Musica, testo e spirito nell’esegesi di un’antifona gregoriana

Ogni tempo liturgico ha una antifona mariana propria.

Il Regina Cæli è subito associato alla Pasqua, poiché è l’unica antifona di cui la riforma liturgica ha mantenuta vincolata l’esecuzione. Le altre, mancando una rubrica specifica nei testi post-Vaticano II, sono divenute apolidi liturgici. Tuttavia la tradizione e l’orazione che una volta seguiva il canto di queste antifone ci insegnano che l’Alma Redemptoris Mater accompagnava tutto il tempo che andava dai primi vespri d’Avvento al 2 febbraio, lasciando il posto all’Ave Regina Cælorum, eseguita dal 3 febbraio ai vespri del Mercoledì Santo. Come il Regina Cæli, anch’esse hanno una forma ornata (o solenne o monastica che dir si voglia). In queste righe prenderemo in analisi il tono simplex dell’Alma Redemptoris Mater.

Alma Redemptoris Mater, quæ pèrvia cœli
porta manes et stella maris, succùrre cadènti,
sùrgere qui curat, pòpulo: Tu quæ genuìsti,
Natura mirante, tuum sanctum Genitorem,
Virgo prìus ac postérius, Gabrielis ab ore
sumens illud “Ave”, peccatòrum miserére.

O Ricca e Dispensatrice di Vita
Madre del Redentore, che ci sei accessibile
Porta del cielo e Stella del mare, soccorri
il popolo cadente, che vuole rialzarsi.
Tu che, quando accogliesti l’Ave dalla bocca
di Gabriele, hai generato, Vergine prima e
dopo, il tuo santo Genitore nella
contemplazione ammirata del Creato,
abbi pietà dei peccatori.

 

È subito chiaro che l’invocazione orante viene rivolta alla Vergine in quanto Madre di Cristo. Come tale è infatti evocata sin dal primo verso: Redemptoris Mater. Segue poi la riflessione sul mistero della sua divina maternità grazie a brevi incisi in cui è raccontata tutta la vicenda pre e post natalizia. Come interpretare, cantare ed esprimere il significato profondo di questa preghiera? Quali figure melodiche sono da valorizzare perché il testo possa essere svelato dall’intuizione artistica?

Osservando il primo solenne melisma che apre l’antifona (1), è necessario sottolineare quanto l’alto numero di note che lo compongono – rispetto al carattere sillabico del brano – ne delineano sin da subito l’importanza. La “A” sul quale esso si innalza non può essere cantata frettolosamente. Appoggiandosi al do3 che ne dà inizio, è bene cantarlo con eleganza, sottolineando la liquescenza che viene a formarsi tra la “l” e la “m”. Ciò produrrà una sonorità morbida e che ben esprime l’esuberanza di vita significata da alma. Inoltre la sottolineatura della “A” porta con sé il riferimento alle grandi “A” che aprono i cicli di Avvento: Ad Te levavi (introito della prima domenica di Avvento), Aspiciens a longe (primo responsorio prolisso della liturgia delle ore dell’Avvento), Annuntiate populis (prima antifona dei primi vepri della prima domenica di Avvento).

Queste “A” non rappresentano solo un semplice inizio, ma significano l’Aλφα da cui tutto ha principio, il Verbo-Λόγος misura del Creato, il suono iniziale, il           

(bereshit) attraverso cui Dio ha dato origine al cosmo; e portano in sé tutta la storia, sino alla ricapitolazione in quell’Ωμέγα che è lo stesso Cristo: l’Aλφα. Arrivati sul sol3, l’elegante movimento del primo melisma lascia spazio all’invocazione ascendente sulla parola Redemptoris (2), per poi acquietarsi, dolcemente, di nuovo su un sol3 alla parola Mater con un salto di quarta discendente (3). Dopo il titolo materno, la Vergine viene additata come speranza del popolo in preghiera quale Porta del Cielo e Stella del mare. Il movimento melodico va ascendendo (4), dipingendo con la voce l’orazione rivolta verso il Cielo. Su stella maris è ridisegnato per gradi congiunti il salto di quarta che abbiamo ora trovato alla parola Mater (3). Il fedele che invoca Maria si riconosce di Lei figlio e, nelle angosce, ricorre a Lei quale Madre che, quale stella, conduce al porto sicuro. La preghiera si fa più intensa: esprimendo quasi madrigalisticamente il popolo appesantito e caduto per il peccato ma anelante di risorgere (5), il movimento melodico prima scorre in una tessitura più grave per poi innalzarsi, sino ad aggrapparsi con un salto alla nota più alta cantata nel brano (re4), riadagiandosi subito sul do4 (6).

