua. Infatti, l’arabo è composto da lettere lunghe e lettere brevi che conferiscono un ritmo alla recitazione. Si racconta che ‘Ali ibn Abi Talib, cugino e genero del Profeta Muhammad, affermò che il significato del versetto della sura Al-Muzzamil (L’Avvolto) nel quale Allah dice: «E recita il Corano salmodiando» significherebbe: con una «resa eccellente delle consonanti e delle pause». Da questo insegnamento nasce la scienza della recitazione, ilm al – tajwid, che sviluppa non solo l’articolazione delle consonanti e delle vocali ma anche quelle delle pause. Oggi questa scienza si apprende grazie alle scuole di recitazione e cantillazione presenti nel mondo islamico, dove si insegnano, attraverso regole e discipline precise, i diversi metodi di salmodiare, o meglio cantillare, la Sacra Rivelazione. La recitazione durante la preghiera è eseguita dall’imam, colui che guida e sta davanti alle schiere dei fedeli, e non può essere accompagnata dall’uso di strumenti.

Ascolta l’adhan (la chiamata alla preghiera)

Ogni sura (o capitolo) del Corano può essere recitato in modo semplice utilizzando due o tre suoni o in maniera più articolata, con abbellimenti e alcune fioriture.
Il rigore e la disciplina nell’accostare la Sacra Rivelazione e la sua recitazione vogliono scongiurare slanci personali sul piano emotivo, nella ricerca estetica fine a se stessa o nel dispiegamento di una tecnica vocale che ecceda nel volume della voce e nei relativi vocalismi, creando così una distrazione per i fedeli o – ancor peggio – illudendo il recitatore di sovrapporre una propria presunta recitazione a quella autentica, guidata dal Profeta Muhammad, al servizio di Dio, Signore della Rivelazione e della Recitazione. L’imam, invece, deve predisporsi a dar voce e suono alla Sacra Rivelazione di Allah, aprendo se stesso e i fedeli all’ispirazione superiore e sovraindividuale della Verità. Allora, nell’articolazione dei sublimi suoni si potrà anche realizzare la straordinaria bellezza di una musicalità sovrannaturale secondo l’insegnamento del Profeta Muhammad: «Dio è Bello e ama la Bellezza».