Raggiunto il do4, il cantore non si acquieta su una tessitura più grave ma va insistendo. Insiste nel ricordare a Maria il perché deve soccorrere il suo popolo: la sua divina maternità! Lei, che ha portato Colui che è in totale empatia con quel popolo, non può essere da meno.

Infatti, con voce vibrante, Tu que genuisti viene cantato sul medesimo do4 (7) sottolineando così la simpatia tra Cristo-Madre-popolo e richiedendo al cantore di sottolineare il pronome Tu. È commuovente il salto di quinta discendente che troviamo alla fine della parola genuisti (8): ogni volta che nel repertorio gregoriano una Persona divina irrompe nella storia umana, il salto melodico con cui questo è espresso è una quinta (vedi gli introiti Rorate cæli, Puer natus est; i communi Ecce virgo sulla parola concipiet, Ioseph, fili David alle parole quo denim e il celebre Factus est repente). Nella nostra antifona questo espediente non è dimenticato. Inoltre col movimento di quinta discendente, che dipinge la discesa del Figlio di Dio nel grembo della Vergine, vi è una eco della quarta discendente di Mater (3). Ciò impone alla voce un tono dolce, così da manifestare tutta la tenera intimità del momento. Tale scena è ammirata e riconosciuta da tutto il Creato (Natura mirante) in un movimento discendente della melodia che produce un composto senso di silenzio e di rispetto (9). È presto detto il richiamo all’intimità espressa nel communio della messa della notte di Natale In splendoribus sanctorum, o il silenzio contemplativo dell’introito della seconda domenica dopo Natale Dum medium silentium. Riecheggiano anche le parole animalia viderent Dominum natum del responsorio O magnum Mysterium: semplici animali contemplano il Creatore.Questi brani, molto più ampi, hanno modo di realizzare con più mezzi ed espedienti melodici il medesimo concetto. Conoscerne i richiami consapevolizza come queste poche note, di una antifona così comune, sanno raccontare misteri così grandi che solo il canto può dischiudere. Le parole tuum sanctum Genitorem si caratterizzano per iscriversi in uno spazio di quarta (mi3-la3-mi3) (10). La genitorialità del Dio Uno e Trino è cantata su un intervallo di quarta come la genitorialità della Madonna, espressa con la quarta discendente di Mater (3). Il mistero trinitario – capace di rendere madre Colei che è figlia del Generato – essendo tanto grande e incomprensibile, è proposto in una tessitura più grave quasi a dire che è l’intimità del cuore – non la ragione – a svelarlo. La maternità di Maria, legata ad un mistero così grande, è riconosciuta come maternità di grazia. La limpidezza di questa grazia e la gioia che da essa scaturiscono sono affidate alla proclamazione della sua verginità prima e dopo il parto: Virgo prìus ac postérius. La linea melodica è rilanciata su tessiture più alte (11). Il do4 della parola Virgo necessita che la voce indugi e goda di questa nota. Il salto di sesta minore evidenzia il do4 come una chiara perla rispetto alla tessitura precedente. Ciò richiede che la voce si soffermi, modulando il suono in maniera candida e luminosa. Questo è richiesto perché l’intervallo più ampio non produca una stonatura e, al contempo, illumini l’episodio musicale dove si declama la verginità perpetua di Maria.

Il piccolo guizzo prodotto dalla terza minore la3-do4 sul nome Gabrielis (12) dipinge, con un mezzo semplicissimo, la leggerezza e la vita scaturita dalla grazia. La grazia di cui Maria ha sempre goduto sussulta all’annuncio dell’incarnazione del Figlio di Dio. Così deve fare la voce che canta, esaltando la luminosità data da quel salto di terza. La parola ore deve tradursi come bocca: la bocca di Gabriele che ha pronunciato il saluto angelico “Ave”. Ma dalla bocca sale anche la preghiera: ex ore orandi. Quell’os, che come primo significato indica la bocca dell’arcangelo, diviene così l’incipit di una orazione universale rivolta a Maria. Tale orazione, che ha avuto principio nell’Ave Maria di Gabriele, riecheggia nelle bocce e nelle preghiere dei fedeli. Quella “A” di Ave è come la “A” di Alma, di Ad te levavi: un suono-preghiera germinale che ha già in sé tutte le preghiere e le invocazioni che ci sono state e ci saranno nel tempo e nello spazio. Ecco perché la melodia ri-ascende (13) sino alla richiesta universale di misericordia per i peccatori da Colei che è Madre della Misericordia. Confessare la fede che l’antifona esprime non è necessario. Conoscerla e liberarla nel canto, per dare senso alla fede di chi l’ha scritta, è indispensabile. Così, consapevoli dei messaggi proclamati nel canto, non dubito della rinnovata cura che si avrà nel riprendere in mano questa antifona, ri-conoscendola come cosa nuova.